La Cattedrale delle origini

L'iconostasi antica della Cattedrale di San Vincenzo

    Dettaglio della decorazione pittorica dell’iconostasi con S. Giovanni Battista e S. Anna Metterza
    Dettaglio della decorazione pittorica dell’iconostasi con S. Pietro, S. Bartolomeo e S. Caterina
Dettaglio della decorazione pittorica dell’iconostasi con S. Giovanni Battista e S. Anna Metterza
Dettaglio della decorazione pittorica dell’iconostasi con S. Pietro, S. Bartolomeo e S. Caterina

L’iconostasi (dal greco eikonostasion, eidonostasis “posto delle immagini”) è una parete divisoria presente già nelle chiese paleocristiane con lo scopo di recingere la zona dell’altare riservandola ai soli celebranti. Celando alla vista dei fedeli l'altare su cui il celebrante officiava il sacrificio eucaristico, essa aveva la funzione di preservare lo spazio sacro del mysterium fidei dallo sguardo dei fedeli, a imitazione del drappo che nel Tempio di Salomone nascondeva il sancta sanctorum, il luogo dove si custodiva l’Arca dell’Alleanza.
Quella bergamasca, seppure incompleta, rappresenta una preziosa testimonianza perché si inserisce nel piccolo numero delle iconostasi sopravvissute ai successivi adeguamenti liturgici. Per la costruzione della parete vennero riutilizzate le transenne paleocristiane in marmo bianco: la loro lavorazione con motivi a graticcio e a squame e i finti pilastrini ornati con motivi circolari sono infatti elementi ricollegabili a un repertorio vicino al mondo tardoantico. Le lastre assumono ora una funzione portante del muro soprastante in laterizio, scandito da arcate cieche, mentre il varco d’accesso, probabilmente al tempo chiuso da una porta o da un cancello, è segnalato da due lastre scolpite disposte in verticale.
Una sola è la porzione di iconostasi che è giunta fino a noi, nella quale sono facilmente riconoscibili le diverse fasi decorative: da semplice muro in laterizio, ravvivato dalla successione di cinque archi ciechi profilati da mattoncini lasciati a vista, verso la fine del Duecento l’iconostasi viene arricchita da una teoria di santi. Andate perdute le figure dei primi due archi, di cui restano visibili solo i piedi, notiamo che l’immagine principale, cui tutte le altre sono rivolte, risulta essere sant’Anna Metterza (nome che indica tradizionalmente la raffigurazione di Gesù Bambino in braccio a sua Madre in trono, alle cui spalle - messa terza, cioè in terza posizione rispetto alle altre due figure – è collocata sant’Anna). Sant’Anna, con una concessione alla correttezza delle proporzioni, allunga il braccio sinistro sino alla figura di Gesù, sottolineando in modo visibile il legame tra il piccolo e la linea femminile della sua famiglia umana. Il bambino presenta la mano parlante in segno di aperto dialogo con l’irruento san Giovanni Battista, ripreso mentre si sta avvicinando al Salvatore. Le stelle che invece ornano la veste di Maria sono allusione, secondo la tradizione bizantina, alla sua verginità prima, dopo e durante il parto, secondo il dogma del Concilio Lateranense del 649.
Figure meno complesse dal punto di vista simbolico accompagnano la principale. Da sinistra a destra troviamo san Giovanni Battista, cui abbiamo già accennato, nell’atto dell’incedere, con il caratterizzante abbigliamento di pelli e il cartiglio con la scritta ego vox clamantis in deserto – “io sono una voce che grida nel deserto” – in riferimento al passo del Vangelo di Giovanni 1, 23. Quindi san Pietro nella tipica iconografica dell’uomo canuto con in mano le chiavi e a seguire san Bartolomeo, riconoscibile – oltre che dal coltello che reca in mano, simbolo del suo martirio – anche dalle poche lettere rimaste scritte appena sopra la sua testa, [B]artholom[ea]us, che lo identificano in modo inequivocabile. Per ultima troviamo santa Caterina d’Alessandria, rappresentata, come vuole l’iconografia, nei panni di una giovane elegante, probabilmente coronata, anche se la porzione di affresco con il suo volto non è sopravvissuto. Assenti i simboli del suo martirio, l’identificazione è chiarita ancora una volta dalla presenza sopra la sua testa di alcune lettere, [Ca]terina, che ne riportano parzialmente il nome.
La somiglianza tra il san Bartolomeo qui raffigurato e l’affresco del beato Alberto da Villa d’Ogna, terziario domenicano morto a Cremona nel 1279, presente in San Michele al Pozzo Bianco lascia supporre che l’iconostasi sia stata decorata entro la fine del Duecento. La decorazione murale non subì variazioni di rilievo sino alla ricostruzione filaretiana, ad eccezione di due interventi circoscritti: il primo riguarda una Crocifissione di cui possiamo cogliere soltanto la parte terminale appena sopra l’arco con sant’Anna Metterza. Questa Crocifissione presenta caratteristiche simili a quelle dei santi, nella rigidità delle figure e delle pose, ma uno stile pittorico diverso, dal gusto vagamente gotico e nordico, e più aggiornato, riconoscibile nel tratto più marcato dei contorni. Questo, oltre al fatto che l’immagine si va a sovrapporre alla greca bianca e nera che corre orizzontale sopra tutti gli archetti, lascia supporre che la porzione sia stata aggiunta pochi anni dopo alla teoria di santi. Ancora più tardi, alla metà del Trecento, è stato dipinto un Cristo crocifisso per mano, come mostrano le analogie stilistiche, del cosiddetto Maestro dell’Albero della Vita, autore nel 1347 del celebre affresco in Santa Maria Maggiore. L’affresco si colloca tra l’arco con san Giovanni Battista e quello con sant’Anna Metterza e continuava fino alla base dell’iconostasi, sovrapponendosi a una delle due figure di laici rappresentati in preghiera ai lati della sant’Anna Metterza.