Diocesi di Salerno - Campagna - Acerno
STORIA
I - Origini del cristianesimo a Salerno
La presenza del cristianesimo a Salerno è attestata a partire dalla fine del III sec., epoca alla quale risale il martirio di Fortunato, Antes (o Anthes) e Caio (o Gaio).In loro onore fu edificata una cappella che ne custodiva le reliquie, ma incerta è la data della sua costruzione, come non si conosce l’inizio del culto tributato ai «santi martiri salernitani»; la testimonianza più antica di tale devozione si trova nel Chronicon Salernitanum, databile intorno al 975 e attribuito a un monaco del monastero salernitano di San Benedetto.
I pochi elementi in possesso degli storici non consentono di indicare, con la precisione auspicabile, la data di fondazione della diocesi e l’ubicazione della sede vescovile.
Notizie relativamente attendibili sui primi vescovi si hanno a partire dalla fine del V . Generoso Crisci, storico della Chiesa salernitana, ricorda che Salerno era forse già sede vescovile quando fu occupata dai vandali di Gianserico, nel 456; mentre il canonico Giuseppe Paesano ritiene che sia stato il principe degli apostoli, san Pietro, a fondare la diocesi.
Il primo vescovo di cui si ha memoria è Bonosio (o Bonoso), al quale la Chiesa di Salerno, fino alla riforma del 1975, ha reso l’onore del culto dei santi nella giornata del 14 maggio.
Oggi la Chiesa locale conserva la memoria liturgica obbligatoria dei santi vescovi della Chiesa salernitana il 15 maggio.
In realtà, quasi tutti i primi vescovi salernitani – dal già citato Bonosio a Gram[m]azio, da Vero a Valentino (o Valentiniano), da Gaudenzio a Eusterio (o Asterio) e Gaudioso – hanno conosciuto l’onore degli altari: il loro culto fu introdotto nella liturgia salernitana in epoca non precisata ma, con ogni probabilità, prima dell’anno Mille.
La storia della maggior parte dei vescovi salernitani, con riferimento all’alto Medioevo, è lacunosa e frammentaria; la documentazione in nostro possesso non consente di fare piena luce sulle vicende dei primi secoli.
Si sa, però, con certezza che Gaudenzio partecipò al sinodo celebrato in Roma da papa Simmaco nel marzo 499 e che gli atti del V sinodo di Costantinopoli (536) furono sottoscritti da Eusterio, legato di papa Agapito I.
Per un secolo circa mancano notizie sulla diocesi: è questo il periodo della guerra gotica (535- 553), della conquista di Salerno da parte, prima, del generale bizantino Belisario (536) e, successivamente, da parte di Totila (541-552).
Quando Salerno venne conquistata dai longobardi (646), fu il vescovo Gaudioso, secondo la tradizione, a evitare lo scontro armato.
Tra l’episcopato di Eusterio (536-555) e quello di Gaudioso (metà del VII sec.), c’è un vuoto che la storiografia non è riuscita, fino a oggi, a colmare.
Si sa tuttavia che la diocesi era abbastanza estesa e confinava con le diocesi di Avellino a nord, di Amalfi a ovest e di Paestum a sud-est.
Dal punto di vista organizzativo, era articolata in parrocchie (parochiae) o pievi rurali (plebes), amministrate da arcipreti che, coadiuvati da altri chierici, battezzavano, confessavano, celebravano l’eucaristia, predicavano, assistevano i poveri e davano degna sepoltura ai defunti nel cimitero della pieve.
All’epoca della bolla di Alessandro III (1169) le pievi o arcipreture erano dodici: Campagna, Eboli, Olevano, Montecorvino, Giffoni, Ogliara, San Severino, Montoro, Forino, Serino, San Giorgio e Nocera.
Accanto alle pievi e al clero secolare, va registrata la presenza di monasteri e abbazie, grotte e «laure» di monaci ed eremiti dediti alla preghiera, alla lettura delle Sacre Scritture e alla pratica delle opere di misericordia.
A Salerno e dintorni, per alcuni secoli, si sono incontrate le esperienze del monachesimo eremitico e di quello cenobitico, la tradizione greca dell’eremitismo del deserto e quella latina del cenobitismo benedettino.
Il primo monastero di cui si ha notizia è quello dedicato ai santi martiri Crisante e Daria, fondato dall’abate Vindimio «iuxta muros civitatis Salernitanae».
Tra il 556 e il 561, papa Pelagio I scrive una lettera al vescovo Eusterio con la quale autorizza Vindimio a consacrare l’oratorio eretto in onore dei santi Crisante e Daria.
Salerno poteva vantare altri monasteri, come quello femminile di San Giorgio, fondato da duchi longobardi probabilmente nell’VIII . e soggetto all’abbazia di San Vincenzo al Volturno, e il già citato monastero di San Benedetto, fondato – sembra – da Arechi II (758-787).
II - L’età medievale
Salerno, conquistata dai longobardi (646), entra a far parte del Ducato di Benevento e, con Arechi II, ne diventa la capitale nel 787.La città conosce un’espansione urbanistica notevole, di cui beneficia anche l’architettura sacra: ne è un esempio, tra gli altri, la cappella reale dei Santi Pietro e Paolo, nota come San Pietro a Corte, chiesa privata palatina del principe.
Il primo vescovo su cui si hanno notizie esaurienti è Bernaldo (o Bernardo), che governa la diocesi per più di un decennio (843-855 ca).
A fornircele è il già citato Chronicon Salernitanum.
Bernaldo si adoperò con ogni mezzo per portare nelle chiese della città le reliquie dei martiri e dei santi, che si trovavano sparse nelle chiese extra moenia o nelle zone limitrofe.
I primi corpi a essere recuperati furono quelli di Fortunato, Antes e Caio, patroni della città: dalle rive del fiume Irno furono trasportati e collocati nella chiesa di San Giovanni Battista; vennero successivamente traslate, da Faiano (Pontecagnano), le reliquie dei santi Cirino (V sec.?) e Quinigesio (V sec.?) – vescovi non salernitani –, e collocate in una chiesa a loro dedicata.
A Bernardo II si deve, invece, la translatio delle spoglie dell’evangelista e apostolo Matteo, avvenuta, secondo alcuni, il 6 maggio 954, mentre secondo altri, più prudenti, intorno al 954.
Fu l’arrivo, in città, delle reliquie del santo «a dare origine alla devozione per san Matteo, della quale non si ha notizia in precedenza» (Vitolo, San Matteo e Salerno, 69) Salerno fu elevata, nel 983, da Benedetto VII a sede metropolitana durante l’episcopato di Amato I (982-992), che fu il primo ordinario a fregiarsi del titolo di arcivescovo.
Suffraganee della nuova arcidiocesi erano le diocesi di Acerenza, Bisignano, Conza, Cosenza, Malvito (San Marco Argentano), Nola e Pesto.
A partire dal 24 marzo 1058 si aggiunsero le diocesi di Cassano, Marsico, Martirano e Policastro, ma Acerenza, Conza e Cosenza solo nominalmente facevano parte della giurisdizione di Salerno.
Nel 1076 Roberto il Guiscardo conquista Salerno, che esercita la sua giurisdizione su vasti domini.
Il periodo normanno (1077-1197) è considerato da taluni una sorta di epoca d’oro per la città.
Diversi sono i fattori che inducono a un giudizio così lusinghiero: la fama della Scuola medica, la costruzione del duomo voluta dal Guiscardo, il governo episcopale di Alfano I, l’esilio salernitano di Gregorio VII.
Alfano è, infatti, uno dei più illustri pastori salernitani e non solo del periodo medievale.
Il suo nome è legato alla storia della Chiesa, ma anche a quello della Scuola medica.
Particolarmente versatile, oltre alla medicina, coltiva la poesia, il canto, la musica e le arti liberali.
A lui è attribuita anche la progettazione del duomo normanno.
Nel marzo 1066 emana la bolla con la quale viene creata la diocesi di Sarno.
L’anno dopo erige la diocesi di Nusco, consacrando il primo vescovo, sant’Amato.
Nello stesso anno Acerenza e Conza, dal 989 suffraganee di Salerno, diventano sedi metropolitane.
Più tardi – tra il 1070 e il 1080 – viene eretta la diocesi di Acerno.
Da questo periodo, la giurisdizione dei vescovi salernitani si restringe notevolmente.
In compenso, al tempo di Alfano II (1086?-1121) papa Urbano II eleva, nel 1098, Salerno a sede primaziale, con giurisdizione anche super Consanam et Acheruntinam Ecclesias e relative diocesi suffraganee.
Ad Alfano I (1058- 1085) si deve la ricognizione e la sistemazione delle reliquie dell’apostolo Matteo sotto l’altare maggiore della cripta o della basilica inferiore, e dei già citati santi martiri salernitani, nonché di altri santi – tra i quali alcuni vescovi – sotto gli altari laterali (marzo 1081).
Notevole è anche la figura di Romualdo II (1153-1181), appartenente alla potente famiglia Guarna (o Warna), chierico della Chiesa salernitana, salernitano come Alfano I e, come questi, medico molto esperto.
Autore di un famoso Chronicon, che va dalla creazione del mondo fino al 1178, fu vescovo mecenate e zelante, nonché fine diplomatico: riuscì a riconciliare l’imperatore tedesco Federico Barbarossa e il papa Alessandro III (pace di Venezia del 1177), ricevendo, per ciò, riconoscimenti civili ed ecclesiastici da entrambi.
L’episcopato del salernitano Nicola d’Aiello (1182-1222) è contraddistinto da fatti particolarmente dolorosi per la sua persona innanzitutto, nonché per la città e la diocesi.
Alla morte di Guglielmo II (1189), i normanni proclamarono re di Sicilia il conte di Lecce, Tancredi, subito riconosciuto da Clemente III, ma l’imperatore Enrico VI Hohenstaufen reclamò per sé il Regno di Sicilia, in quanto spettante alla moglie Costanza, figlia di Ruggero II.
Salerno si schierò con Tancredi e, nel 1194, fu saccheggiata dall’imperatore tedesco, che fece prigioniero l’arcivescovo deportandolo in Germania, dove rimase ben oltre la morte dell’imperatore Enrico VI, avvenuta il 28 settembre 1197.
Quando finalmente tornò in sede, d’Aiello trovò una situazione difficile e penosa.
Nel febbraio 1221, poco prima della morte dell’arcivescovo, Federico di Svevia dichiarò di prendere sotto la sua protezione la Chiesa salernitana.
Con la fine del Regnum Italiae et Siciliae (1194) e con l’avvento di Federico II siamo nel periodo svevo, che durerà fino al 1266: uno dei più tormentati per la storia della città e della diocesi, che, alla morte di d’Aiello, rimane vacante per cinque anni, a causa dei contrasti tra l’imperatore, che pretende di nominare i vescovi delle sedi vacanti – Aversa, Brindisi, Capua, Conza e Salerno – e Onorio III, che rivendica questa prerogativa.
Il primo vescovo di questo travagliato periodo è l’amalfitano Cesario de Alagno (1225-1263), già vescovo di Famagosta (Cipro).
In questo periodo il movimento francescano, che era al suo esordio, dimostra una vitalità che suscita entusiasmo fra la popolazione affascinata dall’ideale della povertà evangelica.
L’arcivescovo asseconda l’affermazione e la diffusione del francescanesimo così in città come nella diocesi.
Ne sono testimonianza la costruzione, nel 1233, di un oratorio in città in onore di san Francesco d’Assisi, l’erezione di un convento di frati minori in Eboli dedicato a sant’Antonio di Padova, nonché, nel 1235, di un monastero delle clarisse in Salerno.
Durante la dominazione angioina (1266-1435) continuarono le difficoltà per l’arcidiocesi: i re francesi scelsero vescovi – in qualche caso loro connazionali – che rimasero fuori sede o vi soggiornarono poco; non bisogna nemmeno dimenticare gli effetti della «cattività avignonese» (1309- 1377) e dello scisma d’Occidente, che contrappose l’antipapa Clemente VII, appoggiato da Carlo V di Francia e da Giovanna d’Angiò, regina di Napoli, a Urbano VI, la cui elezione era stata legale e riconosciuta da tutti.
Nel 1378 l’antipapa trasferì da Amalfi il napoletano Giovanni Acquaviva alla cattedra salernitana, mentre Urbano VI commendò la sede al cardinale Guglielmo (de) Altavilla.
Morto Giovanni, Clemente VII elesse, nel 1382, Roberto, vescovo di Valva-Sulmona, del quale non si sa nulla.
Con Alfonso d’Aragona iniziò la dominazione aragonese (1442-1503).
Principe di Salerno viene nominato Raimondo Orsini, mentre nel 1440 viene eletto arcivescovo Barnaba Orsini, parente del principe e primo riparatore del duomo.
La figura più eminente di pastore della seconda metà del XV . è il cardinale Giovanni d’Aragona (1483-1485), figlio di Ferdinando I (Ferrante) re di Napoli dal 1458 al 1494.
A lui Tommaso Guardati, conosciuto come Masuccio Salernitano, dedica la XVI novella del Novellino.
A soli nove anni, nel 1465, d’Aragona venne eletto da Paolo II commendatario dell’abbazia della Santissima Trinità di Cava e, nel 1467, di quella di Montevergine; il 15 gennaio 1483 fu nominato amministratore apostolico di Salerno.
Nel suo breve ministero riuscì, nonostante le molte incombenze, a celebrare nel 1484 un sinodo le cui costituzioni sono pervenute fino a noi: si tratta di un documento fondamentale per conoscere la situazione religiosa, sociale e civile dell’arcidiocesi alla fine del XV . Nel 1483 passò per Salerno, diretto in Francia, Francesco di Paola, il quale preconizzò un convento dei suoi figli spirituali che, di fatto, sorse nel 1516, a lui intitolato.
Alla morte di Giovanni d’Aragona, gli succede Ottaviano Bentivoglio, trasferito dalla diocesi di Melfi da Innocenzo VIII, su proposta del principe di Salerno, Antonello Sanseverino.
Il principe salernitano e il papa erano, infatti, alleati contro il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona.
Siamo nel biennio 1485-1486, caratterizzato dalla famosa «congiura dei baroni», nella quale ebbero una parte notevole Antonello e Girolamo Sanseverino: la vicenda si chiuse, nell’estate del 1486, grazie alla mediazione di Lorenzo il Magnifico e Ludovico il Moro.
Se la documentazione, ancorché lacunosa, consente di ricostruire le vicende dell’episcopato salernitano durante tutta l’età medievale, non altrettanto può dirsi, invece, per le confraternite: sull’argomento i documenti tacciono; non ci sono testimonianze che ci parlino di questi sodalizi, che tanta importanza hanno avuto nella storia della sociabilità, della carità e dell’assistenza in età moderna.
Si è autorizzati a concludere che il mondo confraternale non sia stato centrale nella storia religiosa di Salerno.
In città non c’erano confraternite di disciplinati, – le più diffuse nel Medioevo – che ritroviamo, invece, in zone limitrofe come Vietri, Cava, Giffoni ecc.
Dalla visita pastorale del 1515- 1516, essendo vescovo Federico Fregoso, risultano presenti in città solo quattro sodalizi: San Pietro di Portanova, Sant’Antonio di Padova, San Salvatore di Drapperia, San Bernardino, ai quali si può aggiungere la confraternita di Santa Maria della Pietà o dei Santi Crispino e Crispiniano, che sta in gubernio et custodia calzolarium (Ordinamento parrocchiale e confraternite, 158-159).
III - L’età moderna
Il primo vescovo che chiude il XV . e apre il XVI fu lo spagnolo Giovanni de Vera, eletto il 10 luglio 1500; costretto a rimanere fuori sede per impegni vari, governò la diocesi per il tramite dei suoi vicari generali.In maniera analoga si comportarono Federico Fregoso (1507-1533), Niccolò Ridolfi (1533-1548) e Ludovico de Torres (1548-1553), ecclesiastici di grande prestigio e cultura.
Fregoso, che Baldassarre Castiglione ricorda come uno dei dialoganti del suo Cortegiano (1528), era amico e corrispondente dei cardinali Pietro Bembo e Jacopo Sadoleto; Ridolfi era in corrispondenza con i sovrani d’Inghilterra e di Francia, Enrico VIII e Francesco I.
Anche se non residenti, questi vescovi non trascurarono tuttavia la diocesi: tutti e tre, infatti, sia pure per interposta persona – in genere, il vicario generale pro tempore – effettuarono la visita pastorale.
Durante l’episcopato di Fregoso, su istanza di Carlo V, Clemente VII nel 1525 crea la sede vescovile di Campagna, che unisce aeque principaliter a Satriano: l’arcidiocesi vede ridotta, dunque, la sua giurisdizione.
Dopo più di mezzo secolo, il primo vescovo a risiedere in diocesi fu Girolamo Seripando (1554-1563) che, dal 1539 al 1551, era stato generale degli agostiniani eremitani, lo stesso ordine del quale aveva fatto parte Lutero.
Vicino alle correnti dell’evangelismo, aveva frequentato, a Napoli, il circolo di Juan de Valdés, condividendo le istanze di rinnovamento della Chiesa, senza tuttavia accettare le proposte più radicali.
La nomina ad arcivescovo lo sorprese mentre si trovava a Bruxelles, alla corte di Carlo V: la proposta era partita proprio dall’imperatore, giacché l’arcidiocesi salernitana era, dal 1529, di patronato regio, dopo la pace di Barcellona stipulata tra Clemente VII e lo stesso Carlo V.
L’episcopato salernitano di Seripando durò un decennio: fino al 1560 risiedette in diocesi; da quell’anno venne chiamato a Roma da Paolo IV per partecipare ai lavori preparatori dell’ultima fase del concilio di Trento.
Nel 1561 fu nominato cardinale e legato pontificio a Trento, dove ebbe un ruolo molto importante.
A Salerno la sua azione pastorale fu instancabile: nel 1554 celebrò un sinodo le cui costituzioni rappresentano un modello di riferimento per i successivi vescovi.
Nel 1557, non potendo svolgere personalmente la visita pastorale, Seripando delegò il vicario generale, Orazio Greco Troiano, vescovo di Lesina; quindi pose mano alla riforma degli statuti del capitolo cattedrale, incontrando non poche resistenze.
I successori di Seripando – da Gaspare Cervantes di Gaete (1564-1568) a Marco Antonio Colonna (1568-1574), da Marco Antonio Marsilio Colonna (1574- 1589) a Mario Bolognini (1591-1605) – trovano, in un certo senso, il terreno già dissodato e, perciò, più favorevole ad accogliere i decreti tridentini, pur dovendo fare i conti con il regalismo spagnolo e con tutta una serie di resistenze mentali diffuse tanto nel clero quanto nel laicato.
Questi vescovi, in ossequio alle disposizioni dei padri conciliari, effettuarono la visita pastorale, convocarono sinodi diocesani e concili provinciali.
In quest’opera si distinse in particolare lo spagnolo Gaspare Cervantes, il quale, in soli quattro anni, celebrò tre sinodi diocesani e almeno un concilio provinciale, compì due visite pastorali e, nel 1565, fondò il seminario.
A tale proposito non è superfluo ricordare che Cervantes e Marco Antonio Colonna avevano partecipato all’ultima fase del concilio di Trento.
Alla data del 1579 la diocesi di Salerno risulta così costituita: città di Salerno, terre di Eboli, Montecorvino, Olevano, Montoro, Forino, Solofra, Serino, Giffoni Valle Piana, Giffoni Sei Casali, San Severino, San Giorgio, Calvanico, San Cipriano, Sava e Castelluccio Cosentino.
Rispetto alle arcipreture del 1169, si registra, nonostante la perdita di Campagna, un allargamento della rete delle antiche circoscrizioni locali.
Nel 1590 arrivano in diocesi i padri della Compagnia di Gesù, che, come altri religiosi, devono fare i conti con l’intransigenza e la severità del vescovo Bolognini.
Anche nel XVII . continua l’opera di riforma grazie all’azione dei cardinali Lucio Sanseverino (1612-1623), Giulio Savelli (1630-1642) e suo nipote Fabrizio (1642-1658), e dell’arcivescovo Giovanni de Torres (1658-1662).
Oltre ai problemi endemici che affliggevano di norma le diocesi meridionali – la povertà diffusa, l’esiguità delle rendite ecclesiastiche, il funzionamento intermittente dei seminari, la preparazione non sempre adeguata del clero ecc.
–, a metà del XVII sec., si abbatterono sull’arcidiocesi di Salerno due flagelli: la rivoluzione del 1647-1648, originata dalla rivolta di Masaniello, e la peste del 1656.
L’epidemia fu particolarmente crudele nei mesi da giugno a novembre, influendo sulle strutture demografiche e sulla sensibilità religiosa: molti furono i morti non solo tra i fedeli, ma anche tra i religiosi e i sacerdoti.
In questo periodo si intensificarono la devozione e il culto verso la Madonna e verso quei santi – come Rocco e Sebastiano – considerati protettori contro la peste.
Certamente gravida di conseguenze, non solo per l’arcidiocesi salernitana, fu la costituzione Instaurandae regularis disciplinae emanata da Innocenzo X nel 1652, passata alla storia come «la soppressione innocenziana dei piccoli conventi».
Nella città e nella diocesi di Salerno furono soppressi i seguenti conventi e monasteri: dei crociferi e dei monaci di Montevergine in città; degli agostiniani di Santa Maria delle Grazie a Eboli, di Sant’Aniello in Piazza del Galdo di Castel San Giorgio, dello Spirito Santo tra Pellezzano e Capriglia, di Sant’Angelo de Canicola tra Carpineto e Villa; dei domenicani a Solofra e a Olevano; dei conventuali, dei carmelitani e dei chierici regolari a Serino.
Per molti fedeli venne meno un punto di riferimento fondamentale, con grave pregiudizio per la vita religiosa.
Agli inizi del XVIII sec., secondo la Platea generale della Chiesa salernitana compilata da Matteo Pastore, la diocesi comprendeva diciannove arcipreture con centocinquanta parrocchie: la situazione, per taluni aspetti, si aggravò durante questo secolo, che segnò il trionfo dell’Illuminismo e del giurisdizionalismo.
Del 1741 è il concordato, ma anche l’introduzione del catasto onciario, che comporta la tassazione dei patrimoni ecclesiastici; del 1764 è la carestia, che miete molte vittime; del 1767 è l’espulsione della Compagnia di Gesù dal Regno di Napoli.
Il XVIII è tuttavia anche il secolo di Alfonso de Liguori (1696-1787), il «santo del secolo dei Lumi» che, nel 1732, fondò la congregazione del Santissimo Redentore, dedita specialmente alle missioni popolari.
Anche a Salerno, nel 1735, arrivarono i redentoristi, essendo vescovo Fabrizio de Capua (1730-1738), che fece di tutto per agevolare il lavoro di Alfonso e dei suoi confratelli.
Una delle prime case della nuova congregazione sorse, nel 1735, in diocesi, a Ciorani, dove Alfonso chiuse la sua vita terrena.
Durante l’episcopato di Casimiro Rossi (1738-1758), i rapporti tra l’arcidiocesi di Salerno e Alfonso e la sua congregazione diventarono più stretti: tra l’inverno e la primavera del 1739, Alfonso svolse la sua attività missionaria a Castiglione, San Cipriano Picentino, Prepezzano, Capitignano, Vignale, Sieti, Pontecagnano e altri centri; nel 1740, lo troviamo a Eboli, Olevano, Montecorvino, Santa Tecla, Ariano, Torello ecc.; nel 1741, a Solofra.
A Salerno, la grande missione iniziò il 6 e terminò il 23 gennaio 1758.
Il XVIII . si concluse con la rivoluzione del 1799 e la breve esperienza repubblicana.
La proclamazione della Repubblica partenopea (23 gennaio) fu accolta favorevolmente a Salerno, anche da alcuni chierici.
L’arcivescovo Salvatore Spinelli (1787- 1805), che pure durante i sei mesi dell’esperienza giacobina aveva agito con prudenza, nel mese di maggio fu arrestato e incarcerato a Napoli come controrivoluzionario.
Restaurata la monarchia, Spinelli poté riprendere il suo ministero pastorale: compì quattro visite pastorali e celebrò il sinodo nel 1803, i cui statuti furono dati alle stampe l’anno successivo.
Dopo la parentesi della Repubblica partenopea, la diocesi visse nuovamente un periodo di difficoltà durante il decennio francese (1806- 1815), allorché dovette registrare la soppressione di molti monasteri e conventi, nonché la riduzione del numero delle parrocchie.
Nel 1811 fu soppressa da Gioacchino Murat anche la Scuola medica.
Il salernitano Fortunato Maria Pinto (1805- 1825), una volta restaurata la monarchia borbonica, si adoperò perché fossero ripristinati monasteri, conventi e parrocchie e, dopo il concordato del 1818, chiese al re e al ministro per il culto che fossero riammessi in città i domenicani e i gesuiti.
Nello stesso anno, il 27 giugno, fu nominato da Pio VII, con la bolla De utiliori dominicae, amministratore perpetuo della diocesi di Acerno.
Furono dichiarate suffraganee dell’arcidiocesi salernitana le diocesi di Capaccio, Policastro, Nocera dei Pagani, Nusco.
Più tardi, nel 1850, si aggiunse Teggiano.
Breve fu il governo pastorale di Michele Arcangelo Lupoli (1831-1834), figura insigne di studioso, teologo e apologista, autore di varie opere, tra le quali una vita di san Carlo Borromeo, mentre complicati dalle vicende politiche nazionali e internazionali risultano gli episcopati di Marino Paglia (1835-1857) e di Antonio Salomone (1858-1872).
I moti del 1848, cui non furono estranei alcuni sacerdoti liberali, coinvolsero poi in maniera grave il canonico Giuseppe Paesano, teologo e storico della Chiesa salernitana, accusato ingiustamente di aver sposato la causa dei liberali rivoltosi.
Per prudenza, Paglia decretò la chiusura momentanea del seminario.
I gesuiti, tornati a Salerno dopo ben sessantasette anni di assenza forzata, l’11 marzo 1848 dovettero abbandonare la città, dove ritornarono nel 1850.
Nell’ottobre 1849, arrivò a Salerno Pio IX che, costretto all’esilio dopo l’instaurazione della Repubblica romana, si era rifugiato nel Regno delle Due Sicilie.
Nonostante il periodo non facile, Paglia riuscì a governare saggiamente la diocesi, che ebbe modo di visitare per ben cinque volte.
Convulso e, per molti aspetti, drammatico fu il periodo nel quale si trovò a esercitare il ministero pastorale Antonio Salomone.
Il 6 settembre 1860 Garibaldi era a Salerno e, qualche giorno dopo, l’11, Salomone lasciava la città di notte, per rifugiarsi prima a Napoli, dove rimase fino al 1865, e poi a Roma, dove restò fino al 7 settembre 1866.
L’arcivescovo era accusato di non aver voluto cantare il Te Deum per la vittoria dei garibaldini e, per questo motivo, venne sottoposto a processo, ma fu prosciolto: i testimoni sostennero che era infermo a letto.
Il biennio 1865- 1866 provocò danni irreparabili nell’arcidiocesi e in tutto il Mezzogiorno: la liquidazione dell’asse ecclesiastico, sopprimendo capitoli e conventi, mandò in rovina il clero meridionale.
Il Nord, dove prevaleva l’organizzazione parrocchiale, non subì le gravi conseguenze patite dal Sud dove, accanto ai monasteri e ai santuari, era prevalente la chiesa ricettizia, la cui proprietà aveva carattere laicale e privato.
Il lungo episcopato del lucano Valerio Laspro (1877-1914) si dispiegò in un periodo ricco di fermenti e particolarmente significativo per la storia dell’Italia e del Mezzogiorno, della Chiesa e del movimento cattolico, ma anche della stessa città di Salerno che, nel 1889, diventò la sede della Regione ecclesiastica salernitano-lucana, comprendente quattro province ecclesiastiche: Salerno, Acerenza, Conza e Matera, nonché le diocesi di Amalfi, di Campagna, di Cava e Sarno, di Melfi e Rapolla, e l’abbazia nullius della Santissima Trinità di Cava.
Nell’arcidiocesi si avvertivano gli echi delle grandi questioni nazionali – la «questione romana», la «questione meridionale» e la «questione sociale» –, nonché i dibattiti concernenti l’Opera dei congressi, il non expedit, la pubblicazione della Rerum novarum, la nascita della Democrazia cristiana, gli accordi clerico-moderati, il modernismo, il patto Gentiloni.
Laspro sembrò coniugare bene tradizione e innovazione, non trascurando di animare il vecchio associazionismo e cercando di promuovere le nuove forme di aggregazione laicale.
Attento alle novità, s’impegnò a promuovere l’organizzazione del laicato secondo lo stile e lo spirito dell’Opera dei congressi.
In quel periodo nacquero i primi comitati parrocchiali, uscì «Il Buon Senso» (19 settembre 1897), fu celebrato a Salerno, dall’11 al 14 aprile 1901, il primo – e unico – congresso cattolico della regione ecclesiastica salernitano- lucana; sorsero, tra il marzo e il luglio 1910, alcune casse rurali: la «San Martino » di Montecorvino Rovella e la «Sant’Eustachio » di Brignano.
Prima ancora, il 29 giugno 1909, era stata fondata la Banca popolare cattolica salernitana da Arturo Capone, prete impegnato su più fronti, giornalista autorevole, autore di vari saggi di carattere storico, in particolare sul duomo e sul seminario di Salerno.
Instancabile fu l’azione di Carlo Gregorio Maria Grasso (1915-1929) durante gli anni della prima guerra mondiale.
Indirettamente o direttamente, l’arcivescovo fece sentire la sua presenza vigile e paterna, promuovendo il comitato cattolico di soccorso per i figli dei richiamati, adoperandosi molto in favore dei prigionieri di guerra salernitani.
Grande sensibilità dimostrò il vescovo in occasione dell’arrivo dei profughi in città dopo la disfatta di Caporetto, invitando, il 20 novembre 1917, la comunità cristiana a dare loro fraterna accoglienza: «Venendo essi in mezzo a noi, sentano di essere tra fratelli veri, con i quali si assideranno allo stesso desco, divideranno lo stesso pane, formeranno una sola famiglia» (Masi, Vita di Mons.
Carlo Gregorio M.
Grasso, 244).
Il 1917 è anche l’anno in cui iniziarono le pubblicazioni de «Il Piccolo Corriere», organo dell’Azione cattolica salernitano-lucana, che ebbe un ruolo notevole nelle vicende del primo dopoguerra, con particolare riferimento all’attività politica del Partito popolare, fondato il 16 marzo 1919, e all’attività sindacale delle leghe bianche, protagoniste dell’occupazione delle terre negli anni 1920-1922.
Sul piano ecclesiale, sono da ricordare due avvenimenti, entrambi dell’aprile 1925: il congresso eucaristico regionale e il primo concilio plenario della regione ecclesiastica salernitanolucana.
Il barlettano Nicola Monterisi (1929- 1944) governò l’arcidiocesi con mano ferma e decisa, volendo eliminare tutta una serie di «abusi» che caratterizzavano la vita religiosa.
Nel 1941 celebrò il sinodo diocesano, a 138 anni dall’ultimo dell’arcivescovo Spinelli.
Fondò l’opera di San Gregorio VII per le vocazioni, istituì venticinque nuove case religiose femminili, otto maschili, dodici parrocchie e riformò gli statuti delle confraternite.
Durante la seconda guerra mondiale, Monterisi e la Chiesa salernitana furono un punto di riferimento non solo per la popolazione, ma anche per le autorità civili e militari.
Sotto i bombardamenti che colpirono la città e dintorni morirono i sacerdoti Pasquale Bonavoglia, Vito De Nicola e Felice Ventura.
L’episcopato del calabrese Demetrio Moscato (1945-1968) si svolse tra la fine della guerra, gli anni della ricostruzione, la celebrazione del concilio Vaticano II e gli inizi della contestazione giovanile che, all’interno della Chiesa, diede origine al fenomeno del «dissenso cattolico».
A livello locale, tragica fu la pagina dell’alluvione che si abbatté su Salerno la notte del 25 ottobre 1954.
L’arcivescovo fu tra i primi ad arrivare sui luoghi del disastro: organizzò, con le autorità civili, i soccorsi, meritando la medaglia d’argento al valor civile.
Durante l’episcopato di Moscato, arrivarono a Salerno i salesiani di san Giovanni Bosco: la prima pietra dell’opera salesiana venne posta nel febbraio 1953.
L’arcivescovo Gaetano Pollio (1969-1984) prima di arrivare a Salerno era stato, dal 1947, arcivescovo metropolita di Kaifeng, in Cina, dove fu perseguitato e messo in prigione.
Arcivescovo di Otranto dal 1960, Pollio fu promosso alla Chiesa primaziale di Salerno, cui venne annessa, il 10 febbraio 1969, quella di Acerno e più tardi, il 28 ottobre 1971, si aggiunse l’amministrazione di Campagna.
Costretto a chiudere il seminario regionale, si trovò ad affrontare la stagione «calda» post-conciliare, che aveva in parte caratterizzato l’episcopato di Moscato.
Guerino Grimaldi (1984-1992) decise di trasferire i seminaristi alla colonia San Giuseppe e, nell’antico seminario, installò l’archivio, il museo e la biblioteca diocesani.
Molto attento alla comunicazione sociale, potenziò il settimanale «Agire» e «Radiostella», e fondò il canale televisivo «Telediocesi».
Nel 1986, con la riforma e la riduzione delle diocesi, Campagna ritornò agli arcivescovi salernitani e si costituì l’arcidiocesi di Salerno- Campagna-Acerno.
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Diocesi di Salerno - Campagna - Acerno
Chiesa di San Matteo
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.