La storia della diocesi è strettamente legata alla storia dell’abbazia della Santissima Trinità, fondata da sant’Alferio nel 1011. Già nell’XI sec., infatti, l’abbazia ottenne dalla Sede apostolica l’esenzione: Urbano II, con bolla del 1089, sancì la giurisdizione diocesana sul territorio, sottratto ai vescovi di Salerno e di Paestum, confermando che l’abbazia, con le dipendenze, «è soggetta alla sola Chiesa romana». Il territorio della diocesi, anche se vasto, mostrava agli inizi la discontinuità che conserverà fino al 1972: le circa cinquanta dipendenze enumerate dalla bolla papale, che formavano l’Ordo Cavensis, si estendevano a macchia di leopardo in diverse regioni e diocesi. Dall’XI . alla fine del XIII governarono l’abbazia abati notevoli per capacità organizzative e per santità di vita: i primi quattro – Alferio, Leone, Pietro e Costabile – furono venerati come santi; altri otto – Simeone, Falcone, Marino, Benincasa, Pietro II, Balsamo, Leonardo, Leone II – come beati. Di questi, san Pietro (1079-1123) estese l’influenza dell’abbazia cavense in tutta l’Italia meridionale e favorì una profonda azione sociale. Il successore san Costabile (1123- 1124) fondò il castello dell’Angelo – detto poi Castellabate – a difesa delle popolazioni dalle incursioni dei saraceni. Il beato Simeone (1124-1140) completò la costruzione del castello e concesse agli abitanti importanti agevolazioni.
II - Dall’elevazione a vescovato all’unione
con la congregazione cassinese
Nel 1394 papa Bonifacio IX insignì la Terra di Cava del titolo di «città» ed elevò l’abbazia a vescovato, riconoscendo come esistente la giurisdizione diocesana. Il quarto vescovo-abate, Angelotto de Fusco – creato cardinale nel 1431 – ritenne in commenda l’abbazia e affidò la diocesi a vescovi residenti come suoi vicari generali. Nel 1485 la commenda fu assegnata al cardinale Oliviero Carafa, arcivescovo di Napoli, il quale la rimise nelle mani del papa Alessandro VI. Questi, con bolla del 10 aprile 1497, abolì la commenda, soppresse il vescovato e unì l’abbazia alla congregazione di Santa Giustina di Padova, detta in seguito cassinese.
III - Dall’unione alla congregazione
cassinese alle soppressioni dell’Ottocento
Con l’unione alla congregazione cassinese l’abbazia ritornò allo stato di un secolo prima: abolita la dignità episcopale, gli abati continuarono a esercitare la giurisdizione quasi episcopale. Novità nella nomina dell’abate: non più a vita né eletto dalla comunità, veniva nominato dal capitolo generale della congregazione. Gli abitanti di Cava, vedendosi di nuovo governati da un pastore abate, vollero un proprio vescovo, che fu concesso con bolla di Leone X del 22 marzo 1513. Da questa data la diocesi abbaziale rimase in massima parte nel Cilento. Il ministero parrocchiale era ancora esercitato dai monaci nei paesi dove l’abate conservava la giurisdizione feudale. Le altre parrocchie erano rette da sacerdoti secolari. I registri delle visite pastorali, che cominciarono dal 1505, attestano la solerte cura degli abati già prima del concilio di Trento. La riforma tridentina fu attuata con grande zelo: furono istituiti due seminari e furono celebrati diversi sinodi, il primo dei quali nel 1590. Altri tre sinodi furono tenuti nel secolo seguente, nello spazio di venticinque anni (1603, 1614, 1628). Nel Settecento, a opera dell’abate Giulio De Palma, fu ricostruita la basilica cattedrale e un nuovo seminario. Per effetto della Rivoluzione francese, l’abbazia come tale fu soppressa dal re di Napoli Giuseppe Bonaparte nel 1807, ma lo «stabilimento» fu affidato all’abate come direttore e a venticinque monaci come custodi. La diocesi fu affidata ai vescovi vicini, i quali l’amministrarono in nome dell’abate. Con la restaurazione borbonica (1815) la situazione si normalizzò. Nel 1866, con la nuova soppressione del governo sabaudo, la badia fu dichiarata monumento nazionale. La diocesi non fu toccata e l’abate ne fu riconosciuto ordinario. Fu riaperto il seminario diocesano, che accolse alunni anche di altre diocesi. Nel difficile momento Guglielmo Sanfelice, poi arcivescovo di Napoli, aprì un collegio per laici con scuole ginnasiali e liceali.
IV - Storia recente e ristrutturazione
Il Novecento, con gli abati a vita, segna una più incisiva impronta nella vita della diocesi. Da segnalare la fondazione del «Bollettino Ecclesiastico per la Diocesi», voluto nel 1917 dall’abate Angelo Ettinger. Il successore Placido Nicolini celebrò nel 1923, dopo oltre due secoli dall’ultimo, un importante sinodo, che servì da traccia ad altri sinodi della regione. L’abate Ildefonso Rea (1929-1945), insieme all’ammodernamento del complesso monastico, attese alla costruzione di nuove chiese. Dopo il concilio Vaticano II gli abati Eugenio De Palma (1967-1969) e Michele Marra (1969-1992) furono confermati dalla Santa Sede come amministratori apostolici in vista della ristrutturazione della diocesi. Il primo provvedimento al riguardo fu il decreto della Congregazione per i vescovi del 29 marzo 1972, che affidava in amministrazione apostolica ai vescovi vicini le ventuno parrocchie in provincia di Salerno e l’unica in provincia di Potenza. La sistemazione definitiva è avvenuta nel 1979: la Congregazione per i vescovi ha sancito il distacco di tutte le antiche parrocchie e ha costituito il nuovo territorio con tre parrocchie della diocesi di Cava e con quella incorporata alla cattedrale. Nel suo territorio si trovano i santuari di San Vincenzo Ferreri in Dragonea e dell’Avvocatella in San Cesareo, che è santuario mariano tra i più frequentati della Campania.
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.