Eretta da Sisto IV con bolla del 18 aprile 1474, la diocesi nacque dal disegno politico di Guglielmo VIII Paleologo, mirante a trasformare il marchesato di Monferrato ancora feudale in un moderno stato accentrato; disegno che si coagulò intorno al borgo di Casale, divenuto da qualche decennio sede stabile della corte marchionale. Il Casalese, fino al 1474 soggetto alla diocesi di Vercelli, venerava come protomartire locale sant’Evasio, presunto vescovo astigiano di epoca longobarda, in onore del quale era sorta una chiesa, ricostruita (tra XI e XII sec.) in forme architettoniche imponenti. Elevando il borgo di Casale al rango di città, Sisto IV la rese sede vescovile, la dotò di un territorio (a spese delle diocesi di Vercelli e di Asti) e nominò primo vescovo Bernardino Tibaldeschi. L’istituzione della diocesi, al di là dell’intento autocelebrativo, rientrava nel quadro di rinnovamento spirituale promosso dal principe: a Casale, con l’introduzione dell’osservanza francescana, domenicana e agostiniana; nel Monferrato, con l’impulso dato al santuario di Crea. L’episcopato Tibaldeschi (1474-1517) si dipanò all’ombra della religiosità degli ultimi Paleologi, tra rigore disciplinare contro gli abusi ricorrenti del clero diocesano e aperta disponibilità verso le istanze devozionali dei sodalizi confraternali.
II - Dai Paleologi ai Gonzaga
La giovane diocesi si trovò coinvolta nel lungo periodo delle guerre d’Italia e nella turbolenta transizione del marchesato dai Paleologi ai Gonzaga sancita da Carlo V nel 1536. Con un bilancio nel complesso negativo. Vescovi spesso latitanti dalla loro sede casalese, talvolta vistosamente compromessi nella spregiudicata politica degli stati rinascimentali, come lo fu Bernardino Castellaro. Un clero cittadino mondanizzato, sempre a caccia di benefici ecclesiastici; un clero rurale ignorante e abbandonato a se stesso: nessuna visita pastorale, nessun sinodo fino al 1556. Più zelante si mostrò il laicato nel gestire le confraternite e nel crearne di nuove, come l’Opera pia della Misericordia, a Casale nel 1527, per il soccorso dei poveri e l’istruzione dei fanciulli. Un laicato percorso, in alcune frange elitarie, da fremiti di riforma religiosa e da aspirazioni conciliazionistiche, ben rappresentate dalla Torricella di Ottone Lupano pubblicata nel 1540.
III - La riforma tridentina
Ad avviare il processo di riforma cattolica fu Scipione d’Este. Tra il 1556 e 1560 – in anticipo sulla conclusione del concilio di Trento – iniziò le visite pastorali e convocò un sinodo; promosse l’applicazione dei decreti tridentini e istituì il seminario (1566). Operazioni che seppe gestire nonostante le lacerazioni politiche in atto: la città di Casale ingaggiò in quegli anni un’aspra lotta contro Guglielmo Gonzaga in difesa dell’autonomia delle istituzioni comunali, ma fu costretta a piegarsi all’assolutismo del duca. Non a caso, dei nove vescovi che si succedettero dalla morte dell’Este (1567) alla metà del Seicento, ben sette furono originari di Mantova e creature dei Gonzaga. Il modello di riforma messo a punto da Carlo Borromeo nella diocesi milanese (di cui Casale era suffraganea) fu imitato da Benedetto Erba. Durante il suo episcopato (1570-1576), a Casale furono introdotti i barnabiti, istituite le Scuole della dottrina cristiana, eretto il monte di pietà, celebrati tre sinodi per il clero. «Una città notabilmente riformata»: così Stefano Guazzo definiva nel 1586 la sua Casale, lodando l’«angelica impresa» educativa compiuta dai barnabiti. Sostenuta da visite pastorali/apostoliche e sinodi periodici, la riforma cattolica si estese alle campagne monferrine; ispirò, sullo scorcio del secolo, il progetto e la prima realizzazione del Sacro Monte di Crea.
IV - Sei e Settecento
Con la costruzione della vasta cittadella (terminata nel 1595) i Gonzaga trasformarono Casale in un avamposto militare. Durante tutto il Seicento la città-fortezza fu contesa dalle maggiori potenze europee. Il permanente stillicidio delle violenze non risparmiò – come documentano le cronache di G. D. Bremio e G. B. Vassallo – né il clero né i luoghi di culto monferrini. L’azione pastorale dei vescovi si fece forzatamente più intermittente; si allentò l’impulso disciplinatore del Tridentino. La pietà popolare, punteggiata di fenomeni miracolosi, si espresse con grandiosi riti collettivi. Casale riuscì nonostante tutto a dotarsi di nuove famiglie religiose (filippini, somaschi) e di nuove chiese. Dopo l’annessione del Monferrato allo stato sabaudo (1708), il vescovo Pietro Secondo Radicati si scontrò con la politica di Vittorio Amedeo II tendente a limitare le immunità ecclesiastiche; nel 1727 il re di Sardegna ne ottenne la rimozione. Da allora e per tutto il Settecento nel vescovato casalese si succedettero personalità legate alla corte di Torino. Messa la sordina ai conflitti giurisdizionali, la Chiesa locale fiorì durante il XVIII . tra il permanere di forme di pietà barocca (si pensi alla diffusione dell’Entierro, la spettacolare processione del venerdì santo) e l’esigenza diffusa di un cattolicesimo illuminato (ben rappresentata dalla fondazione, nel 1738, della biblioteca del seminario). Una schiera di architetti di valore (G. B. Scapitta, F. Gallo, B. Vittone, B. Alfieri, F. O. Magnocavallo) punteggiò il Monferrato di nuovi edifici religiosi. Serpeggiarono anche, tra alcune cerchie ristrette di ecclesiastici, fermenti giansenistici antigerarchici.
V - Nuove circoscrizioni diocesane
Cessata la bufera rivoluzionaria, nel Piemonte divenuto provincia francese furono soppresse, nel 1803, ben nove delle diciassette diocesi subalpine. Tra esse, Casale; che venne incorporata (con Tortona e Bobbio) nella diocesi di Alessandria. Nel febbraio 1805 fu creato vescovo di Alessandria Gian Crisostomo Villaret, commissario di Napoleone per gli affari ecclesiastici del Piemonte. Il prelato, nel luglio seguente, trasferì la sede episcopale a Casale, dove rimase (suffraganea del metropolita torinese) fino al tramonto del dominio francese. Tornati i Savoia, nel 1817 Pio VII ricostituì le diocesi soppresse ed elevò alla dignità di metropoli Vercelli, di cui divenne suffraganea Casale, la cui circoscrizione territoriale assunse la forma attuale.
VI - Otto e Novecento
L’episcopato si misurò con i problemi cruciali del cattolicesimo del XIX . Cercò prima di arginare il processo di laicizzazione dello stato sardo; fu poi fervido sostenitore dell’infallibilità pontificia e si mostrò intransigente sulla questione romana; promosse quindi l’impegno della Chiesa nel sociale, favorendo l’organizzazione del laicato cattolico. Nel secondo Ottocento lo spirito innovatore di don Bosco investì il Monferrato: vi fece sorgere asili, oratori, collegi; suscitò per decenni schiere di vocazioni religiose. Della storia diocesana del XX . basti qui ricordare l’impegno dei cattolici nel fronteggiare (con lo strumento cooperativo e delle casse rurali) la grave crisi enologica d’inizio Novecento; lo sforzo di riorganizzazione interna dell’Azione cattolica durante il ventennio fascista; i coraggiosi interventi di monsignor Giuseppe Angrisani (1940-1971) in difesa della popolazione monferrina nel difficile biennio 1944-1945. Più recentemente, l’azione pastorale di Carlo Cavalla (1971-1995) per attuare la riforma conciliare e l’opera di restauro del patrimonio artistico diocesano (in particolare della cattedrale di Sant’Evasio e del suo splendido nartece) promossa dal vescovo attuale, Germano Zaccheo.
Bibliografia
L.
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Cassano, Mons.
Pietro Maria Ferrè, vescovo di Casale Monferrato, Stresa 1999; B.
Ferrero, Con una cappa di tela rossa.
Profilo storico della Confraternita della Ss.
Trinità di Lu, «Quaderni luesi», 4, 2002, 3-70; B.
A.
Raviola, Il Monferrato gonzaghesco.
Istituzioni ed élites di un microstato (1536-1708), Firenze 2003; F.
Moscone, I vescovi di Casale Monferrato nel XX secolo, Casale Monferrato 2004.
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