Diocesi di Ancona - Osimo
STORIA
I - Le origini
Le prime notizie su Ancona risalgono al 387 a.C.quando una colonia di dori siracusani si stabilì sul colle Astagno, costituendo il primo nucleo abitato della futura città.
Il piccolo centro urbano conobbe un rapido sviluppo suscitando ben presto le attenzioni dell’imperatore e del Senato romano.
Dal punto di vista religioso, è Agostino d’Ippona a dare le prime indicazioni sicure sulla presenza di una comunità cristiana ad Ancona.
In una omelia (Sermo 323, PL XXXVIII, 1145-1146) dichiara che, dedicata all’apostolo Stefano, una «memoria antiqua », cioè una basilica, «ibi erat».
Il sermone, pronunciato attorno al 423, attesta dunque con certezza la presenza di cristiani ad Ancona almeno a partire dalla fine del III . Nessuna traccia della basilica, attualmente, è conservata.
Un’altra interessante fonte per attestare la presenza di una comunità cristiana è un cubicolo rinvenuto ad Ancona nel 1879, appartenente a un certo Flavio Evenzio o Evinzio, costruito per la sua sepoltura.
Secondo l’attento parere del De Rossi, l’ipogeo non sarebbe posteriore al V . Altri preziosi ritrovamenti sono i pavimenti musivi e i riquadri con iscrizioni funerarie appartenenti a due chiese paleocristiane, conservate sotto la chiesa romanica di Santa Maria della Piazza, e databili l’una tra il IV e il V sec., l’altra tra il V e il VI.
Sempre in Ancona è stata ritrovata un’iscrizione cristiana, di un certo «Stephanus in Cri[sto]», databile attorno al V . Non abbiamo notizie certe attorno all’inizio della Chiesa anconetana.
Gams individua in san Primiano, di origine greca, martire sotto Massenzio il 31 agosto 307, il primo vescovo di Ancona, mentre ritiene secondo vescovo della diocesi san Ciriaco, martire sotto Giuliano l’Apostata.
Di opinione contraria è l’Ughelli per il quale Ciriaco sarebbe il primo della serie episcopale.
Anche se l’opinione del Gams risulta più attendibile, aperta è la questione relativa alla relazione dei due martiri con la diocesi anconetana.
In altre parole, se appare sicura la data del loro martirio, non lo è il loro episcopato ad Ancona.
Il terzo nome, questa volta più attendibile, della serie episcopale anconetana è quello di un certo Marcus, presente al concilio Lateranense del 462 sotto papa Ilario.
Il fatto che non sia presente al sinodo romano del 465 lascia credere che in quel momento la sede sia già divenuta vacante.
Nel 496 un nuovo vescovo occupa la cattedra di Ancona.
Lo documenta la lettera inviata da Gelasio I a Massimo ed Eusebio, vescovi forse del Piceno, in quello stesso anno.
Gelasio I, tuttavia, lascia per noi anonimo il vescovo anconetano limitandosi a definirlo «pontifex anconitanus ».
Attorno al 500, secondo Gams, dovrebbe seguire un certo Traso.
Il primo vescovo storicamente identificabile è san Marcellino.
Di lui fa menzione Gregorio Magno in Dialoghi I,6,1 riferendo un fatto miracoloso di cui Marcellino fu inatteso protagonista.
Propagatosi «per culpam incuriae» un minaccioso incendio, la città di Ancona fu invasa dalle fiamme e inutili si rivelarono i tentativi per spegnerle.
L’improvviso arrivo di Marcellino e il suo ordine di essere collocato davanti al fuoco [«contra ignem me ponite »], valsero inaspettatamente uno spontaneo regresso delle fiamme e la loro repentina estinzione.
Rimane per noi ignoto il periodo esatto del suo episcopato.
Gregorio scrisse l’opera in cui ne fa menzione nel 593.
Già allora il vescovo anconetano doveva essere morto da tempo in quanto Gregorio afferma: «vir vitae venerabilis Marcellinus fuit».
Comunemente, la probabile datazione viene individuata nel 550 d.C.
Suo successore fu, nel 569, il vescovo Tommaso mentre, dopo il 590, occupò la cattedra episcopale un certo Sereno, destinatario dal novembre 598 di alcune lettere di Gregorio Magno.
Per conto dello stesso papa, il vescovo Sereno assunse l’ufficio di visitatore della Chiesa di Osimo riconquistata all’impero.
Dovette morire nel 603 in quanto, in quell’anno, papa Gregorio inviò una lettera a Giovanni, vescovo di Rimini, e al vescovo Armerio, visitatore della Chiesa di Ancona, per suggerire i criteri per la scelta del successore.
Dalla lettera di Gregorio pare che il papa individuasse in un certo Fiorentino, diacono di Ravenna, il probabile candidato alla successione.
Se poi di fatto sia stato eletto vescovo di Ancona, non possediamo alcuna prova che lo attesti.
Dalla caduta dell’Impero romano, iniziò per Ancona un lungo periodo di invasioni.
Prima quella dei visigoti, poi dei vandali, infine quella dei goti sia di Vitige che di Totila.
Successivamente, la calata dei longobardi costrinse la città ad arrendersi al nuovo conquistatore, vinto solo dalle truppe dei franchi che sottoposero la città sotto l’alto dominio della Chiesa.
Da allora la regione prese il nome longobardo di «marca».
Nell’848 Ancona visse uno dei momenti più difficili della sua storia antica.
Sconfitta nel canale d’Otranto la flotta venetoanconitana, i saraceni occuparono la città e la distrussero, facendo perdere traccia dei monumenti e delle strutture paleocristiane.
Meritevole di particolare menzione fu l’episcopato del vescovo Leopardo, intervenuto nel concilio dell’861, indetto da Niccolò I.
Come sappiamo dal Liber Pontificalis, II, 185, il vescovo anconetano fu legato di Adriano II presso i bulgari.
Anche l’episcopato del suo successore, Paolo, riveste particolare importanza.
La stima di papa Giovanni VIII gli guadagnò incarichi di particolare fiducia.
Tra questi si segnala la presidenza, nell’879, del concilio Costantinopolitano, celebrato per dirimere la controversia foziana.
Il fatto, tuttavia, segnò il vertice e il declino di questo vescovo.
L’inaspettato appoggio accordato a Fozio, infatti, gli valse la comune scomunica e la deposizione dal seggio episcopale.
Nuovo vescovo anconetano fu un certo Bolongerio (o Bonolergio o Benolergio).
Tuttavia il diploma di Theodicius che lo attesta è un falso.
Un diploma documenta successivamente la presenza di un certo Erfemario nel 967 mentre nel 997, un diploma dell’imperatore Ottone III rileva la presenza di un certo Traso II.
Segue poi una serie di vescovi di cui conosciamo poco più che il nome: Stefano, citato da un breve di Giovanni XIX, attorno al 1030; Grimaldo nel 1051, Gerardo da una bolla emanata nel concilio celebrato a Roma nel 1069 sotto Alessandro II.
Nel 1179 al concilio Lateranense partecipò il vescovo Gentile.
In questi anni la città recuperò gradualmente la sua importanza politica e militare: nel 1137 respinse l’assedio di Lotario III e nel 1174 l’assalto di Cristiano, arcivescovo di Magonza, luogotenente del Barbarossa.
Dal 1204 al 1237 fu vescovo di Ancona Gerardo.
Numerose le iniziative durante questo episcopato.
Nel 1204 la consacrazione della chiesa di San Marco; il 2 maggio 1224 il ritrovamento sotto l’altare centrale della chiesa di San Pellegrino dei resti mortali dei santi martiri Pellegrino, Flaviano ed Herculanus; poi la normativa in merito al corpo canonicale; infine la mediazione richiesta da parte della Santa Sede in una controversia sorta tra il comune di Fano e l’abbazia di San Paterniano.
Nel 1219 giunge ad Ancona san Francesco d’Assisi, in partenza verso l’Oriente.
Dopo l’episcopato di Persevallo, segue quello particolarmente lungo, dal 1243 al 1284, del vescovo Giovanni Bono.
Tra le vicende più importanti si impone la sua partecipazione al concilio di Lione nel 1245 e la sua nomina a vicario papale per il Regno di Sicilia.
Dal 1299 al 1326 si distingue l’episcopato di Nicola degli Ungari.
Consacrato da Bonifacio VIII, il presule coniugò, con un certo successo, la duplice attività diplomatica e pastorale.
Nunzio in Germania, in diocesi fu impegnato nella consacrazione di alcuni altari, tra i quali quello di San Francesco in cattedrale nel 1316.
II - Dalla conquista malatestiana alle attuazioni tridentine
Dopo un certo numero di vescovi rimasti brevemente a capo della diocesi, segue nel 1349 l’episcopato di Giovanni Tedeschi, durante il quale vennero ritrovate le spoglie di san Primiano.È questa una tumultuosa fase della vita di Ancona.
Le vicende politiche – la conquista dei Malatesta avvenuta nel 1348 e l’energico recupero da parte del cardinale Albornoz nel 1355 – vedono la città attraversata da pestilenze e da degrado.
Sotto il profilo ecclesiastico, invece, la diocesi, favorita dalle sue fortificazioni, riesce a rimanere neutrale nella accesa controversia dello scisma d’Occidente.
Si segnalano, a riguardo, gli infruttuosi tentativi di Clemente VI per occupare la città.
La serie episcopale diventa particolarmente complessa sul finire del grande scisma.
Nel 1409, deposto dal concilio di Pisa, Gregorio XII rimosse dalla sede anconetana il vescovo Lorenzo Ricci, colpevole di aver aderito al nuovo pontefice Alessandro V e lo sostituì con Simone Vigilanti, generale degli agostiniani.
Nel 1412 Giovanni XXIII, succeduto a sua volta ad Alessandro V, trasferì il Ricci alla Chiesa di Senigallia e rifiutando di riconoscere Vigilanti nominò al suo posto Pietro Ferretti nel 1413.
La contesa si risolse solo sotto Martino V che trasferì Vigilanti a Senigallia (rimasta nel frattempo vacante) e Ferretti ad Ascoli Piceno.
Nuovo vescovo di Ancona fu Astorgio degli Agnesi.
Durante il suo episcopato, il 19 ottobre 1422 papa Colonna unì alla diocesi di Ancona quella di Numana con l’ingiunzione, per il vescovo, di assumere i titoli di entrambe le diocesi.
Non sarebbe trascorso molto tempo, invece, che il titolo di Numana non sarebbe stato più nominato.
Trasferito non senza difficoltà a Benevento Astorgio degli Agnesi, nel 1436 gli successe Giovanni Caffarelli, distintosi anche lui per l’assunzione di numerosi incarichi da parte della Santa Sede.
Morto nel 1460 a Roma, gli successe un uomo di raffinata cultura: Agapito Rustici-Cenci.
Trasferito dopo soli tre anni nella vicina Camerino, venne nominato vescovo di Ancona Antonio Fatati.
Il vescovo anconetano, meno colto del precedente, era tuttavia un pastore particolarmente sollecito e di singolari virtù.
Alla sua morte (†1484) gli anconetani lo invocarono come intercessore attestando, in questo modo, la sua fama sanctitatis.
Grazie alle successive disposizioni di Urbano VIII in merito alle procedure da seguire nelle cause di canonizzazione, nel 1785 Pio VI riconobbe il culto ab immemorabili e lo proclamò beato.
Uomo di curia più che pastore fu Pietro degli Accolti, vescovo di Ancona nel 1505 e successivamente cardinale.
Rinunciò alla guida della diocesi in favore del nipote Francesco, a sua volta succeduto da un altro nipote del cardinale, Baldovinetto Baldovinetti.
Dal 1523 al 1538 il nuovo vescovo si dimostrò sollecito nella cura pastorale della diocesi.
Figure di poco spessore furono Gerolamo Granderoni (1538-1550) e Matteo Lucchi (1550-1556).
Il fratello di quest’ultimo, Vincenzo, divenuto vescovo di Ancona nel 1556, si distinse come riformatore.
Seriamente impegnato nell’attuazione delle disposizioni del concilio di Trento, disciplinò l’assunzione dei benefici imponendo la conseguente residenza ai titolari e istituì il seminario.
Morto nel 1585, gli successe Carlo Conti, poi elevato alla dignità cardinalizia.
Fu un degno successore di Vincenzo Lucchi.
Celebrò un sinodo diocesano, compì ben cinque visite pastorali nella sua diocesi e vi accolse i gesuiti.
Dopo la breve parentesi del cardinal Savelli (1616-1622), il governo della diocesi fu assunto dal cardinal Gallo.
Fino al 1656, anno della morte, costante rimase il suo impegno pastorale: celebrò quattro sinodi, compì cinque visite pastorali, favorì la presenza dei gesuiti, degli scolopi, dei carmelitani scalzi, delle cappuccine.
Nipote del cardinale Carlo Conti, dal 1664 al 1698 resse la diocesi di Ancona Giannicola Conti.
Accanto al consolidamento delle iniziative dei suoi predecessori, si distinse per la sua azione di sostegno verso la città, prostrata dalle ridotte attività commerciali e, in particolare, dal devastante sisma del 1690.
Per risanare la compromessa situazione economica e sociale Clemente XII concesse il potenziamento del porto di Ancona e il riconoscimento dello stesso come zona franca.
Lo stesso pontefice arricchì la città di opere di notevole valore mentre l’architetto Vanvitelli progettò e realizzò il Lazzaretto, l’Arco Clementino, la nuova facciata della Chiesa del Gesù.
Il XVIII . si dimostrò, per la diocesi di Ancona, ricco di vescovi di singolare valore.
Dal 1700 al 1709 resse la diocesi il cardinale Marcello d’Aste.
Di evidente santità di vita, la sua carità segnò concretamente la vita dei suoi fedeli, colpiti dal suo zelo pastorale e dalla semplicità dei suoi costumi.
Dopo la sua morte fu avviato il processo di beatificazione, attualmente interrotto.
Gli successe il cardinale Giovanni Battista Bussi dal 1710 al 1726, uomo colto ma concretamente presente nei bisogni della sua diocesi.
Nel 1727, sebbene per soli quattro anni, sedette sulla cattedra di Ancona Prospero Lambertini, poi Benedetto XIV.
Di cultura molto vasta, impegnato nella curia romana nei primi anni di sacerdozio, il futuro papa dimostrò una personalità decisamente poliedrica.
Pastoralmente efficace, fu attento anche alle necessità sociali della sua diocesi.
Anche da pontefice, Benedetto XIV guardò con particolare affetto ad Ancona e si attivò per far riavviare i lavori portuali precedentemente sospesi, tanto necessari alla vita della città.
Il suo successore, il cardinale Bartolo Massei, resse la diocesi dal 1731 al 1745 promuovendo un significativo risveglio della vita religiosa.
In questo periodo Ancona beneficiò della predicazione di san Leonardo da Porto Maurizio, chiamato poi per una nuova predicazione anche dal successore, Nicolò Manciforte (1746-1762), vescovo di vita semplice ma attenta ai bisogni dei più poveri.
L’apprezzamento per le sue qualità cristiane giustificò l’apertura del processo diocesano di beatificazione, rimasto tuttavia interrotto.
Non brillò per le sue iniziative il breve episcopato del successore, il cardinale Filippo Acciauoli (1763-1766).
Apprezzabile, sotto il profilo amministrativo, fu quello del cardinale Ottavio Bufalini, a capo della diocesi dal 1766 fino al 1782.
La sua precedente esperienza in diversi ambiti dell’amministrazione pontificia lo aveva reso particolarmente sensibile a questo aspetto.
Si impegnò a esaminare lo stato morale e patrimoniale della sua diocesi e particolarmente apprezzato risultò il sinodo da lui celebrato.
III - Dall’epoca napoleonica ai giorni nostri
Occupata da Napoleone in seguito al trattato di Tolentino (16 febbraio 1797) e divenuta repubblica, Ancona venne incorporata nella Repubblica romana nel 1798.L’anno seguente, dopo un lungo assedio sferrato dalle forze austro-russoturche, Ancona ritornò tra i possedimenti pontifici.
Il 25 giugno 1796, durante l’avanzata dell’esercito napoleonico, avvenne il prodigio della Madonna del Duomo, Regina di tutti i santi, immagine tuttora molto venerata dagli anconetani.
Il volto della Vergine raffigurato nel quadro aprì inaspettatamente gli occhi davanti a molti presenti.
Il 21 luglio dello stesso anno il prodigio si ripeté e il volto della Vergine assunse un insolito pallore, alternando uno sguardo mesto a uno di sdegno.
La notizia mise in sussulto tutta la città e persino Napoleone, dopo il suo ingresso ad Ancona, volle ispezionare personalmente l’immagine ritenendo l’accaduto un’illusione provocata ad arte dal clero.
L’ispezione non ottenne gli effetti sperati da Bonaparte il quale finì per concedere ai canonici della cattedrale il culto dell’immagine miracolosa e la sua pubblica esposizione.
Fino ad oggi il prodigio del 25 giugno 1796 ha conservato una notevole forza di richiamo e di coesione della comunità cristiana di Ancona.
Sul finire del XVIII sec., il nuovo vescovo Vincenzo Gaspare Ranuzzi (1795-1800), sebbene di buone qualità umane, non dimostrò lo spessore necessario per affrontare la tormenta degli eventi.
Nei pochi anni del suo episcopato la situazione economica della diocesi si compromise notevolmente.
La piega di questi avvenimenti, tuttavia, era destinata ad accentuarsi ulteriormente.
Nel 1801 Ancona, recuperata dagli austriaci, tornò nelle mani di Napoleone e, nello stesso anno, a seguito del concordato, in quelle del pontefice.
Nel 1805 fu nuovamente la volta di Napoleone e nel 1808 quella di Gioacchino Murat e del Regno d’Italia.
La città tornò pontificia solo il 25 luglio 1815.
Quanto alla sede episcopale di Ancona, essa restò senza titolare per un lungo periodo.
Fino al 1805 la diocesi fu governata da monsignor Passeri, in qualità di amministratore apostolico.
Alla sua morte, il difficile rapporto tra Pio VII e Napoleone costò alla diocesi la ferma volontà dell’imperatore francese di impedire la provvigione episcopale.
Al vicario capitolare Luigi Bravi toccò, non senza una certa abilità, di traghettare la Chiesa anconetana fino al 1815.
In quell’anno il cardinale Nicolò Rigantini, divenuto vescovo di Ancona, avviò una difficile opera di risanamento ecclesiale ed economico, causato dalla sfavorevole piega degli eventi.
Preziosa fu la collaborazione di san Gaspare del Bufalo, efficace predicatore di una missione popolare.
Alla morte del vescovo, avvenuta a Roma nel 1822, lo sostituì per un biennio il cardinale Falzacappa, anch’egli impegnato nell’opera di risanamento amministrativo.
Nel 1824 fu la volta del cardinale Cesare Nembrini Gonzaga.
Come i suoi predecessori, pastore ma anche padre della sua famiglia ecclesiale, si impegnò fortemente per il sollevamento della difficile situazione economica di Ancona.
Le vicende, tuttavia, non lo favorirono.
I moti del 1831, falliti per il massiccio intervento degli austriaci, e il colera del 1836 complicarono inaspettatamente l’opera risanatrice del vescovo che, sfinito, morì nel 1837.
Il suo successore, il cardinale Antonio Maria Cadolini, resse la diocesi fino al 1851.
La tormenta del 1848 e il febbrile lavoro dei fautori della causa nazionale, trovano in lui un vescovo tutto dedito alla vita pastorale, ai margini della vita politica.
Anche in Ancona il 1848 registrò tumulti contro il potere temporale, momentaneamente compromesso dalla Repubblica romana.
La pace cittadina, dopo l’inaudita violenza scatenata dai rivoluzionari, fu ripristinata solo per un nuovo intervento austriaco.
Il decennio precedente la nascita del Regno d’Italia vide nella diocesi un’apparente tranquillità politica.
La polizia intensificò notevolmente i suoi controlli per sventare gli intrighi delle società segrete e sembrò riuscirci.
Tuttavia, il decisivo lavoro promosso nelle Marche dalla «Società Nazionale » di Daniele Manin, Giorgio Pallavicino e soprattutto l’operato dal segreto amico di Cavour Giuseppe La Farina procedette senza significative difficoltà.
La rivolta nelle Marche diveniva solo un fatto di tempo.
Nel mentre, il cardinale Antonio Benedetto Antonucci successe a Cadolini.
Le due epidemie di colera del 1855 e del 1865 e l’annessione al nascente Regno d’Italia trovarono in lui un pastore di raro equilibrio e fermezza.
Dopo la battaglia di Castelfidardo, le rimanenti truppe pontificie si ritirarono in Ancona e qui rimasero fino alla sconfitta definitiva, avvenuta dopo l’attacco del generale Persano al porto della città nel 1860.
Mentre gli anconetani votavano l’annessione alla nuova realtà statuale – ben 26.775 voti a favore contro 244 contrari – la vita religiosa di Ancona fu duramente messa alla prova dalla legge di soppressione degli ordini religiosi.
Per ordine del commissario governativo Lorenzo Valerio, di forte orientamento giacobino, molte chiese vennero espropriate e destinate a usi militari.
Il difficile episcopato di monsignor Antonucci si concluse nel 1879 e alla guida della diocesi fu chiamato Achille Manara, ultimo vescovo anconetano insignito della porpora, tra i promotori del movimento cattolico agli inizi del Novecento.
Sul finire del suo mandato, il 14 settembre 1904 Pio X decise di elevare la diocesi di Ancona al titolo di arcidiocesi.
A monsignor Manara successe Giovanni Battista II Ricci dal 1907 al 1929.
La prima guerra mondiale, come prevedibile, scosse fortemente la vita degli anconetani.
Il momento più difficile fu vissuto nel maggio 1915.
Il 24 di quel mese, schierata davanti al porto, la flotta austro-ungarica bombardò la città e lo stesso duomo di San Ciriaco venne gravemente colpito da otto cannonate.
Anche la seconda guerra mondiale provò duramente la città.
Interi quartieri vennero distrutti e solo quattromila persone rimasero ad Ancona durante il conflitto.
Il periodo postbellico fu segnato da una veloce ripresa non priva di difficoltà.
Durante l’episcopato di Carlo Maccari (1968- 1989) Ancona fu colpita da un terremoto nel 1972 e da una frana nel 1982.
Il 30 settembre 1986 la diocesi di Osimo fu unita a quella di Ancona, prendendo l’unico nome di Ancona-Osimo.
Dopo il breve episcopato di Dionigi Tettamanzi, nel 1991 fu eletto arcivescovo di Ancona Franco Festorazzi.
Dal gennaio 2004 regge la diocesi Edoardo Menichelli.
Bibliografia
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E. Costantini, Il cardinale di Ravenna al governo di Ancona, Pesaro 1891;
M. Natalucci, Ancona Dorica Civitas Fidei. Uomini e monumenti della Chiesa nella storia della città di Ancona, Ancona 1980. Per un interessante, tuttora poco esplorato, approfondimento sulle vicende risorgimentali e sulla natura dell’anticlericalismo in Ancona cfr.: A. Vigevano, La campagna delle Marche e dell’Umbria, Roma 1923;
J. Crétinau-Joli, L’Église romaine en face de la Révolution, 2 voll., Paris 1859;
A. Dufourq, Le régime jacobin en Italie. Étude sur la république romaine (1798- 1799), Paris 1900;
su Giuseppe La Farina e sulla preparazione dell’insurrezione delle Marche molto importante per conoscere le ragioni del sollevamento anconetano contro il potere temporale, cfr. R. Grew, A sterner plan for Italian unity, Princeton 1963. Sempre dal punto di vista politico-risorgimentale, riguardo Pio IX e la diocesi di Ancona si può utilmente consultare P. Balan, Continuazione alla storia universale della Chiesa Cattolica dell’abate Rohrbacher, dall’elezione al pontificato di Pio IX nel 1846 sino ai nostri giorni, II, Torino 1879;
G. S. Pelczar, Pio IX e il suo pontificato, II, Torino 1909-1911. Approfondimenti e studi, a volte non principalmente dedicati ad Ancona e la sua storia, sono presenti nelle annate di «Studia Picena ». Di particolare valore, anche ai fini della nostra ricerca, i due numeri completamente dedicati a Le diocesi delle Marche in età sistina, Atti del Convegno di Studi, Ancona-Loreto 16-18 ottobre 1986, LII-LIII (1987-1988);
sul miracolo della Madonna del Duomo, C. Battaglini, Il prodigio della Madonna del Duomo, Ancona 1796 (rist. Ancona 1996);
Anonimo, Quadro storico-morale dell’italica invasione seguita nel 1796 e del portentoso contemporaneo aprimento d’occhi della Sagra immagine di Maria Ss. ma venerata nella Cattedrale di Ancona, Assisi 1820;
sull’architettura religiosa della diocesi, cfr. G. Domenici-R. Gagliardi, Chiese monumentali dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo, Ancona 1996;
M. L. Polichetti (a c. di), San Ciriaco. La cattedrale di Ancona, Milano 2003.
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.