La diocesi, nel primo millennio dell’era cristiana, visse la sua prima esperienza con centro a Tindari. Sono attestati i nomi di quattro vescovi: Severinus, che sottoscrisse tre sinodi romani tenuti sotto il papa Simmaco (498-514); Eutichio, il cui nome è in una lettera di papa Gregorio Magno del 593; Benenatus, a cui nel luglio 599 lo stesso papa Gregorio indirizzò una lettera per autorizzarlo a consacrare un oratorio; Theodorus, che appose la sua firma al concilio Lateranense del 649. La cattedra tindaritana scomparve nell’anno 836, in seguito a saccheggi e distruzione a opera dei musulmani. Furono i monaci basiliani, giunti dall’Oriente, a tramandare la fede cristiana. Con i normanni, sul finire del primo millennio, a Patti venne istituita la cattedra vescovile. Fonte prioritaria per tracciarne la storia è l’archivio capitolare pattese detto Arca Magna: vi si custodiscono pergamene e diplomi a partire dal 1092. Nella prima fase Patti ebbe vicende in comune con la diocesi di Lipari. Il vescovato di Lipari-Patti fu fondato infatti per volontà di Ruggero II il 24 settembre 1131, confermato con bolla dell’antipapa Anacleto II, cui diede esecuzione l’arcivescovo di Messina Ugone. I due monasteri di Patti e Lipari furono promossi a vescovato e nell’ottobre seguente la cura spirituale e temporale fu affidata all’abate Giovanni, cui venne conferita la dignità vescovile. Il riconoscimento ufficiale della diocesi da parte della Santa Sede avvenne nel 1157. Rimasero così le cose fino al 1399, quando papa Bonifacio IX, considerati la grandezza della diocesi, i pericoli del mare e la distanza dei luoghi, con il consenso di re Martino, divise l’originario vescovato in due diocesi: Lipari e Patti, preponendo a esse due distinti vescovi. Con tale atto il vescovo di Patti ottenne un proprio capitolo regolare (benedettino) e la giurisdizione su cinque comuni (Patti, Gioiosa, Librizzi, Montagnareale e Sorrentini) e su metà della terra di San Salvatore di Fitalia. Le successive e numerose richieste di ampliamento della diocesi, presentate nel tempo dal parlamento siciliano, per quattro secoli non hanno concreta attuazione. Dopo lunga corrispondenza tra Patti, Messina, Napoli e Roma, il 21 marzo 1822, papa Pio VII firma la bolla di smembramento di ventiquattro terre dalla diocesi di Messina, per aggregarle a quella di Patti. Diventa esecutiva nel 1824, alla morte dell’arcivescovo di Messina, essendo vescovo di Patti Nicolò Gatto (1823-1831). Un ulteriore ampliamento è attuato nel 1844. Gregorio XVI, ricollegandosi al concordato stipulato da Ferdinando I con Pio VII, con la bolla In suprema militantis Ecclesiae provvede ad aggregare a Patti altre dieci comunità provenienti dalle diocesi di Cefalù e di Nicosia. Dal 1844 i confini della diocesi di Patti rimasero immutati. Nel secolo scorso, alle comunità originarie si aggiunsero altri tre comuni istituiti per smembramento da quelli originari. La diocesi ha come confini naturali la fascia tirrenica che va da Oliveri a Tusa, per una lunghezza di 102,3 chilometri, e la catena montuosa dei Nebrodi, caratterizzata da tanti piccoli centri collinari, tutti di grande valore storico, sino ad alta quota, ove sono ubicati i comuni della Sicilia a maggiore altitudine (Floresta, Cesarò, Capizzi e San Teodoro). Sul litorale tirrenico sorgono invece i centri più recenti. I 42 comuni della diocesi formano un insieme originale e ricco di peculiarità e bellezze. Le oltre 450 chiese e santuari rendono paesi e contrade un microcosmo vario e interessante tanto dal punto di vista storico-religioso che ambientale, con un vasto patrimonio artistico che si snoda dalla civiltà greco-romana (Tindari, Patti, San Marco d’Alunzio, Tusa), a quella arabo- normanna (Alcara Li Fusi, Tortorici, San Piero Patti), con castelli, conventi e chiese in stile bizantino, romanico, rinascimentale, barocco e settecentesco. Ovunque sono evidenti gli influssi e i segni di numerose e varie comunità religiose: basiliani, cappuccini, frati minori, domenicani, salesiani, oblati, religiosi e religiose si alternano lungo il corso dei secoli, determinando anche una intensa disponibilità vocazionale. La religiosità popolare è viva: numerose e ricorrenti le feste, le processioni, le novene, i pellegrinaggi, soprattutto ai santuari, in particolare a Tindari, dove si venera l’icona medievale della Theotokos, meta continua di pellegrinaggi, che raggiungono la loro intensità soprattutto tra maggio e ottobre. Dirimpetto a Tindari, sulla sommità della collina pattese, si erge la cattedrale normanna, che conserva la tomba della regina Adelasia, moglie del conte Ruggero, morta a Patti nel 1118 nel monastero contiguo al castello. Distrutta più volte e sempre ricostruita, rappresenta un luogo-simbolo della città. Sulla sua cattedra millenaria si succedettero 101 vescovi, tra cui si segnalano: san Pietro Tommaso, nativo di Francia, carmelitano, vescovo di Patti e Lipari (1354-1359), che per incarico pontificio svolse con successo delicate missioni di pacificazione tra i principi cristiani; Arnaldo Albertin (1534-1544) che nel 1537 celebrò il primo sinodo diocesano; Bartolomeo Sebastian (1549-1568) che attuò in diocesi le riforme tridentine; Gilberto Isfar et Corillas (1579-1600) che con il terzo sinodo provvide a organizzare la diocesi e le sue strutture; Martino Ursino (1844- 1860) che si adoperò per il rinnovamento della catechesi; Michelangelo Celesia (1860-1871), il vescovo di Patti che non scese a patti con il governo italiano, per cui non poté risiedere in diocesi; Giuseppe Pullano (1957-1977), che diede vita al capillare processo di rinnovamento e ricostruzione post-bellica. Tappa importante nella storia della diocesi è la visita di papa Giovanni Paolo II, il 12 giugno 1988, che a Tindari rese omaggio alla Theotokos e incoraggiò il cammino di rinnovamento nel solco del fervore e della santità tracciato dai vari santi diocesani: Pietro Tommaso e Febronia da Patti, Benedetto da San Fratello, Cono da Naso, Lorenzo da Frazzanò, Nicolò Politi da Alcara Li Fusi. Nelle chiese e nei monasteri sono custoditi autentici capolavori e opere del genio creativo di maestri e maestranze locali: citiamo i numerosi marmi dei Gagini, i dipinti di Novelli, Sozzi, Tancredi, Camarda, Mercurio, le tavole di Antonello, le pale del Tomasi, le sculture dei Li Volsi, i legni di Marullo, i crocifissi di fra Umile, gli organi dei Lo Bianco, gli argenti degli orafi di Tortorici, i cibori intarsiati, le pietre intagliate e i manufatti lignei delle botteghe artigianali.
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