Nella prima metà del XIX . la decisione del governo borbonico e della Santa Sede di ampliare il numero delle diocesi siciliane, gli eventi politici legati alla sommossa di Siracusa del 1837 e il conseguente trasferimento del capoluogo di provincia a Noto costituirono condizioni favorevoli per l’erezione, con la Bolla Gravissimum sane munus del 15 maggio 1844, della nuova diocesi di Noto, la cui mensa vescovile ebbe assegnate dal re le rendite della soppressa abbazia dell’Arco e la cui circoscrizione ecclesiastica comprendeva quindici centri con circa 200.000 abitanti: Noto, Avola, Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla, Giarratana, Ispica (allora Spaccaforno), Modica, Pachino, Portopalo, Palazzolo, Pozzallo, Rosolini, Scicli. I primi vescovi, Giuseppe Menditto (1844-1849), Giambattista Naselli (1851-1853), Mario Mirone (1853-1864), si trovarono a operare in un contesto molto favorevole per Noto che si protrasse fino all’unità d’Italia e istituirono le strutture portanti della diocesi, affrontando difficoltà logistiche e pastorali. Il problema di una sede stabile per l’episcopio e il seminario fu affrontato da Menditto e Naselli, ma rimase insoluto per un decennio e fu risolto definitivamente solo nel 1855, con l’acquisto da parte di Mirone di un’ala del palazzo Trigona Cannicarao. La loro attività pastorale si concentrò sulla inaugurazione di nuovi edifici ecclesiastici (fra cui alcune chiese madri), sulla catechesi, sulla formazione del laicato, sull’alfabetizzazione, sulla conoscenza e l’unificazione della diocesi con le visite pastorali. Un lungo periodo di sede vacante (1864-1872), durante il quale la diocesi fu retta dal vicario capitolare Nicolò Messina, coincise con il declino sociale e politico della città e della diocesi, legato al trasferimento del capoluogo di provincia a Siracusa e alla soppressione delle corporazioni religiose. Dopo il breve, ma intenso episcopato di Benedetto La Vecchia (1872-1875) che diede nuovo impulso alle associazioni laicali e fondò il periodico «La luce vera», strumento di catechesi e lotta antimassonica, iniziò il lungo episcopato di Giovanni Blandini (1875-1913) il quale si trovò a rifondare sotto molti aspetti la diocesi. Una delle priorità di Blandini fu il rilancio delle vocazioni (favorite anche dall’istituzione dell’Opera del Sacro Cuore per i chierici poveri); nel seminario netino, affidato ai gesuiti e poi ai lazzaristi e trasferito in locali più capienti, cominciarono ad affluire molti giovani anche di fuori diocesi (tra cui Luigi Sturzo), tantoché dopo vent’anni il numero degli alunni era salito da 12 a 194. Durante il suo episcopato si ricostituirono le comunità religiose, la diocesi assunse un’identità neoguelfa, accolse l’apporto di molte figure carismatiche, da san Luigi Orione alla beata Madre Curcio, si aprì al cattolicesimo sociale e democratico e a Noto si tenne il IV congresso cattolico regionale. Attenzione ebbero pure l’istruzione (come la fondazione del collegio San Luigi), l’associazionismo e le riforme devozionali. Il primo decennio del Novecento non fu per la diocesi certamente positivo, sia per il notevole calo vocazionale, sia per la precaria situazione economica relativa al sostentamento dei seminaristi e del clero diocesano. Fu compito del nuovo vescovo, Giuseppe Vizzini (1913-1935), risolvere tali problemi. La diocesi acquisì con lui una nuova visione, sintetizzata nelle decisioni del primo sinodo diocesano del 1923. Per formare una nuova generazione di sacerdoti con una mentalità diversa da quella del clero blandiniano, passando dal modello di prete sociale a quello di prete romano e spirituale, Vizzini pose il vescovo al centro della vita della diocesi e assunse in prima persona la direzione del seminario. Per favorire il nuovo modello di clero ricorse all’ausilio di comunità religiose, quali i gesuiti e i redentoristi. L’Opera delle vocazioni sacerdotali, fondata da Vizzini, continuò a operare con il suo successore, Angelo Calabretta (1936-1970), in stretto contatto con l’Azione cattolica. Le attività dell’associazionismo cattolico e delle parrocchie, il cui numero fu sensibilmente aumentato da Vizzini e Calabretta, furono fino agli anni Cinquanta strumenti primari dell’azione pastorale e vocazionale e, con Calabretta, coinvolsero l’intera comunità diocesana. Intorno alla metà del Novecento alcuni eventi coagularono e rinforzarono l’unità della diocesi: l’inaugurazione del nuovo seminario, la Peregrinatio Mariae e l’incremento del culto alla Madonna Scala del Paradiso, proclamata patrona principale della diocesi assieme a san Corrado, il pericolo della soppressione della diocesi in occasione dell’erezione di Ragusa, che si riuscì a evitare nonostante la perdita di giurisdizione sui comuni della zona montana (Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla, Giarratana e Palazzolo). I travagli socio-spirituali di molti sacerdoti e i casi di secolarizzazione che hanno contraddistinto la fine dell’episcopato di Calabretta e l’inizio di quello del suo successore, Salvatore Nicolosi (1970-1998), sono stati superati nel corso degli anni Ottanta quando incominciarono a trovare attuazione le direttive pastorali di Nicolosi: evangelizzazione rinnovata e permanente, impulso alla catechesi e alla formazione del clero e dei laici (tramite numerosi convegni e lettere pastorali), ponendo particolare attenzione alle famiglie, ai giovani e ai poveri. Menzione meritano pure il diaconato permanente e le attività missionarie concretizzatesi nel gemellaggio con la diocesi di Butembo- Beni in Zaire. Il secondo sinodo diocesano (1995-1996), voluto da Nicolosi, ha segnato un momento fondamentale nella vita della Chiesa di Noto alla fine del Novecento e la sua attuazione sta proseguendo, nel segno della continuità, con l’attuale pastore della diocesi Giuseppe Malandrino.
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