Diocesi di Adria - Rovigo
STORIA
Oggi la diocesi di Adria-Rovigo (così denominata dalla Santa Sede nel 1986, modificando il nome precedente, diocesi di Adria) comprende il territorio meridionale del Veneto racchiuso fra l’Adige e il Po.Coincide con la provincia di Rovigo, tranne che per le parrocchie prospicienti il mare, che appartengono alla diocesi di Chioggia.
Si tratta di un’area geograficamente omogenea, frutto però di un rimaneggiamento relativamente recente.
Fino all’inizio dell’Ottocento il territorio attuale era suddiviso fra cinque diocesi diverse e faceva parte della provincia ecclesiastica ravennate.
Confini e giurisdizioni erano assai differenti da quelli odierni.
Le turbinose vicende del periodo francese e austriaco portarono a un’ampia revisione del vecchio assetto diocesano.
Venendo incontro alle richieste del governo di Vienna, infatti, la Santa Sede, con la bolla De salute dominici gregis, nel 1818 assegnò la diocesi di Adria alla giurisdizione metropolitana della chiesa patriarcale di Venezia (prima apparteneva a Ravenna) e l’anno seguente (lettera Cum nos gravibus) ne modificò i confini, facendoli coincidere con l’Adige a nord e il Po a sud.
Tolse alle diocesi di Ferrara e Ravenna le parrocchie che possedevano a nord del Po (ventuno ferraresi, costituenti la cosiddetta Transpadana, e due ravennati) e le assegnò ad Adria (una passò con Padova), la quale cedette a sua volta a Ferrara le sei parrocchie che erano poste oltrepò.
Sull’Adige la rettifica fu molto più modesta, ma servì anche in questo caso a rendere il fiume la linea di confine settentrionale.
Da allora la diocesi di Adria venne a coincidere con la delimitazione di quella che dopo l’unificazione sarà la provincia di Rovigo, con l’eccezione, come si diceva, della zona prospiciente il mare: trentacinque parrocchie che rimasero dove erano sempre state, e sono tuttora, cioè sotto la giurisdizione del vescovo di Chioggia.
In precedenza, la soppressione veneziana dell’abbazia nullius della Vangadizza di Badia Polesine (1789), dei monaci camaldolesi, aveva trasferito al vescovo di Adria (1792) le dodici parrocchie polesane, fino ad allora di pertinenza dell’abate vangadicense.
Le prime notizie certe sull’esistenza della diocesi risalgono alla metà del VII sec., ma bisogna attendere gli anni fra il XIII e il XIV . per trovare vescovi energici e attivi che lasciano una chiara impronta.
Si tratta dei domenicani Bonazonta (1288- 1305) e Benvenuto Borghesini (1329- 1348), sotto il cui governo c’erano 37 parrocchie, che diverranno 46 due secoli dopo, quando vicario generale del cardinale De Cuppis, che non mise mai piede in diocesi, fu il ravennate Gian Pietro Ferretti (1535-1539).
Questi visitò l’intera diocesi, della quale lasciò un’attenta descrizione, lamentando l’ignoranza, la corruzione, il degrado morale del clero, disordini peraltro segnalati da numerose altre fonti.
Al Bonazonta si deve la scelta del santo patrono, il vescovo padovano Bellino (†1147), un personaggio estraneo al Polesine e di incerta identificazione, che doveva probabilmente rafforzare la fragile identità della diocesi con un richiamo agiografico stabile e caratterizzato ecclesiasticamente.
Con il passaggio del Polesine sotto il dominio veneziano e l’avvio del clima controriformistico cessa la pratica della latitanza dei vescovi, mentre la diocesi entra in un periodo di maggiore stabilità, anche se permangono con Ferrara molteplici legami, che rendono il territorio infido agli occhi della Dominante.
Nella seconda metà del Cinquecento fu significativo l’episcopato di Giulio Canani (1554- 1591), che compì più volte la visita pastorale e celebrò diversi sinodi, avviando l’applicazione dei decreti del concilio di Trento.
La diocesi era dotata di diversi ospedali, dediti al ricovero più che all’assistenza sanitaria, e di molte confraternite, che venivano incontro ai bisogni di una popolazione flagellata dalla malaria, causata dalla precarietà idraulica del territorio.
La difesa dalle acque fu sempre un problema drammatico, rimasto irrisolto fino alla metà del Novecento, quando la tragica alluvione del Po del novembre 1951 costrinse alla fuga tre quarti della popolazione.
La lotta all’eresia, energicamente condotta dal vescovo Canani e dai suoi successori, uniformò la credenza religiosa (chiusura dell’Accademia degli Addormentati, fondata da Giovanni D.
Roncalli) e sopì la vita culturale rodigina, intrecciandosi con i nuovi potentati veneziani, che gradatamente sostituirono quelli ferraresi.
Nel 1594 iniziò a Rovigo la costruzione del santuario civico della Rotonda, con l’atipica pianta ottagonale circondata da un portico, che rappresenta a tutt’oggi il maggior monumento artistico della diocesi.
La chiesa, terminata nel 1606, è opera di Francesco Zamberlan, che vantava una lunga collaborazione con Palladio.
Successivamente fu costruito l’agile e originale campanile, attribuito al Longhena.
Più complessa la vicenda del seminario, avviato a Rovigo sotto il vescovo Canani.
Solo con l’episcopato di Arnaldo Speroni degli Alvarotti (1766-1800), che dotò l’istituto di una ricca biblioteca e costruì una nuova sede, rimasta fino al Vaticano II, divenne il perno della diocesi.
Tale ruolo si potenziò nel secondo Ottocento, quando ne fu magna pars Giacomo Sichirollo (1839-1911), la figura più significativa, tanto spiritualmente quanto culturalmente, del clero locale.
Dalla morte del vescovo Speroni fino all’annessione (1866) la diocesi non presenta vicende o figure di rilievo, mentre va ad effetto la ristrutturazione territoriale già menzionata, che modifica profondamente confini e giurisdizioni.
Ciò rese più evidente il dualismo fra Adria e Rovigo, dovuto al fatto che i vescovi da tempo immemorabile risiedevano preferibilmente a Rovigo, piuttosto che nella sede titolare di Adria.
La rivalità fra le due città fu causa di malintesi e difficoltà sempre maggiori, che sfociarono nell’aggressione subita ad Adria dal vescovo Pio Tommaso Boggiani nel 1909, quando si decise il trasferimento a Rovigo della curia e dell’archivio vescovile.
In conseguenza di ciò la città di Adria fu colpita da un interdetto di quindici giorni.
L’annosa vertenza si risolverà solo nel 1986, con la trasformazione della diocesi di Adria in diocesi di Adria-Rovigo e l’elevazione a concattedrale del duomo rodigino.
La diocesi visse con difficoltà il periodo postunitario, caratterizzato da povertà, assenza di attività produttive, emigrazione della popolazione, in particolare verso l’America.
Anche l’organizzazione del movimento cattolico si fece strada a fatica.
Solo negli anni di fine Ottocento si notarono segni di ripresa, quando sorse un vigoroso movimento sociale, imperniato sulle casse rurali e su una nuova classe dirigente laicale, composta di giovani educati alla scuola del Sichirollo.
Queste figure nuove (Umberto Merlin, Italo Rosa, Carlo Belloni, Battista Soffiantini) assunsero le leve del comando dopo la grande guerra e diedero vita al popolarismo, riuscendo a ritagliarsi spazi d’azione e di credibilità in un territorio egemonizzato politicamente dal Partito socialista (il Polesine è la terra dove nacque e operò Giacomo Matteotti), schierato su posizioni aspramente anticlericali.
Di rilievo, in questi anni, l’episcopato di Anselmo Rizzi (1913-1934).
Dopo la sua morte, in periodo di sede vacante, fu avviata la vendita dell’episcopio e il suo trasferimento nella sede che occupa attualmente.
È da notare che dall’Ottocento a oggi la pastorale è stata quasi interamente a carico del clero diocesano, data l’esigua presenza di religiosi: due comunità di cappuccini, a Rovigo e Adria, e una di monaci olivetani nel santuario del Pilastrello di Lendinara.
Dopo la seconda guerra mondiale la diocesi ha subito le vicissitudini comuni a tante altre comunità.
Prima un periodo di presenza sociale forte ed egemonica, poi l’irrompere della secolarizzazione e la crisi postconciliare, con il crollo delle vocazioni e il ridimensionamento del seminario, che dovette presto abbandonare la sfarzosa sede avviata nel 1963 e inaugurata nel 1966.
Oggi i pochi candidati al sacerdozio sono alloggiati in un’ala del vescovato (è imminente il loro trasferimento nell’ex collegio «Angelo Custode») e frequentano la facoltà di teologia esistente presso il seminario di Padova.
La diocesi dispone complessivamente di un discreto patrimonio artistico-architettonico, sul quale spicca il tempio rodigino della Rotonda.
Resti paleocristiani presenti ad Adria sono inglobati nei successivi rifacimenti.
Poco significative le testimonianze di edifici ecclesiastici anteriori al XV . Segnaliamo la chiesa di San Basilio, vicino ad Ariano, ciò che resta dell’imponente abbazia della Vangadizza, a Badia (XI-XV sec.), e il monastero di San Bartolomeo a Rovigo, recentemente restaurato e sede museale.
Le parrocchiali sono state in gran parte costruite, o ricostruite dopo il Seicento, con un’attività più vivace nella Transpadana ferrarese, ad opera soprattutto degli architetti appartenenti alla famiglia Santini.
Molte chiese sono dotate di ottimi organi storici, una decina dei quali sono opera di Gaetano Callido, massimo esponente della scuola veneta neoclassica.
Conclusivamente possiamo affermare che l’istituzione ecclesiastica, pur non avendo mai espresso figure o eventi di particolare rilievo, rappresenta storicamente e istituzionalmente l’unico vero elemento di stabilità del Polesine, una terra di confine, di incerta identità, dove nessuno, tolta la Chiesa, ha mai veramente investito.
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Diocesi di Adria - Rovigo
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo apostoli
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.