Diocesi storica di Lacedonia
STORIA
I - Dalle origini all’età moderna
La diocesi di Lacedonia esiste come suffraganea di Conza fino al 1986; dopo questa data viene unita alla diocesi di Ariano Irpino.Dal 1818 essa aveva esteso la sua giurisdizione incorporando il territorio di Trevico, diocesi in quell’anno soppressa.
Fino a quel tempo, la sua estensione superava di poco i 15.000 ettari, e includeva soltanto il centro di Rocchetta Sant’Antonio, distante tre miglia.
Santo patrono, dal 1456, è san Nicola di Bari.
Nel 517, Lacedonia fu data in feudo da Giustiniano II ai monaci benedettini di Montecassino.
Insieme a Rocchetta passò poi al dominio longobardo e i due centri divennero fin dagli inizi del secondo millennio possesso degli stessi feudatari: dai del Torpo ai Balvano, dai Gagliardi agli Orsini, tranne una breve parentesi.
Dal 1609 le due terre ricaddero sotto il comune dominio dei Doria di Melfi.
Delle vicende originarie della diocesi conosciamo poco.
A inaugurare la lista dei sessantanove vescovi noti che guidarono la Chiesa locale, fino alla sua unione con quella di Ariano, è il vescovo Simeone, comparso tra i fondatori dell’abbazia di San Michele Arcangelo di Monticchio (1059).
Nel 1187, in occasione della terza spedizione crociata, sotto il pontificato di Gregorio VIII, è certo che Riccardo di Balvano, investito dei feudi di Cisterna, Rocchetta, Cedogna, Monteverde, Armatera e Vitalba, offrì sessanta soldati a cavallo e altrettanti a piedi, evidentemente sfruttando il potenziale umano messo a disposizione proprio dai suoi feudi.
La città, distrutta dal terremoto del 1456, vide ricostruite le sue mura grazie all’intervento di Giannantonio Orsini, che vi aprì quattro porte; nel 1486 fu teatro della congiura mossa ai danni del re Ferdinando I di Aragona e di suo figlio: i baroni, tra i quali anche Pirro del Balzo, signore di Lacedonia, giurarono nella cappella di Sant’Antonio.
In epoca moderna la diocesi si trovò a dover fronteggiare i difficili problemi legati ai rapporti non sempre distesi con la feudalità che rivendicava una serie di diritti, come la riscossione della mezza semenza.
Naturale conseguenza di un simile accanimento baronale fu la diminuzione dei conduttori dei feudi a censo ecclesiastico, la riduzione delle aree coltivabili e un generale impoverimento e abbrutimento della società civile e del clero.
Lo stato in cui versava la diocesi in generale, e il clero in particolare, è concentrato tutto nelle relazioni ad limina (1589, 1592, 1595, 1602) del vescovo Marco Pedoca (1589-1602), che si trovò a gestire la Chiesa locale nella difficile applicazione dei dettami conciliari.
Apprendiamo che all’epoca il capitolo cattedrale era composto da dodici canonici e disponeva di cinque dignità (arcidiaconato, arcipretato, primiceriato, tesorierato e cantorato); a causa della mancata riscossione delle decime, del tutto impossibile si rivelò l’erezione di un seminario, fondamentale per la formazione del clero, ma costruito solo nel 1837.
Lo spirito conciliare diventò vero e proprio impegno normativo negli atti dell’unico sinodo che possediamo (1614), indetto da monsignor Geronimo Campanile (1608-1625).
Pur nelle gravi miserie dei tempi, la diocesi fu risparmiata dall’imperversare della peste (1656-1657) e nonostante la piaga del banditismo, che culminò con il sequestro del vescovo Bartoli (1672-1684), non fu interessata dalla rivolta di Masaniello.
Non meno deleterie si mostrarono però le conseguenze dell’alloggiamento delle truppe regie, che resero ancora più esangui le casse dell’università e ancora più tesi i rapporti con il clero.
Per intervento del vescovo La Morea (1684-1717), colto prelato pugliese, autore anche di una Cronologia dei vescovi, fu costruita la nuova cattedrale (1696), al posto della chiesa di Sant’Antonio Abate, con il contributo della mensa e delle confraternite.
Furono restaurati l’episcopio e la chiesa della Trinità danneggiati dal terremoto del 1694.
All’episcopato di Claudio Albini (1736- 1744) toccò la gestione della diocesi in attuazione delle norme sul controllo dei luoghi pii (concordato del 1741).
Al suo servizio troviamo il giovane Gerardo Maiella, il fraticello divenuto santo, il cui nome è legato al miracolo del pozzo.
La recessione economica sembrava ormai alle spalle, se nell’arco di tempo che va dal 1732 al 1752 si registrava un aumento complessivo della popolazione (da 4565 a 7167 abitanti).
Fu istituita la Prebenda teologale, affidata per concorso a un esponente della borghesia locale, sempre di più impegnata a crescere in spazi e autorevolezza.
Nel 1746, la missione redentorista di Alfonso de Liguori era culminata nella fondazione della confraternita della Concezione, che raccoglieva nelle sue file i poveri e gli umili.
Durante il lungo episcopato di mons.
D’Amanto (1749-1789), anche Rocchetta fu dotata di una magnifica cattedrale.
II - L’ultimo periodo
Gli anni centrali del XVIII . furono di intenso fervore episcopale nei confronti di una società che procedeva però spedita verso una sempre più intensa secolarizzazione; gli eventi del 1799 non coinvolsero appieno il centro irpino, immune da disordini e saccheggi, ma durante la fase carbonara ebbe a subire insulti e improperi il vescovo Ferrara (1819-1824), il primo a governare una diocesi divenuta più grande dopo l’aggregazione della diocesi di Trevico (1818).Nel 1851 si segnala a Lacedonia la visita di Ferdinando II, dal quale il vescovo Luigi Napolitano (1845-1857) riscosse apprezzamenti per la «buona popolazione».
Durante questi anni la cattedrale fu dotata di preziosi arredi sacri e per due volte fu incoronata la Madonna delle Fratte.
Fu eretta la nuova chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Dopo l’unità d’Italia, restarono chiusi per diverso tempo e per ragioni differenti il seminario, l’episcopio e la cattedrale: quest’ultima, ampliata, fu riaperta al culto dal vescovo Pietro Alfonso Jorio (1880- 1885).
Gli ultimi vescovi di Lacedonia coprono un arco temporale che va dal 1885 al 1988.
Si ricordano tra gli altri Giovanni Maria Diamare (1885-1888), Francesco Niola (1888-1891), Diomede Falconio (1892-1895), Nicolò Zimarino (1895-1906), Cristoforo D.
Carullo (1940-1968).
Intorno alla metà del secolo scorso, gli abitanti erano circa 36.000 e la diocesi contava un numero di undici parrocchie, con ventinove sacerdoti diocesani e due regolari.
Sotto l’episcopato di Nicola Agnozzi (1976-1988), a seguito dell’accordo di revisione del concordato, stipulato tra la Santa Sede e il governo italiano il 18 febbraio 1984, e in applicazione delle norme circa gli enti e i benefici ecclesiastici, la Santa Sede ha unito la diocesi di Lacedonia, di complessivi nove comuni, con quella di Ariano Irpino in data 30 settembre 1986.
La nuova denominazione della diocesi è dunque: Ariano Irpino-Lacedonia.
Bibliografia
Cappelletti XX 560-565;EC VII 786;
Hier. Cath. I-IX;
Ughelli VI 836-840;
G. Libertazzi, La diocesi di Lacedonia nell’età moderna, Lavello 1986;
G. Libertazzi, La diocesi di Lacedonia tra otto e novecento nelle relazioni del vescovo Zimarino, «Rivista storica irpina», 3- 4, 1991;
G. Mongelli, Profilo storico delle diocesi irpine, Roma 1994;
La Cattedrale di Lacedonia, a c. di S. Bardaro, Grottaminarda 2000;
L. Ciarmoli-D. Minelli, Ariano Irpino-Lacedonia, in Dizionario storico delle diocesi della Campania, a c. di A. Carfora-C. Galiano-A. Ianniello- G. Liccardo-S. Tanzarella, Palermo 2008.
Diocesi di Lacedonia
Chiesa di Santa Maria Assunta
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.