Diocesi storica di Sant’Agata de’ Goti
STORIA
I - Epoca medievale
Per la terra di Sant’Agata nell’alto Medioevo sono pochi i dati e solo poco prima della Divisio Ducatus tra i principi Radelchi e Siconolfo, e cioè nell’845, essa risulta documentariamente attestata, ma già in definito assetto urbanistico («castello ad Sancta Agatha») e in connotazione politica di alto profilo, se è sede amministrativa con il suo gastaldo Isembardo e se entrerà qualche lustro in avanti negli itinerari di penetrazione e di riconquista della campagna antisaracena dell’imperatore Ludovico II (che nell’860 assediò la civitatem Sanctae Agathae).Dal punto di vista archeologico la vitalità del centro è attestata da una iscrizione del VI sec., da una lastra paleocristiana e da un capitello altomedievale, forse del VII sec., e dalla lapide sepolcrale di Madelgrima, moglie di un conte Radoaldo.
L’atto che sancisce la definitiva centralità e supremazia di Sant’Agata nel suo circondario è la bolla di consacrazione del vescovo Madelfrido del 970, firmata dall’arcivescovo di Benevento Landolfo, nella quale c’è una descrizione dei confini.
Allo scadere del secolo (999) si colloca la lapide sepolcrale del vescovo Adalardo, in perfetta connessione seggio vescovile-civitas, quale è definita Sant’Agata nella documentazione precedente il Mille.
Dopo un lungo sessantennio ricorre – al passaggio di poteri dai longobardi ai normanni – il vescovo Bernardo, che nell’aprile del 1059 sottoscrisse a Roma un decreto sinodale di Nicola II.
Nel 1132 ritroviamo il vescovo Enrico, che nell’aspra contesa tra i fautori del papa Innocenzo II e l’antipapa Anacleto prese accesamente le parti del primo, impegnato nelle operazioni militari di quell’anno.
La consacrazione della splendida chiesa di San Menna nel 1110 è un significativo punto di arrivo nella storia politico-religiosa di Sant’Agata in quegli anni che, dopo aver visto la costruzione della cattedrale, registrarono la traslazione delle reliquie di san Menna, con tutte le implicazioni di valenza artistica offerte non solo dalla cattedrale, ma anche dall’altra probabile fondazione del conte Roberto, la chiesa di Sant’Angelo in Munculanis, il tutto in una diramata opera di maestranze locali di alto profilo.
Tali implicazioni vanno calate anche nell’humus devozionale, quale segno della pietà – spesso di dimensione familiare o dinastica – del conte Roberto, che i miracula di san Menna ci dicono guarito da una febbre violenta, una volta trasportato nella chiesa da lui voluta, con l’innesco poi di un culto patronale che in quegli anni Montecassino stava stimolando e incoraggiando.
Nel 1191 il vescovo Giovanni Ati si distinse, quale seguace dell’imperatore Enrico VI, prendendo parte al suo assedio alla città di Napoli.
In età sveva l’elezione di Bartolomeo, avvenuta nel 1231, infrangendo i generalis statuta concilii, venne annullata dal papa.
Pietro, dei frati minori, nel 1253 fu chiamato a reggere la cattedra di Sant’Agata per i suoi meriti nella politica siciliana perseguita dalla Sede apostolica.
Il prelato potrebbe aver favorito un primo arrivo dei francescani, di cui rimane una testimonianza architettonica fuori le mura, nota come San Francesco Vetere.
Così nel periodo svevo Sant’Agata si pose quale approdo, pur su un ramo viario di solo raccordo tra l’Appia e la Latina, di una iniziativa di pregnante valore caritativo e insieme di una apertura al rivoluzionante moto francescano.
II - Epoca moderna e contemporanea
La diocesi, con circa 18.000 anime e 140 luoghi di culto, si apre all’età moderna con i problemi comuni in quel periodo a tante altre realtà meridionali, quali l’impreparazione del clero, lo scarso impegno profuso nell’ottemperare ai propri compiti, l’ignoranza dei fedeli in materia di fede, il mancato rispetto della clausura in molti monasteri femminili, le difficoltà nel tutelare i beni ecclesiastici e nel controllare i luoghi pii di giuspatronato laico.Ma, nonostante l’opera di vescovi quali Giovanni Ghevara, Giovanni Beroaldi, Feliciano Ninguarda ed Ettore Diotallevi, attenti e vigili nel cogliere i malesseri che attraversavano la diocesi, l’attuazione della riforma tridentina era destinata a scontrarsi con i limiti della realtà meridionale, fatta di patronati laici, di chiese ricettizie, di poteri baronali, di capitoli cattedrali dai forti privilegi; dovette inoltre confrontarsi con il fenomeno della clericalizzazione di massa riconducibile essenzialmente ai privilegi e alle franchigie di cui godevano gli ecclesiastici.
Il sinodo celebrato nel 1706 da Filippo Albini rimane una tappa fondamentale nel processo di rinnovamento della diocesi.
Il presule ripristinò per il clero le congregazioni dei casi e dei riti; ampliò l’offerta didattica nel seminario, istituito durante l’episcopato di Felice Peretti (1566- 1572); recuperò al proprio ruolo le confraternite; emanò decreti per migliorare gli enti ospedalieri e controllare l’amministrazione dei monti di pietà.
Nel 1712 ottenne l’elezione dell’eremita san Menna, invocato dalle donne sterili, a patrono della diocesi e nel 1721 quella di san Pio V a patrono di Arienzo.
L’11 luglio 1762 si insediava in diocesi Alfonso Maria de Liguori, chiamato a svolgervi fino al 1775 la sua prima e unica esperienza episcopale, in un momento in cui si avvertiva l’esigenza di recepire quanto elaborato dalla cultura illuministica in merito all’impegno politico, religioso e sociale.
Agguerrito e combattivo, dedicò subito un’attenzione particolare alla carente preparazione del clero, richiamandolo ai suoi doveri, e indicò nella predica e nella confessione i canali privilegiati di approccio con i fedeli.
Decise di costruire ex novo il seminario, ne riscrisse le regole e vi attuò un regime di meritocrazia.
Regolarizzò la vita all’interno dei monasteri femminili e nel 1766 ne creò uno a Sant’Agata dei Goti, di regola redentorista.
Rivoluzionò la distribuzione dei benefici, smembrò alcune chiese e ne trasferì altre stravolgendo tradizionali sistemi di alleanze e, da «vescovo-missionario », volle che nella sua diocesi sorgessero centri di aggregazione sociale quali le varie congregazioni delle zitelle, dei galantuomini, dei preti, dei fanciulli, segni tangibili dell’opera di catechizzazione della Chiesa.
In seguito al concordato del 1818 la diocesi veniva unita aeque et principaliter a quella di Acerra; nel 1854 se ne sarebbe nuovamente distaccata perdendo, però, le terre di Arienzo, Forchia e Cervino.
Alle soppressioni napoleoniche sopravvissero i conventi dei cappuccini in Arienzo e degli alcantarini ad Airola, quello dei padri di san Giovanni di Dio, con annesso ospedale, sito in Sant’Agata, e i monasteri femminili della Santissima Annunziata, sorti ad Arienzo nel 1551, quello di Regina Coeli, ad Airola, risalente al 1661, e quello santagatese di regola redentorista.
Con i decreti di soppressione post-unitari scomparvero molti edifici destinati al culto e soltanto grazie alla tenacia del vescovo Ramaschiello fu possibile aumentare l’organico del corpo capitolare, drasticamente ridotto dal governo.
Il Sillabo di Pio IX (1864), che condannava gli errori del mondo contemporaneo, e il rinnovamento culturale auspicato da Leone XIII portarono in diocesi cambiamenti palpabili: l’accesso agli ordini sacri era disciplinato da rigide norme, le congregazioni dei casi si svolgevano mensilmente, sessanta alunni frequentavano il seminario.
Sant’Agata dei Goti si avviava a vivere l’età dei grandi mutamenti delle strutture politiche, dell’avvio della industrializzazione e delle esperienze belliche del XX sec. sotto la guida dei vescovi Ascalesi e De Nardis, l’ultimo post-tridentino prima della convocazione del concilio Vaticano II.
Nel 1986 la diocesi sarebbe stata unita a quella di Cerreto Sannita-Telese.
Bibliografia
Epoca medievaleF. Viparelli, Memorie Istoriche della città di S. Agata de’ Goti, Napoli 1841;
N. Kamp, Kirche und Monarchie im Staufischen Königreich Sizilien, I, München 1973;
L. R. Cielo, Monumenti romanici a S. Agata dei Goti, Roma 1980;
L. R. Cielo, voce S. Agata dei Goti, in Enciclopedia dell’Arte Medievale Treccani, X, Roma 1999, 331-333.
Epoca moderna e contemporanea
R. Telleria, San Alfonso Maria de Ligorio, fundador, obispo y doctor, Madrid, 2 voll., 1950-1951;
G. Orlandi, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Sant’Agata dei Goti nel secolo XVIII, «Spicilegium Historicum Congregationis SS.mi Redemptoris», XVII, 1969;
M. Campanelli, Centralismo romano e «policentrismo» periferico. Chiesa e religiosità nella Diocesi di Sant’Alfonso Maria de Liguori (secoli XVI-XVIII), Milano 2003.
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.