Le origini del cristianesimo a Ruvo – già nota in età ellenistica e indicata come civitas dall’Itinerarium Burdingalense (IV sec.) – sono alquanto incerte. Rigettata dalla critica la tradizione locale, che vuole san Pietro evangelizzatore della città e fa risalire all’apostolo la volontà di porre il protovescovo san Cleto (poi vescovo di Roma) a capo della comunità, l’ipotesi più probabile è che il cristianesimo sia giunto a Ruvo (sita lungo l’Appia Traiana) attraverso i normali veicoli commerciali che dall’Oriente facevano capo a Brindisi. Forse l’elevazione della comunità alla dignità di sede vescovile è sopraggiunta fra VI e VII sec., un’ipotesi suffragata dalla presenza della chiesa di San Giovanni Rotondo (risalente probabilmente a quell’epoca) con il suo battistero: questa chiesa potrebbe essere stata la prima cattedrale della città. Ruvo entrò a far parte della metropolia latina di Bari e Canosa (1025?), tuttavia il primo vescovo, di cui è documentata l’esistenza, è Guillelmus (o Guibertus), intervenuto alla consacrazione della nuova basilica di Montecassino (1071). La cronotassi episcopale, però, presenta numerose lacune, almeno fino alla metà del XIII sec., allorquando fu portata a termine la nuova cattedrale, dedicata all’Assunta. In essa operava il capitolo, cui restò affidata la cura animarum di tutta la città-diocesi fino agli inizi del Novecento. Per altro, sembra che la cattedrale, durante il Medioevo, sia rimasta l’unico centro della vita religiosa della popolazione. Altre chiese e cappelle erano disseminate in città e sul territorio diocesano, ma non sono documentati insediamenti monastici. Tuttavia è segnalata una domus dei templari (XIII sec.) e un’altra dei giovanniti (XIV sec.). Soltanto a metà del Quattrocento si dette inizio alla costruzione della chiesa e del convento di Sant’Angelo (1449), affidati agli osservanti. Nei secoli dell’età moderna, Ruvo continuò a vivere nella ristrettezza della sua realtà. La città era feudo dei Carafa e anche la diocesi era diventata dominio della famiglia de Mirto. Tre vescovi di questa nobile famiglia napoletana ressero la cattedra ruvese dal 1512 al 1589 (depauperandone i beni) e fino al 1807 si succedette una serie di episcopati dalla durata media alquanto breve, con poche eccezioni. D’altra parte le rendite della mensa vescovile si rivelarono esigue (oscillando fra 700 e 400 ducati) e spesso i contrasti con il clero e i feudatari impedirono un’azione efficace e duratura da parte dei vescovi riformatori. Infatti, furono celebrati soltanto i sinodi convocati da Gaspare Pasquali (1595) e da Domenico Galesio (1676-1679, gli atti furono bruciati, dopo la sua morte, dal vicario capitolare per cancellarne la memoria). La città-diocesi, inoltre, subì un drastico decremento demografico a causa delle epidemie e passò da 10.000 abitanti (fine 1500) a 4000 (1725) per risalire a 5200 (1756). Il clero cittadino, facente capo al capitolo, contava in media 150 unità, ma le modeste risorse economiche non consentirono l’erezione del seminario. Tuttavia sorsero nuove chiese e cappelle di patronato laicale oppure affidate a confraternite, un ospizio per i pellegrini e tre monti di pietà. Nel frattempo furono fondati i conventi dei domenicani (San Domenico, 1560) e dei cappuccini (Santa Maria Maddalena, 1607) e nel 1613 si iniziò a costruire il monastero delle benedettine di San Matteo. Il lungo episcopato di Pietrangelo Ruggeri (1759- 1807) segnò il passaggio all’età contemporanea e si concluse con l’avvento della dominazione francese. La sede restò vacante fino al concordato fra Pio VII e Ferdinando IV e il 27 giugno 1818 fu unita aeque principaliter a Bitonto, dove continuò a risiedere il vescovo (Bitonto contava 18.000 abitanti, Ruvo 10.000). A seguito delle soppressioni (1806), gli scolopi furono chiamati (1821) a occupare, con le loro scuole, il convento di San Domenico, ma anch’essi scomparvero, assieme alle benedettine, per effetto delle soppressioni postunitarie (1866). Sopravvissero invece le poche confraternite. Agli inizi del Novecento si dette inizio a un nuovo assetto della cura animarum, resosi necessario anche in conseguenza dell’incremento demografico e dell’espansione edilizia. Pasquale Berardi (1898- 1921) istituì le tre vicarie perpetue della cattedrale, del Redentore e di San Giacomo (1904), poi trasformatesi in parrocchie. Fra il 1925 e il 1979 furono istituite altre cinque parrocchie, fra cui quelle di San Domenico e di San Michele, ex chiese conventuali. Dopo l’episcopato di Aurelio Marena (1950-1978), seguì un periodo di sede vacante e l’unione con Bitonto cessò di esistere con la nomina di Antonio Bello (30 settembre 1982): Ruvo fu unita in persona episcopi alle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Monsignor Bello separò definitivamente dal capitolo la cura animarum della parrocchia cattedrale (1983). Le quattro diocesi furono pienamente unite il 30 settembre 1986, dando vita alla nuova diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.