Diocesi storica di Squillace
STORIA
I - Le origini
Squillace, (Skylletion per i greci), agli inizi della predicazione cristiana, era colonia romana, detta Scolacium.Sta nel punto più stretto della penisola italiana, di fronte al mar Ionio, tra i fiumi Allaro e Corace.
Come diocesi avrebbe avuto origini apostoliche.
Di certo fu presente nella vita della Chiesa fin dal 465, quando il suo vescovo Gaudenzio sottoscrisse, nella basilica di Santa Maria in Roma, gli atti del sinodo convocato dal pontefice Ilario I (461- 468).
Il sostegno del vescovo Zaccheo a papa Vigilio (537-555) nella controversia dei Tre Capitoli, nel 550, fu l’adesione al primato petrino e alla libertà della Chiesa di Roma nei confronti dell’Oriente cesaropapista.
Il prestigio acquisito in seno all’episcopato dal presule di Squillace, apparve tre anni dopo, nel 553, quando lo stesso Zaccheo, dopo aver firmato per sé il Constitutum, fu incaricato di firmare anche per Valentino, vescovo di Silva Candida, al quale i goti avevano tagliato le mani.
Da parte sua, Roma riconobbe la posizione autorevole di questa Chiesa locale nella persona di san Gregorio Magno (590-604).
Era il tempo delle invasioni dei barbari, di fede ariana, devastatori delle strutture cattoliche.
Papa Gregorio lodò lo zelo episcopale di Severino, attento a salvare i vasi sacri e le suppellettili dalle razzie; assegnò, intorno al 592, la diocesi al vescovo Giovanni, cacciato da Lissa o Lezhe, e fissò la norma giuridica che, qualora la città fosse stata liberata dai nemici, il titolare avrebbe dovuto farvi ritorno.
A Giovanni fu affidata la visita apostolica «ecclesiarum Tauriatinensis et Turitanae» e successivamente quella di Crotone.
In quei decenni Squillace offrì, alla cultura e alla spiritualità occidentale, un’esperienza originale del monachesimo, attraverso due istituzioni di Marco Aurelio Cassiodoro (480-583) il quale, ritiratosi dalla corte gotica di Teodorico, fondò in diocesi i monasteri Castellense e Vivariense, come schola christiana, «prima università d’Europa», per alimentare la tradizione latina, l’ascetica dei laici, per «separare i monaci dal numero degli ignoranti».
Verso il 598, gli abitanti di Scolacium, per difendersi dalle incursioni nemiche, abbandonarono la marina e si rifugiarono nel castrum, insieme al vescovo.
II - Dal Medioevo al concilio di Trento
I tradizionali vincoli con la Sede apostolica si riannodarono con i vescovi Agostino e Paolo.Il primo, nel 649, partecipò al sinodo di papa Martino I (649-655), che condannò l’eresia monotelita; il secondo firmò gli atti del sinodo di papa Agatone nel 680.
Poi «tenebrae factae sunt».
Infatti la politica di Leone III Isaurico sottrasse le chiese di Calabria e di Sicilia dalla giurisdizione di Roma e le sottopose al patriarcato di Costantinopoli.
Squillace divenne greca nella liturgia e nella disciplina.
Fu l’epoca dei monaci basiliani che, fuggendo dall’Oriente perché difensori delle immagini sacre, trapiantarono in Occidente il culto dei santi orientali, come sant’Agazio a Squillace e Guardavalle, san Pantaleone a Montauro e a Santa Caterina Ionio, san Gregorio a Stalettì, i santi Cosma e Damiano a Riace, san Basilio a Placanica, i santi Giorgio e Biagio a Stilo, san Nicola a Badolato, Isca, Gasperina, Gagliato, Cardinale.
Le reliquie dei martiri, portate dai monaci, alimentarono il culto.
Le devastazioni musulmane, dal 904 al Mille, resero difficilissima la vita alle strutture cristiane.
Con Abstalë Squillace divenne emirato e piazzaforte dell’islam.
Dal buio storico pare che emerga nell’827 il vescovo Giovanni II e, con assoluta certezza, Demetrio che nell’870 partecipò all’VIII concilio ecumenico tenuto a Costantinopoli.
L’ultimo presule greco Teodoro Mesimerio ci introduce nella dominazione dei normanni.
Nel 1096 il conte Ruggero riportò la diocesi al rito latino e all’obbedienza romana; scelse come vescovo Giovanni Niceforo decano di Mileto; assegnò confini ampi che includevano anche Taverna, Catanzaro, Tiriolo, Rocca Falluca.
Nello sforzo di latinizzazione normanna rientrava anche il sostegno ai religiosi occidentali.
La giovane certosa di Bruno di Colonia, sorta a Serra, nel 1094 fu arricchita di beni, privilegi, casali.
Mesimerio cedette la giurisdizione spirituale.
Il nuovo ordinamento diocesano e certosino fu approvato da papa Urbano II nel 1098 e, nel 1101, da Pasquale II che ribadì la condizione privilegiata della diocesi di Squillace, in quanto, da secoli, posta «sub speciali iure Sanctae Sedis Apostolicae», come appariva anche dalla prassi fiscale della Camera apostolica.
Attriti con Roma sorsero attorno al 1121 quando il vescovo Pietro reagì allo smembramento del territorio diocesano, operato a beneficio della nuova diocesi delle Tre Taverne-Catanzaro.
La promozione di Pietro ad arcivescovo di Palermo spense la polemica.
La munificenza normanna continuò con la regina Costanza che concesse al presule Ugo la facoltà di giudicare gli adultèri, garantì il privilegium fori ai chierici e la forza del braccio secolare nella pratica pastorale.
Nel 1236 Federico II, in dissidio con papa Gregorio IX, occupò i beni diocesani e provocò una incresciosa vacanza vescovile.
Sotto gli angioini e gli aragonesi la diocesi fu turbata dalle controversie intraprese dai vescovi per riavere dalla certosa il potere spirituale su Montauro, Gasperina, Arunco, Bivongi: fu uno spreco di energie.
Lo scisma d’Occidente (1378-1417) produsse anche a Squillace la nomina contemporanea di due ordinari in lotta tra loro, eletti uno dal pontefice romano Urbano VI, l’altro dagli antipapi avignonesi Clemente VII e Benedetto XIII.
Ristabilita la serie romana con il vescovo Francesco De Arceris, nominato da Martino V nel 1418, la vita diocesana fu agitata dalle vicende dei «diaconi selvaggi», dalla contestata giurisdizione vescovile sui laici, dalla recinzione muraria delle terre ecclesiastiche: tutti fenomeni vivacemente combattuti come contrari alla nuova coscienza laicale.
Nel 1494 il principato di Squillace fu dote di nozze per Sancia, sposa di Goffredo Borgia.
Obbedì alla politica familiare del principe la nomina del cardinale Enrico Borgia a vescovo di Squillace nel 1539.
III - Dal concilio di Trento al VaticanoII
Nel risveglio ecclesiale e sociale, registrato dopo il concilio di Trento, la diocesi ebbe figure di primissimo piano, come il cardinale Guglielmo Sirleto (1514-1585).Sul piano pastorale il Sirleto, consulente scientifico dei legati papali a Trento, segnò una svolta, sia perché ruppe la catena dei vescovi «stranieri» a Squillace, sia perché offrì un esempio di obbedienza ai canoni tridentini.
Già cardinale, scese a San Marco Argentano per osservare la tanto contestata residenza episcopale.
Trasferito a Squillace nel 1568, ordinò la visita pastorale, eresse comunerie, vigilò sull’ortodossia, diede impulso al seminario, fondato già nel 1565.
I nipoti vescovi Marcello, Tommaso e Fabrizio ne seguirono le orme.
Sul piano sociale, la diocesi fu scossa dalla «congiura» di Tommaso Campanella (1568-1639), nel 1599, contro la dominazione spagnola, nella prospettiva di un riscatto degli oppressi e di un rinnovamento generale: un progetto utopico sui tempi.
Campanella cadde nelle maglie dell’Inquisizione; il vescovo Tommaso dovette «tallonare » l’incomodo frate.
Il XVII e il XVIII . furono dominati dalla lotta acerrima che i presuli sostennero per difendere le immunità ecclesiastiche.
Fabrizio Sirleto nel 1608 lanciò l’interdetto su Stilo, contestò il barone di Girifalco, richiese ai certosini la restituzione dei casali contestati.
Più pastorale l’opera del domenicano Giuseppe Della Corgna (1636-1656) che riqualificò il clero e applicò la bolla di Innocenzo X del 1652 sulla soppressione dei conventini.
Nacque allora il beato Antonio da Olivadi, il 3 gennaio 1653.
L’esasperato giuridismo canonistico pose il vescovo Fortunato Durante (1697-1714) contro tutti: contro i baroni a motivo delle ordinazioni sacerdotali; contro i mercanti, per il riposo festivo; contro la certosa per i rivendicati casali; contro il governatore Giuseppe de la Ribera, scomunicato, per la «famiglia armata » vescovile e la fiera di Sant’Agazio.
Con la dominazione borbonica, il giurisdizionalismo divenne più aggressivo.
Nel 1780 la diocesi fu dichiarata di regio patronato, perché nel 1096 era stata «dotata » con i beni del conte Ruggero.
Il terremoto del 1783 servì alla corte di Napoli per sopprimere luoghi pii e assoggettare gli ecclesiastici ai pesi fiscali.
Iniziò allora il declino della potenza economica della certosa di Serra, soppressa nel 1807 da Gioacchino Murat.
Il sinodo di Nicola Notaris del 1784 visse il rigido regalismo del post-terremoto.
Nel 1808 Montauro e Gasperina furono restituite alla diocesi e nel 1852, sotto il vescovo Concezio Pasquini, anche Serra, Spadola, Bivongi, Nardo di Pace, Mongiana, Focà furono riaggregate a Squillace.
La nuova stagione della Chiesa, inaugurata dal concilio Vaticano I, vide operatori di prima grandezza: Raffaele Morisciano (1858-1909) dopo aver partecipato al Vaticano I indisse, nel 1889, l’ultimo sinodo diocesano.
La svolta pastorale si ebbe nel 1911 con l’arrivo di Eugenio Tosi (1910- 1918), divenuto poi cardinale di Milano.
Sulla sua scia si pose Giovanni Elli (1918- 1920), animatore del movimento cattolico, sostenuto da don Francesco Caporale.
Nel 1927, con improvvida decisione, il governo della diocesi di Squillace fu affidato all’arcivescovo di Catanzaro.
Rianimata dall’episcopato trentennale di Armando Fares (1950-1980), protagonista al concilio Vaticano II, la diocesi aspettava l’autonomia giuridica.
Fu unita, invece, con quella di Catanzaro durante il governo dell’arcivescovo Antonio Cantisani (1980-2002), con decreto pontificio del 30 settembre 1986 e la dizione di arcidiocesi di Catanzaro-Squillace compare ora anche come titolo dell’omonima metropolia eretta nel 2002 – contemporaneamente a quella di Cosenza-Bisignano e di Reggio Calabria- Bova – con l’assegnazione di Crotone- Santa Severina e Lamezia Terme come sedi suffraganee.
Bibliografia
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Diocesi di Squillace
Chiesa Santa Maria Assunta
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.