Diócesis de Alife - Caiazzo
HISTORIA
I - Epoca antica e medievale
Ad Alife, dopo l’iscrizione risalente al IV sec. di un Severus episcopus incisa sul tergo del calendario alifano, si ha memoria documentale del vescovo Claro nel 499, tra i sottoscrittori del concilio romano di papa Simmaco.L’epigrafe su un tumulo ritrovato a San Gregorio Matese della metà del VI sec. conferma semplicemente la diffusione del cristianesimo in una zona periferica.
Una titolarità e continuità vescovile si avrà poi a partire dal privilegio di papa Giovanni XIII (969), con il quale all’arcivescovo di Benevento sarà data facoltà di nominare vescovi nel suo vasto distretto.
Così si incontra dal 982 il vescovo Paolo, alcuni documenti del quale sono contenuti nella disputa del vescovo alifano Vito, suo successore, consacrato nel 988 da Alfano, arcivescovo di Benevento.
Poiché fino all’età normanna non si conoscono altri titolari della cattedra episcopale, occorre soffermarsi sul lungo tempo del dominio longobardo.
Ad Alife di fondazione romana, riconosciuto il ruolo di civitas con l’assegnazione di un vescovo come di regola nell’età altomedievale sul rapporto diretto città-sede vescovile, viene fissata la «sede di un gastaldato in un momento certamente anteriore alla divisio ducatus dell’848/849, poi trasformato in comitato autonomo nel 965».
Intanto anche il monachesimo, in collaborazione con gli esponenti dell’aristocrazia longobarda, comincia a operare sin dagli inizi dell’VIII sec., e dunque precocemente, con le fondazioni di Santa Maria e San Pietro presso Alife e dell’abbazia di San Salvatore, affidata alla figlia del principe beneventano Arechi, Adalgisa, e divenuta famosa al punto che «poté trovare a distanza di un secolo e mezzo dalla fondazione, nella cronaca di Erchemperto, un riconoscimento di altissimo rilievo».
Entrati in età normanna, è Arechi il primo antistes ad essere menzionato, noto com’è dalle sottoscrizioni a un sinodo di Niccolò II del 1059 e da un frammento di iscrizione nella cripta della cattedrale.
Molto più puntuali sono i dati relativi a Roberto, la cui presenza in un documento del 1100 costituisce uno dei non rari casi di assistenza/difesa dei vescovi nei confronti di case monastiche.
Quanto all’interrogativo, se cioè il vescovo Roberto corrisponda a quello menzionato in una epistola di Ignazio Danti al pontefice Sisto V (giugno 1585), nella quale si parla di una Historia allifana che l’abate Alessandro Telesino avrebbe dedicato a lui, non è possibile una risposta sicura.
A seguire viene Pietro, dalla cui documentazione emerge un convergere di interessi della corona e della Chiesa, iniziatosi con i normanni – proseguirà fino alle riforme economiche di Federico II dopo il 1231 – quando al vescovo «fu assicurato il sostentamento tramite partecipazione alle entrate dello Stato » (assegnazione delle decime).
Dalla fine del XII sec. si susseguono sulla cattedra alifana molti vescovi sine nomine, di cui vanno ricordati quello dell’anno 1217, molto discusso per l’elezione, avvenuta in modo violento e a meno di trent’anni, e dell’anno 1225 per la sua opposizione a un insediamento di cisterciensi, autorizzato dal papa e gratificato qualche anno prima da una donazione dell’imperatore.
Sull’intreccio episcopato-potere politico è da osservare la netta opposizione del vescovo all’imperatore (1229-1230) all’interno di una lotta del papa con Federico II, che coinvolse anche familiari del vescovo, e la materiale impossibilità di Alferio (1252-1254) a entrare nella diocesi, per il ristabilito controllo del re sulla Terra di Lavoro nel sempre torbido clima di ostilità e di rotture fra il papato e il regno anche dopo la morte di Federico II.
II - Epoca moderna e contemporanea
Il primo capitolo generale diocesano, tenutosi nel febbraio del 1417, segnala la gravità della condizione del clero locale «dedito al gioco e al vino, simoniaco e concubinario, sacrilego e rissoso» (Emilio Salvatore); a questa situazione si aggiunge la condizione di estrema precarietà sociale dei centri della diocesi attraversati da truppe mercenarie, colpiti in modo gravissimo dal terremoto del 5 dicembre 1456 o da devastazioni come quella punitiva del 1561 eseguita dai soldati di Filippo II e Pio IV, che portò alla distruzione e al saccheggio di Alife.La stessa diocesi è retta da vescovi quasi sempre assenti e interessati più alla carriera ecclesiastica che alla pastorale.
Tuttavia, quando un vescovo come Jacopo Gilberto de Nogueras (1561- 1565), reduce dal concilio di Trento, si interessa direttamente alla vita della diocesi, è destinato a scontrarsi duramente con il clero locale uscendone sconfitto.
Non diversa sorte toccherà a molti dei suoi successori, segno di una aperta e secolare conflittualità tra vescovo e clero diocesano e tra vescovo e signori locali, come dimostra lo scontro con il duca Gaetani (1633) o l’omicidio di monsignor Domenico Caracciolo (1663).
Notevolissima nella prima parte del XVII . è la figura di monsignor Pietro Paolo de’ Medici (1639- 1656), impegnato nella formazione del clero e nella catechesi dei fedeli, anche attraverso opere di edilizia sacra e di assistenza.
Un’azione pastorale che attraversa con impegno e sacrificio l’epidemia della peste, che dimezza la popolazione dei centri della diocesi.
Nella seconda metà del XVII sec. è attivo in diocesi il frate francescano Giovangiuseppe della Croce che sarà canonizzato nel 1790.
Si deve a lui la costruzione dell’eremo della Solitudine, realizzato personalmente sul monte Muto e attiguo al convento di Santa Maria Occorrevole, luoghi ancora oggi di intensa spiritualità.
Il XVIII sec. vede la presenza di ben tre vescovi appartenenti alla nota e nobile famiglia napoletana dei Sanseverino, vescovi del tutto estranei alla realtà diocesana e in generale scarsamente presenti in diocesi.
Questo motivo, sommato al progressivo impoverimento dei centri costituenti la diocesi, portò il 27 giugno 1818 alla sua soppressione per decisione del papa Pio VII e la sua annessione alla diocesi di Cerreto-Telese.
Le proteste popolari e l’impegno del vescovo Emilio Gentile (1776-1822) ottennero che lo stesso pontefice ristabilisse la diocesi di Alife unita a quella di Cerreto.
Sarà però soltanto il 6 luglio 1852 che Pio IX decreterà la piena autonomia e la definitiva separazione delle due diocesi.
Particolarmente singolare è la figura del vescovo Gennaro Di Giacomo (1848-1874) negli anni dell’unificazione italiana, le cui operazioni militari toccarono direttamente la diocesi di Alife.
Monsignor Di Giacomo offrì diretta collaborazione al nuovo Regno d’Italia tanto da essere ricevuto, primo vescovo del Meridione, da Vittorio Emanuele II che nel 1863 lo nominò senatore del regno.
I suoi interventi parlamentari e le posizioni nazionaliste assunte provocarono la richiesta di rinunzia da parte della Santa Sede e il divieto a risiedere in diocesi.
L’inizio del Novecento vide Settimio Torchiarolo Caracciolo (1898-1911) impegnato nella formazione spirituale del laicato, mentre il successore, Felice Del Sordo (1911-1928), ne continuò l’opera promuovendo l’apertura di sedi di Azione cattolica e la formazione culturale con l’inaugurazione di una fornita e aggiornata biblioteca.
Fu Luigi Noviello (1930-1947) a vivere la drammatica stagione del fascismo, la durissima persecuzione contro l’Azione cattolica che realizzò in diocesi e soprattutto le conseguenze della seconda guerra mondiale, tra rastrellamenti nazisti e bombardamenti americani, conseguenze rispetto alle quali la Chiesa alifana offrì un esemplare sostegno caritativo.
L’azione nella ricostruzione post bellica fu affidata a Virgilio Dondeo (1953-1961) impegnato – secondo quanto sostiene Emilio Salvatore – in una ricostruzione culturale, spirituale e morale di cui sono prova alcune significative lettere pastorali e la fondazione di un istituto magistrale parificato.
Questo lavoro fu premessa per il breve, ma intenso, episcopato di Raffaele Pellecchia (1961-1967), il vescovo che partecipò al concilio Vaticano II mostrando straordinarie capacità pastorali nel trasfondere e attualizzare in diocesi le affermazioni conciliari.
Monsignor Pellecchia non solo si impegnerà in un’alta opera di formazione ecclesiale, ma realizzerà una intensa collaborazione con il presbiterio, di cui è prova la lettera pastorale collettiva Rinnoviamo la parrocchia, documento di particolare profondità d’analisi e di straordinaria capacita programmatica.
L’azione di Pellecchia lascerà una traccia significativa in grado di compensare, almeno in parte, i lunghi anni nei quali l’assenza di un vescovo fece conoscere alla diocesi un tempo buio e scarsamente dinamico a causa della non breve (1967-1978) e contrastata amministrazione apostolica affidata al vescovo di Caserta Vito Roberti.
Proprio in questo periodo si affermò sempre più una totale egemonia della Democrazia cristiana nei comuni della diocesi grazie anche a un notevole collateralismo acritico.
Tale collateralismo, che favorirà l’estendersi di una gestione clientelare della cosa pubblica, resta ancora da analizzare e studiare in modo compiuto.
Bibliografía
Epoca antica e medievale:G. F. Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità Allifane, Napoli 1776;
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Epoca moderna e contemporanea:
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D. Marrocco, Mons. Di Giacomo un vescovo nel risorgimento, Piedimonte 1963;
F. Gargiulo, Giacomo Gilberto de Nogueras vescovo di Alife (1525-1566). Contributo alla conoscenza di uno scrittore ecclesiologico e Padre del Concilio di Trento, Firenze 1969;
E. Salvatore, Alife moderna e contemporanea, in Dizionario storico delle diocesi della Campania, a c. di A. Carfora-C. Galiano-A. Ianniello- G. Liccardo-S. Tanzarella, Palermo 2008.
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Diócesis de Alife - Caiazzo
Chiesa di Santa Maria Assunta
Diócesis
FUENTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.