Sulle orme del silenzio: il Vaso Sacro
Monaci nel mondo: contrapposizione tra mondo e monachesimo
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L’abito monastico, la clausura, il silenzio, la separatezza dal mondo, oggi sono al tempo stesso realtà e segno di non facile lettura. Quando San Romualdo o il Beato Giustiniani lasciarono il mondo era a tutti chiaro il motivo della loro scelta, e molti la esaltavano come qualcosa di grande e di bello, poiché la società, imbevuta dai valori cristiani, non percepiva affatto il monachesimo come un corpo estraneo nel suo interno. Oggi, specialmente nel mondo occidentale non è così.
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Il Mondo Monastico
Il mondo monastico rimane ancora qualcosa di sconosciuto, di misterioso, a volte anche di negativo.
La vita monastica è tutta dominata da una visione di fede e da una atmosfera sacrale “finché ci è ancora consentito e siamo ancora in questo corpo bisogna operare quel che ci giova per l’eternità” ammonisce San Benedetto nel prologo della sua Regola. Nel mondo invece dilaga la secolarizzazione e lo sguardo a fatica si spinge oltre i confini del creato e della vita “terrena’’. Il monaco organizza la giornata e la vita interna in funzione di un laborioso otium contemplativo per riconoscere a Dio il primato che gli spetta. Noi si è presi da un frenetico efficientismo perché assegniamo al benessere materiale il primato assoluto tra i valori della vita. Il monaco coltiva nell’animo la consapevolezza che “Dio sempre e senza posa lo guarda dal cielo”. Questo l’aiuta a vivere in un atteggiamento di verità poiché non si preoccupa tanto di apparire ma piuttosto di divenire in verità. Noi, immersi nella civiltà dell’immagine, si è preoccupati non di essere ma di apparire. Viviamo nel rumore e viviamo del rumore, del frastuono. Il silenzio fa paura perché ci lascia soli con noi stessi, scopre il nostro vuoto. Eppure tutta la vita monastica è basata sul silenzio o, meglio sulla dialettica, sul rapporto tra silenzio e Parola. Il monachesimo ha elaborato una spiritualità che per le sue radici profondamente bibliche è stata definita una Spiritualità dell’ascolto. Ma l’ascolto ha bisogno del silenzio.
Eppure, è sotto gli occhi di tutti un fatto, nuovo nella sua intensità: la ricerca da parte dei laici di un monastero per poter fare, anche solo per un giorno, un’esperienza forte di autentica vita monastica.
Come rispondono i monaci a questa ricerca? Essi si stanno dimostrando di essere consapevoli di dare una risposta soddisfacente. Sono consapevoli di vivere in un epoca molto diversa da quella in cui il monachesimo è sorto e si è sviluppato. E’ un’epoca, questa, dove i legami tra società civile e monachesimo sono molto più stretti, ed il secondo attinge molto dalla prima, ad esempio la tecnologia, i mezzi di comunicazione e di trasporto, l’assistenza sanitaria. Si potrebbe parlare di un dovere di riconoscenza da parte dei monaci verso la società.
Che cosa allora possono fare i monaci per il mondo? Quale il loro contributo perché nella società civile crescano la giustizia e la pace ed i valori dello spirito?
Forse è il termine Testimonianza che meglio esprime il tipo di contributo che il monachesimo può dare alla società contemporanea. Passata l’epoca storica in cui si chiedeva ai monaci di dissodare e bonificare molte terre d’Europa, o di trasmettere la cultura, oggi si chiede loro di essere dei testimoni.
Con la sua vita incentrata sulla preghiera e l’ascolto della parola di Dio, con la mancanza di uno scopo specifico della vita al di fuori della ricerca di Dio, il monaco testimonia di vivere per qualcosa che trascende il mondo e la storia.
Se il monaco può farsi maestro nella ricerca di Dio è perché egli stesso l’ha appresa per esperienza.
Il monastero, nel ritmo quotidiano della vita che vi si conduce è scandito dal dialogo con Dio: dalla Lectio Divina in cui Dio parla con l’uomo, ai Salmi in cui l’uomo parla con Dio.
Con il suo amore al silenzio, il monachesimo insegna all’uomo d’oggi a rientrare in se stesso per recuperare il senso del mistero che ci circonda e che conferisce un valore supremo al vivere e al morire. In particolare, la testimonianza dei monaci può aiutare a vincere la frenesia del tempo.
Sempre si corre perché manca il tempo! Sotto questo punto di vista il monaco appare “padrone del tempo”: ad ogni cosa assegna il suo momento. C’è un tempo per pregare e un tempo per lavorare; un tempo per parlare e un tempo per tacere, un tempo per mangiare e un tempo per dormire…
La testimonianza dei monaci sul trascendente non sarebbe né credibile né cristiana se non fosse innestata sull’amore del prossimo: “Chi non ama non ha conosciuto Dio”.
Il benefico influsso della Regola di San Benedetto ha influenzato fraternamente allora come oggi l’amore per il fratello: “L’economo si prenda sollecita cura specialmente dei malati, dei bambini, degli ospiti, dei poveri”. “Appena un ospite viene annunziato subito gli vadano incontro l’Abate ed i fratelli con ogni premurosa attenzione suggerita dalla carità. Questa regola oggi è coniugata in modo differente. Oltre a ciò ogni monastero è un centro di aiuto per tanti poveri della zona, e nessuna clausura è così stretta che non possa aprirsi per qualche caso straordinario, come è avvenuto nel Sacro Eremo Tuscolano, quando durante l’ultima guerra si ospitarono alcune famiglie di sfollati.
La spiritualità monastica si caratterizza pur sempre come una sorta di fuga dalla società civile, secondo la classica espressione “Fuga Mundi”. Oggi, tuttavia, in una diversa sensibilità ecclesiale e religiosa, sono più appropriate quelle espressioni che sottolineano il fatto che il monaco si sente solidale con la storia di salvezza di ogni uomo, con le sue gioie e le sue speranze e le sue angosce.
Le Costituzioni (n.15) così esortano: “Occorre che l’eremita approfondisca la sua consapevolezza di essere coinvolto nelle sofferenze e nelle necessità degli altri. Separato da tutti deve essere unito a tutti…” con amore e compassione.