Diocesi di Matera - Irsina
STORIA
I - Le origini
La diocesi denominata di Matera-Irsina unisce oggi due comprensori territoriali in origine organizzati in modo diverso.Matera, infatti, a partire dal 1203 e per più di sette secoli era stata unita ad Acerenza, una tra le più antiche diocesi del territorio meridionale; Irsina, sotto l’antica denominazione di Montepeloso, aveva avuto per molti secoli, a partire dall’XI, una sua autonomia diocesana e nel 1818 era stata poi aggregata alla vicina diocesi di Gravina.
Le disposizioni emanate già dai primi concili cristiani, orientate ad assegnare la dignità diocesana alle città più importanti, spingerebbero ad ammettere l’esistenza di una sede istituzionale diocesana a Matera già nei primi secoli della cristianizzazione del territorio meridionale; tuttavia le ipotesi avanzate da storici locali sulla presenza di vescovi materani nei concili dell’VIII e del IX . non appaiono suffragate da una idonea documentazione.
Una data più attendibile per accertare l’esistenza di una autonoma storia ecclesiastica materana si può ricavare da una citazione del vescovo di Cremona, Liutprando (910-972 ca), che riporta l’ordine impartito nel 968 dal patriarca di Costantinopoli, Polieuto, di sottomettere alla nuova diocesi di rito greco di Otranto alcune diocesi meridionali tra cui Matera (Maceria).
Quell’ordine rappresentava un significativo atto politico diretto a guadagnare all’obbedienza bizantina importanti territori meridionali, ma gli storici dubitano della effettiva esistenza di tutte le diocesi indicate.
II - Il Medioevo e l’età moderna
Fu la bolla di Innocenzo III del 4 maggio 1203 il documento ufficiale che decretava l’istituzione a Matera di una chiesa cattedrale e la sua unione aeque principaliter alla antica arcidiocesi di Acerenza.Lo stesso papa, pochi anni addietro, nel 1199, aveva emanato un altro documento finalizzato ad arginare un movimento autonomistico in atto nella Chiesa materana; in esso aveva sancito la sottomissione al vescovo acheruntino dei chierici della Chiesa materana e la dipendenza feudale della importante collegiata di San Pietro di Matera dalla mensa arcivescovile di Acerenza.
I provvedimenti innocenziani da un lato avevano inteso mantenere inalterati i rapporti tra le chiese episcopali della Basilicata confermando il ruolo metropolita di Acerenza, dall’altro, non ignorando la situazione di declino di quella sede, intendevano comunque riconoscere un ruolo a Matera anche per assicurare una ulteriore e più idonea residenza ai vescovi acheruntini.
La storia dell’unione delle due Chiese, durata per più di sette secoli, fu scandita da una lunga e accesa conflittualità tra le due città, manifestata nelle sedi ecclesiastiche e in quelle civili, nel tentativo, da parte di Acerenza, di conservare l’antico primato istituzionale e, da parte di Matera, di affermare il proprio.
L’unione delle sedi contribuì ad accrescere notevolmente il prestigio di Matera; l’erezione di una bella e maestosa cattedrale di stile romanico che dominava dall’alto i due antichissimi rioni della città, i Sassi, dove risiedeva la gran parte della popolazione, costituì il segno tangibile del nuovo status.
La nuova chiesa, in parte edificata su un antico complesso monastico, fu completata nel 1270 e dedicata alla Vergine Maria.
Ulteriore testimonianza dell’importanza assunta dalla città è rappresentata dalla presenza di numerosi insediamenti monastici e conventuali maschili e femminili appartenenti agli ordini più importanti, benedettini, cappuccini, riformati e domenicani, già attivi in epoca medievale e ancor più cresciuti in età moderna dopo il concilio di Trento.
La loro presenza ben si ricollegava alla tradizione del monachesimo benedettino rupestre dell’VIII-X sec., e del monachesimo italo-greco «basiliano» del periodo bizantino che, con il referente ascetico della grotta, aveva trovato nel territorio materano l’ambiente ideale per i monaci eremiti.
Negli anni del grande scisma d’Occidente, nonostante nel 1378 fosse stato eletto papa con il nome di Urbano VI Bartolomeo Prignano, vescovo di Acerenza e Matera dal 1363 al 1377, la diocesi acheruntino-materana fu interessata dalla divisione delle obbedienze papali e soggetta a una serie episcopale avignonese, una romana e una terza istituita dagli unionisti dopo il concilio di Pisa.
L’arcivescovo Manfredi, sebbene nominato da Giovanni XXIII, rappresentante di questi ultimi, fu riconosciuto dal papa che aveva posto fine allo scisma, Martino V, e riconfermato dal di lui successore Eugenio IV; il suo vescovato, infatti, si protrasse fino al 1444.
Durante questo periodo il conflitto istituzionale tra Acerenza e Matera si era particolarmente accentuato poiché i materani, con il favore del nuovo conte della città, il principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini che godeva della protezione di Alfonso di Aragona, avevano cercato di ottenere la separazione da Acerenza dichiarando la propria autonomia ecclesiastica e nominando un proprio vescovo, Masio, al quale papa Eugenio IV nel 1440, dopo una iniziale opposizione, riconobbe delle funzioni.
Apparentemente composta, la questione si ripropose nel 1470 quando papa Sisto IV, nella bolla di nomina del nuovo arcivescovo Enrico Longuardo, lo titolava arcivescovo di Acerenza e vescovo di Matera, ripristinando di fatto l’antica supremazia acheruntina.
Prevedibili le proteste materane fatte valere a Roma da una delegazione che aveva sottolineato con forza le ragioni della città, adducendo tra le motivazioni il progressivo declino di Acerenza comprovato da una inesorabile e costante contrazione della popolazione e del clero, a fronte del progressivo sviluppo di Matera e delle sue chiese.
Le rimostranze incontrarono il favore del papa Sisto IV e la sua salomonica decisione tenne in conto il trascorso prestigio di Acerenza e la considerazione dovuta a Matera.
Da quel momento gli arcivescovi della diocesi avrebbero dovuto, nella loro titolazione, mettere per primo il nome della città dove in quel momento risiedevano; per cui, secondo la residenza, si sarebbero denominati «arcivescovo di Matera e Acerenza» o «arcivescovo di Acerenza e Matera».
Inoltre, alla Chiesa materana venivano riconosciuti gli stessi diritti e privilegi di cui godeva la Chiesa acheruntina.
La reazione e le proteste, questa volta di Acerenza, tennero in sospeso la vicenda ancora per molti anni finché nel 1519 papa Leone X, confermando la bolla di Sisto IV, sperò di dare una definitiva sistemazione al complesso sistema di rapporti tra le due città, che si trascinava ormai da tre secoli; si trattò in realtà solo di una tregua e il contrasto sarebbe ripreso nei secoli successivi sul problema del seminario e della nomina del vicario generale, rivendicati da entrambe le sedi.
Dunque, a cavallo tra XV e XVI . Matera acquistava un grande prestigio sul piano istituzionale ecclesiastico, favorito dalle vicende politiche di quegli anni.
La città, infatti, era divenuta molto cara agli aragonesi per la fedeltà dimostrata alla corona in diverse occasioni, e negli atti ufficiali veniva riportata sempre con il titolo di fidelissima.
Nel 1481, in occasione del conflitto con i turchi per la riconquista di Otranto, espugnata l’anno precedente, il principe Alfonso, figlio di re Ferdinando, aveva stabilito proprio a Matera il suo quartier generale per allestire l’esercito da opporre ai mori; in quella occasione la città e soprattutto le sue chiese avevano fatto dono al sovrano di numerosissimi calici e croci d’argento; e ancora, nel 1485, in occasione della famosa congiura dei baroni, Matera si era schierata dalla parte della corona aragonese.
Per questi motivi re Ferdinando le aveva accordato numerosi privilegi, tra cui quello di città regia.
Nel Cinquecento la città ebbe un grande sviluppo demografico, passando dai 1898 fuochi del 1532 ai 3100 del 1595; in quello stesso anno ad Acerenza venivano rilevati solo 269 fuochi.
Se a ciò si aggiungono i circa duemila ducati di rendita della mensa vescovile si comprende la preferenza accordata dai vescovi alla sede materana per la loro residenza; tuttavia va rimarcato che il periodo si caratterizzava per il malgoverno che la curia romana faceva delle sedi vescovili in riferimento alle quali l’aspetto patrimoniale sopravanzava di gran lunga la cura pastorale.
La sede acheruntino-materana non si sottraeva ai fenomeni generali del costume ecclesiastico dell’epoca, tra cui nepotismo e favoritismi politici; essa era una delle ventiquattro, tra vescovati e arcivescovati del Regno di Napoli, di giuspatronato, cioè con il diritto di presentazione, della corona e con ben cinque diocesi suffraganee: Potenza, Venosa, Tricarico, Anglona-Tursi, Gravina.
Tra il Quattrocento e il Cinquecento, dopo la morte di quel Longuardo di cui si è detto, la sede fu affidata in successione a tre membri della famiglia napoletana dei Palmieri: Vincenzo, Andrea Matteo che, divenuto cardinale nel 1527, la cedette al fratello Francesco con la clausola del regresso per cui, alla sua morte, la diocesi tornò sotto la sua giurisdizione.
Seguirono due arcivescovi della nobile famiglia, anch’essa napoletana, dei Saraceno, Giovanni Michele e il nipote Sigismondo.
Il primo lasciò la sede quando ascese alla porpora cardinalizia ed entrambi intervennero, distinguendosi per i loro interventi, al concilio di Trento.
Di questi arcivescovi va ricordato che al concilio si sottoscrissero entrambi con il titolo di arcivescovo materano senza alcun accenno al titolo acherontino.
Inizia con Sigismondo Saraceno, che molto si prodigò in questa direzione, la serie degli arcivescovi residenti che si impegnarono nella applicazione dei decreti conciliari, per avviare una difficile opera di moralizzazione già cominciata prima del tridentino da Michele Saraceno; ne resta traccia nei voluminosi atti della visita pastorale da lui tenuta nella diocesi nel 1543, che rappresentano uno dei pochi esempi pretridentini a noi pervenuti.
Nel Seicento Matera cercò di consolidare la sua primazia in ambito ecclesiastico, sostenuta anche dal prestigio acquisito in campo civile per le sue caratteristiche di più sviluppato agglomerato urbano.
Infatti, nel 1663, dopo vari spostamenti in altri centri lucani ritenuti inidonei al ruolo, fu individuata per rappresentare al meglio la sede della Regia udienza e il capoluogo della Basilicata; per questo il suo territorio, fino ad allora compreso nella Terra d’Otranto, fu incorporato nella circoscrizione della Basilicata.
La costruzione del seminario a opera dell’arcivescovo teatino Vincenzo Lanfranchi nel 1673, se assicurò alla città un importante centro di studi, fondamentale anche per il ruolo civile che essa ricopriva, costituì un ulteriore motivo di aspro conflitto con Acerenza, che non riuscì mai a istituirne uno proprio; lo scontro si trascinò per lunghissimi anni.
Il Settecento fu un’epoca di grande sviluppo anche urbanistico per Matera che, dagli antichi rioni dei Sassi, si allargò alla zona superiore del piano, dove trasferirono la sede anche i due importanti conventi femminili di Santa Lucia e dell’Annunziata che, insieme ai cinque conventi maschili dei domenicani, minori conventuali e riformati, cappuccini e agostiniani, rappresentavano un ulteriore motivo di disparità con Acerenza, dove era attivo un solo monastero.
III - L’età contemporanea
Negli anni della rivoluzione napoletana del 1799 la città, dopo una iniziale adesione ai fermenti rivoluzionari, favorita anche dalle moderate esortazioni del vescovo dell’epoca Camillo Cattaneo al rispetto delle autorità costituite nella repubblica, tornò ben presto fedele ai Borbone; forse per questo nel 1806, all’arrivo dei francesi, fu immediatamente privata del ruolo di capoluogo in favore di Potenza.Nell’agosto del 1818 furono accolte con grande stupore dai materani, in quanto ritenute inspiegabili, le decisioni di papa Pio VII relative al nuovo assetto circoscrizionale delle diocesi del regno meridionale, emanate con la bolla De utiliori dominicae.
In esse la Chiesa di Matera veniva soppressa e sottomessa nuovamente alla Chiesa acheruntina.
Le comprensibili e immediate reazioni dello stesso arcivescovo Cattaneo presso la corona e il papa evidenziarono un involontario errore cui il pontefice intese porre rimedio con la bolla Ex misteriosa del successivo marzo 1819.
La Chiesa materana veniva così reintegrata del titolo di concattedrale con quella di Acerenza, senza reciproca subordinazione, e dei diritti e doveri del suo capitolo; inoltre, l’obbligo per i vescovi di risiedere solo per quattro mesi all’anno ad Acerenza e il contributo per il seminario materano imposto al clero acheruntino smorzarono gli entusiasmi di Acerenza e placarono le preoccupazioni dei materani la cui maggiore aspirazione restava, comunque, quella di una autonoma circoscrizione.
Tra gli arcivescovi ottocenteschi va segnalato Antonio Di Macco (1835-1854) che diede corso a varie iniziative.
Con un personale contributo, fece realizzare un acquedotto che riuscì ad alimentare grandi cisterne poste in più punti della città; fondò un monte dei prestiti per aiutare i contadini poveri; con l’autorizzazione del capitolo vaticano incoronò con una sfarzosa cerimonia l’immagine della Madonna della Bruna, veneratissima patrona di Matera.
Il Novecento si apre con il tentativo da parte di Raffaele Rossi (1899-1906), uno dei vescovi formatisi agli insegnamenti di Leone XIII, di dare impulso al movimento cattolico che, come in tutto il Mezzogiorno, aveva stentato a decollare.
La pubblicazione del battagliero giornale «La Scintilla », primo periodico cattolico della regione, la costruzione del nuovo seminario e la questione sociale furono tra i suoi maggiori impegni; il suo zelo pastorale venne troncato da una morte precoce.
Il lungo successivo episcopato del monaco cavense Filippo Anselmo Pecci (1907-1945) attraversò il difficile periodo delle due guerre e dei contrastati rapporti con il fascismo.
In quegli anni, proprio nel 1927 quando venne istituita la provincia di Matera, si pensò a una nuova ristrutturazione delle circoscrizioni ecclesiastiche lucane.
Si pensò di aggregare la diocesi di Tricarico a quella di Matera e i paesi della diocesi «di alto» di Acerenza a Potenza nel tentativo di razionalizzarne i territori, ma la bolla non venne pubblicata.
Solo nel 1945 la curia materana, ottenendo dalla Santa Sede l’aggregazione dei dieci paesi più vicini alla città, che fino ad allora avevano costituito la cosiddetta diocesi «di basso», aveva acquisito una propria identità territoriale; identità che si sarebbe più organicamente definita nel 1954 quando Pio XII ebbe finalmente firmato la bolla di divisione delle due sedi mantenendo anche per Matera la dignità arcivescovile a riconoscimento, seppure tardivo, di una sua autonoma visibilità sul piano ecclesiastico e religioso; inoltre, alla autorità metropolitana dei suoi arcivescovi venivano sottoposti i vescovi suffraganei di Anglona- Tursi e di Tricarico.
La successiva riorganizzazione delle diocesi lucane dell’agosto 1976, tendente a uniformare i confini delle circoscrizioni ecclesiastiche con quelli amministrativi, portò alla soppressione di Acerenza come sede metropolitana e alla conferma di Matera come sede arcivescovile sottoposta però all’unica autorità metropolitana della regione, l’arcivescovo di Potenza.
Due decreti del settembre successivo ridefinivano ulteriormente il territorio ecclesiastico lucano per ottenere una maggiore armonizzazione: con il primo i comuni di Ginosa e Laterza, amministrativamente aggregati a Taranto ed ecclesiasticamente da sempre appartenuti alla diocesi «di basso» di Acerenza e Matera, furono aggiunti alla diocesi di Castellaneta; a compenso territoriale il comune di Salandra fino a quel momento inserito nel comprensorio diocesano di Tricarico venne accorpato alla diocesi di Matera da cui dipendeva amministrativamente.
Il secondo decreto del 12 settembre istituiva la regione ecclesiastica di Basilicata riconoscendo l’autonomia della sua conferenza episcopale e procedeva a un nuovo accorpamento: la diocesi di Irsina, l’antica Montepeloso, unita fino a quel momento a Gravina venne associata a Matera; si trattava in definitiva di una semplificazione volta a razionalizzare il territorio ecclesiastico lucano per una migliore e proficua azione pastorale senza più tenere conto, come in passato, di antiche pretese e secolari supremazie.
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Diocesi di Matera - Irsina
Chiesa di Santa Maria della Bruna
-
La facciata principale della cattedrale di Santa Maria della Bruna a Matera -
Il presbiterio -
Veduta dell’aula dall’ingresso
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.