Diocesi storica di Irsina
STORIA
I - Dalla fondazione al concilio diTrento
La sede vescovile di Irsina, già chiamata Montepeloso, fu fondata dai bizantini verso la fine del X . A un probabile insediamento monastico greco si sostituì, con la conquista normanna della metà dell’XI sec., un priorato affidato ai monaci di San Lorenzo di Aversa; il conte Goffredo di Conversano nel 1093 ne fece un’abbazia autonoma, il cui abate ebbe prerogative vescovili.Difatti, in una bolla di Celestino III del 1193 in cui Callisto II stabilì che in Montepeloso abate e vescovo fossero la stessa persona, è detto che Montepeloso godeva della dignità vescovile ab antiquitus.
Nel 1133 Ruggero II re di Sicilia distrusse la città, salvando solo la cattedrale e il convento di Santa Maria Nuova o di Juso, che venne donato all’abate della Chaise-Dieu nell’Alvernia.
Per lungo tempo la diocesi fu retta dagli abati e priori dell’abbazia francese, i monaci portarono la spiritualità benedettina, ma concentrarono nelle loro mani vasti poteri signorili ed ecclesiastici, venendo in contrasto con il clero e la feudalità locale per la restituzione della sede vescovile.
La supremazia dei priori durò fra molteplici contrasti fino al 1370, quando gli abitanti di Montepeloso cacciarono i monaci di Santa Maria di Juso e l’abbazia si estinse.
Papa Niccolò V, su richiesta del duca Francesco del Balzo, con bolla del 1452 la unì ad Andria e designò a primo vescovo il minore conventuale Antonello, trasferito da Gallipoli.
In quegli anni tennero il vescovato altri monaci, dal domenicano Antonio Giannotti a Ruggero di Atella, che probabilmente introdusse il rito greco, allo spagnolo Martino de Sotomajore.
La sede, che coincideva con l’agglomerato urbano, fu disunita da Andria nel 1476 allorché papa Sisto IV le restituì la dignità episcopale e nominò vescovo Donato Eletto, cui seguì l’arcidiacono Antonio Maffei, con il titolo di priore di Santa Maria d’Irsi.
La Chiesa rimase sottoposta direttamente alla Santa Sede fino al concordato del 1818.
Pervenuta la città in possesso dei principi d’Aragona, si avvicendarono come vescovi il nobile napoletano Giulio Cantelmo, l’umanista Leonardo de Carninis e l’olivetano Marco Coppola.
Nel 1532 Clemente VII elevò alla chiesa di Montepeloso il cardinal Giandomenico De Cupis, nipote di Paolo III, canonico della basilica vaticana e segretario di papa Giulio II, che tenne l’amministrazione della diocesi fino al 1537 e la rassegnò con diritto di regresso, cioè di conservare la titolarità della sede vescovile e acconsentire alla nomina di vescovi che agivano in suo nome.
Con il suo beneplacito governarono la diocesi vescovi vicari quali Bernardino Tempestino, Pietro Martino e Paolo De Cupis, fratello del cardinale, trasferito a Recanati nel 1549.
II - Dal concilio di Trento al concordatodel 1818
In epoca conciliare la sede ebbe diversi vescovi di grande levatura, dai letterati Ascanio e Vincenzo Ferreri di Bisignano, ai quali subentrò nel 1561 il calabrese Luigi De Coperia, al canonico venosino Lucio Maranta (1573- 1592), che partecipò ai lavori conciliari affrontando il problema della riforma dei prìncipi.Trasferito da Lavello, egli chiese al clero i titoli attestanti le loro cariche e per ravvivare la devozione fondò una cappella di musica.
Ad accrescere il fervore religioso dei laici e la pratica cristiana contribuirono allora i frati agostiniani, conventuali e cappuccini, come pure le diverse confraternite del Corpo di Nostro Signore, dell’Annunziata, di sant’Antonio, del Nome di Dio e del Rosario, dedite ad assistere i deboli, applicate al culto mariano e cristologico.
In un clima di conflittualità, segnato dalla vendita del feudo nel 1585 alla famiglia genovese dei Grimaldi, quindi ai Guevara e Riario, situazione contraddistinta dalle usurpazioni feudali a danno della Chiesa, dal rifiuto del barone di pagare le decime, il vescovo si apprestò a riformare la vita e l’educazione del clero.
L’applicazione dei canoni tridentini fu lenta e difficile; tra i benemeriti successori Giovanni Gioia Dragomanno (1592-1596) divise la città in quattro parrocchie, Camillo Scribonio visitò la diocesi di persona, Onofrio Grifonio difese i diritti della mensa vescovile contro il feudatario Nicola Grimaldi.
Dell’attività di altri pastori restano vive le tracce nelle iniziative caritatevoli, nel mantenimento della disciplina del clero, nella cura della cattedrale, servita da un capitolo di sei dignità e numerosi canonici, nella promozione del culto divino in una città ricca di edifici sacri e di reliquie, dove si veneravano in modo particolare il braccio di sant’Eufemia e il corpo di san Vittore e che dal 1644 al 1650 fu sede della regia udienza di Basilicata.
Nelle loro relazioni è notevole il ricordo della rivolta del 1647 soffocata nel sangue dal conte Francesco Salazar, del pericolo dei banditi, dei contrasti fra capitolo e laici per il possesso di proprietà agricole.
Tali episodi avevano inciso sulla salute del nobile Attilio Orsini (1638-1655), celebrato per la modestia dei costumi, e spinsero Raffaele Riario (1674-1683) a osteggiare il feudatario per difendere i beni della Chiesa.
Nei secoli successivi ressero la diocesi pastori di profonda pietà, da Cesare Rossi (1738-1750) di Marsico Nuovo a Tommaso Agostino De Simone (1763-1780); molte furono le iniziative caritatevoli, la costruzione di edifici sacri, lo sviluppo di istituzioni importanti come la congrega dei contadini fondata dal gesuita Domenico Bruno nel 1714, la congregazione degli Artieri che ottenne il «regio assenso» nel 1777.
Nei moti repubblicani del 1799 si distinse il vescovo Michele Arcangelo Luppoli (1797-1815), parroco di Frattamaggiore, noto autore di opere di teologia, archeologia e letteratura, il quale fu coinvolto nella rivolta popolare animata da Giacomo Amato e dovette lasciare la città per rientrarvi nel 1800 al ritorno dei Borbone.
III - Dal 1818 al concilio Vaticano II
Con la Restaurazione, durante il lungo episcopato di Cassiodoro Margarita (1818- 1850), il 27 giugno del 1818, Pio VII in forza del concordato stipulato tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie unì la sede aeque principaliter a Gravina e vescovo delle due diocesi fu nominato Ludovico Roselli, che non prese mai possesso della sede.Margarita emanò editti per la disciplina del clero, effettuò una ricognizione dei beni delle chiese e dei redditi delle cappelle, sospese dalla celebrazione delle messe i sacerdoti iscritti alla carboneria e che avevano partecipato ai moti del l820- 1821.
Nel periodo post-unitario i beni della mensa vescovile furono incamerati dallo Stato mentre era vescovo l’acheruntino Alfonso Maria Cappetta (1859-1871), liti e contestazioni caratterizzarono gli episcopati successivi fino a Vincenzo Salvatore.
Tra i vescovi del Novecento, Giovanni Maria Sanni (1922-1953) guidò la diocesi negli anni tormentosi della seconda guerra mondiale e il facondo predicatore, Aldo Forzoni (1953-1962) fu attento ai problemi della formazione del clero.
Al tempo di monsignor Michele Giordano (1971- 1987), in ossequio alle disposizioni della Santa Sede la diocesi fu separata e unita a Matera l’11 ottobre 1976, restando suffraganea di Potenza.
A seguito della revisione del concordato Lateranense con decreto del 30 settembre 1986, la circoscrizione vescovile, immediatamente soggetta alla Santa Sede, è stata denominata Matera- Irsina con sede in Matera ed è suffraganea di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo.
Bibliografia
Gams 900-901;Ughelli I 998-1002;
E. Palermo, Della Città Vescovile di Montepeloso, in Enciclopedia dell’Ecclesiastico, Napoli 1845, IV, 768-771;
V. d’Avino, Cenni storici sulle Chiese Arcivescovili, Vescovili e prelatizie (nullius) del regno delle Due Sicilie, Napoli 1848, 408- 411;
M. Janora, Il vescovato di Montepeloso, Potenza 1904;
M. Janora, Memorie storiche, critiche e diplomatiche della città di Montepeloso (oggi Irsina), Matera 1987;
N. Di Pasquale, Mille anni di memorie storiche della Diocesi di Montepeloso (ora Irsina), 988-1988, Matera 1990;
M. A. De Cristofaro, Vita religiosa nel Mezzogiorno pretridentino: vescovi e capitolo cattedrale a Montepeloso (Irsina) dal 1532 al 1563, in Geronimo Seripando e la Chiesa del suo tempo. Nel V centenario della nascita, Atti del Convegno di Salerno, 14-16 ottobre 1994, Roma 1997, 565-595;
C. D. Fonseca, Le istituzioni ecclesiastiche dal tardoantico al tardomedioevo, in Storia della Basilicata, II. Il medioevo, a c. di C. D. Fonseca, Roma-Bari 2005, 225-292.
Diocesi di Irsina
Chiesa di Santa Maria Assunta
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.