Diocesi di Lamezia Terme
STORIA
I - Le origini
Solo nel 1986 la diocesi ha assunto il nome attuale della città, ma ha conservato per la curia la denominazione storica (Neocastren[sis]).La diocesi di Nicastro (Neókastron, Neocastrum) è menzionata per la prima volta nelle disposizioni di Leone VI il Filosofo (886-912) tra le diocesi suffraganee della metropolia di Reggio.
È ipotesi ricorrente, ma non certa, che sia succeduta nel tempo a quella latina di Torri, menzionata in documenti sinodali e conciliari del VII . Un catalogo bizantino della prima metà dell’XI . registra la presenza nella diocesi di Neókastron dei monasteri di San Costantino, dei Santi Quaranta Martiri e di Sant’Eufemia, con la lista dei relativi possedimenti.
II - Dal Medioevo al concilio di Trento
Dopo la conquista normanna (1056), proprio l’abbazia di Sant’Eufemia, rifondata, dotata di ulteriori beni e affidata da Roberto il Guiscardo all’abate benedettino Robert de Grantmesnil (1062), fu il vero polo di latinizzazione del territorio, e fornì per oltre due secoli abati e vescovi a monasteri e diocesi dell’Italia meridionale e insulare.La diocesi fu latinizzata più tardi, sotto Urbano II, con il lungo episcopato di Enrico (1094-1124), quando era contessa di Nicastro la nipote del Guiscardo, Eremburga, che fece costruire una nuova cattedrale dedicata a san Pietro in Vincoli e vi trovò presto sepoltura (1101).
La sua quota patrimoniale, che includeva una parte della città di Nicastro, per liberalità del fratello Riccardo Siniscalco fu aggiunta ai beni da lei già assegnati alla diocesi, che venne così a disporre di rendite notevoli, pari a quelle dell’abbazia benedettina, stando alle rationes decimarum.
Nel XII . in tutta l’area della diocesi sorsero altri monasteri di rito greco, tra cui quello femminile di Santa Venaranda a Maida e soprattutto quello di Santa Maria del Carrà (1160), che affrontò nel corso del tempo diverse liti giurisdizionali con i vescovi nicastresi per mantenere la propria autonomia.
Tutti questi monasteri versavano però in precarie condizioni al tempo della visita di Atanasio Calceopulo (1458), quando s’erano da tempo radicati nel territorio gli ordini mendicanti.
Uno dei più antichi conventi francescani calabresi era sorto a Nicastro al tempo di Federico II, che aveva riscattato al demanio le parti della città infeudate all’abbazia e alla diocesi per rafforzarne il ruolo strategico, anche perché centro di raccolta e deposito dei proventi fiscali della Calabria e di metà Sicilia, e sede di fiere in occasione delle principali festività.
Dal 1252 al 1264 fu vescovo della città il francescano fra Samuele, predicatore instancabile della crociata, e anche in seguito furono spesso presuli dei francescani.
Dopo la caduta degli svevi, la diocesi conobbe un periodo di instabilità e anche di tensione con la curia papale, per la sua scelta, isolata in Calabria, contro gli angioini e a favore dei siculo-aragonesi.
In ragione di ciò il vescovo francescano Tancredi fu scomunicato da Onorio IV (1286), deposto da Niccolò IV (1291), ma conservò incurante il suo ministero fino alla morte.
Per riportare all’ordine la diocesi ribelle, nel 1299 Bonifacio VIII destinò alla cattedra episcopale l’abate della Santissima Trinità di Mileto, Nicola, che rivestì con energia la carica per oltre vent’anni, esercitando nel contempo la funzione di amministratore e procuratore di tutto il Ducato di Calabria per conto di Carlo II e poi di Roberto d’Angiò.
Al tempo del vescovo Nicola, che partecipò al concilio ecumenico di Vienne nel 1311, erano già entrati in possesso dell’abbazia di Sant’Eufemia i cavalieri dell’ordine gerosolimitano, che ne estesero la dotazione patrimoniale, eressero la chiesa di San Giovanni per custodirvi le reliquie del santo portate da Gerusalemme, oltre a quelle di sant’Eufemia e di santo Stefano protomartire e di altri santi (ora conservate in teche d’argento nel Museo diocesano di arte sacra), e assunsero col tempo la difesa della costa dalle incursioni dei turchi.
Tra XIV e XV . la diocesi visse periodi di forti tensioni e l’esperienza dei vescovi assenti o contrapposti, di riflesso e sullo sfondo dell’instabilità politica del regno angioino e dello scisma d’Occidente.
Per zelo pastorale si distinse il vescovo Gentile, che arricchì la forte connotazione religiosa nella diocesi con la fondazione di un monastero delle clarisse (1407) e partecipò al concilio di Costanza che pose fine allo scisma (1414-1418).
Fu in quegli anni che la città cominciò a essere a tratti infeudata ai Caracciolo, finché con privilegio del 1496 Ferrante II assegnò a Marco Antonio Caracciolo la contea di Nicastro e Feroleto, diventata uno dei più vasti possessi feudali, che includeva tutti i centri su cui si estendeva la giurisdizione della diocesi.
La politica di graziose largizioni ed esenzioni a vantaggio delle comunità locali e della diocesi perseguita dai Caracciolo favorì l’incremento diffuso degli ordini religiosi e l’insediamento a Nicastro di domenicani e cappuccini, e si ampliò il numero delle fiere in occasione delle principali festività religiose.
Per la sua floridezza, spesso la diocesi venne assegnata ad alti esponenti della curia romana, che la amministrarono da lontano senza mai visitarla, come il vescovo Marcello Cervini, diventato papa nel 1555 con il nome di Marcello II.
III - Dal concilio di Trento al concordato del 1818
Non così Gian Antonio Facchinetti, vescovo di Nicastro dal 1560, che partecipò attivamente al concilio di Trento, fu delegato alla redazione del decreto di riforma e si premurò di applicarlo nella sua diocesi: vi accolse i conventuali e i carmelitani, cui seguirono più tardi anche riformati e agostiniani; istituì il seminario per la formazione del clero; fondò diverse confraternite, tra cui quella di San Petronio, di Santa Maria della Veterana, di Santa Maria del Rito o Ospedale, almeno inizialmente riservate ai nobili di seggio, e quelle della Concezione e di San Giovanni della Coltura, controllate da famiglie del ceto medio nicastrese, fatto di civili e mastri.Lasciò la diocesi quando fu nominato patriarca di Venezia nel 1575; fu poi eletto papa nel 1591 con il nome di Innocenzo IX.
Sul finire del XVI . il presule Pietro Francesco Montorio ingaggiò una dura lotta a tutela dei beni della mensa vescovile e dei privilegi dei chierici della cattedrale contro lo strapotere baronale, che registrò con accenti drammatici nella relazione ad limina del 1597; quando scomunicò i funzionari della corte baronale di Feroleto e di Nicastro, dovette rifugiarsi presso il papa.
Fu in quel contesto di grandi tensioni che fra Tommaso Campanella, da poco giunto tra i domenicani di Nicastro, per l’appassionato tentativo di opposizione agli spagnoli a sostegno delle ragioni del vescovo si ritrovò accusato e perseguito in giudizio dal fiscale della Regia Udienza di Catanzaro, Luigi Xarava, e da altri ufficiali regi e baronali con l’accusa di un presunto progetto di sollevazione delle Calabrie contro il potere costituito.
Le tensioni si accrebbero quando la Contea di Nicastro (1607) e il Ducato di Feroleto (1611) furono comprati da Carlo d’Aquino principe di Castiglione.
Il mancato riconoscimento dei privilegi riconosciuti o concessi dai predecessori alle comunità locali e agli enti ecclesiastici riaccese ulteriori controversie giudiziarie tra la mensa vescovile e il feudatario, più incline a recepire le istanze dell’università che quelle della diocesi, come denuncia monsignor Montorio nella relazione ad limina del 1618.
Ma su tutti si abbatté il rovinoso terremoto del 1638, che fece nella sola Nicastro oltre duemila vittime di ogni ceto, ma soprattutto tra ecclesiastici, nobili e feudatari, sorpresi nelle chiese e nei palazzi nei preparativi della Pasqua.
Andò distrutto quasi tutto il patrimonio edilizio, dalle antiche abbazie al castello, alla cattedrale, al palazzo baronale, a chiese e monasteri; resistettero i conventi di San Francesco di Paola a Sambiase e di Sant’Antonio a Nicastro, proclamati protettori dei due centri per la fortissima devozione popolare.
Lo sforzo della ricostruzione fu corale, nonostante una grave crisi demografica ed economica avesse investito l’area.
Se ne fecero generosamente carico anche i feudatari, mettendo a disposizione risorse per la città e per i centri minori della contea, e ricostruendo a proprie spese chiesa e convento dei domenicani.
Ma decisivo fu l’impegno del nuovo e giovane vescovo, Tommaso Perrone, di origine rossanese, che resse la diocesi per trentotto anni; vendette sue proprietà per costruire una nuova cattedrale, quella attuale, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, e l’episcopio; concesse vasti terreni della mensa vescovile per l’insediamento degli sfollati e aiutò le varie confraternite a ripristinare per quanto possibile chiese e cappelle di loro pertinenza.
Per effetto dell’intenso disboscamento delle montagne circostanti, sul finire del secolo la comunità civile e diocesana dovette far fronte a un’altra emergenza, l’esondazione del torrente Piazza (1683), evento che si ripresentò con effetti ben più drammatici un secolo più tardi, nel 1782, quando sommerse l’intero quartiere di Terravecchia.
Ancora una volta fu il presule del tempo, Francesco Paolo Mandarani, a soccorrere gli sfollati superstiti mettendo a disposizione un appezzamento della mensa vescovile su cui organizzare un nuovo quartiere.
L’anno successivo un altro terremoto seminò distruzione in tutta la Calabria, e per soccorrere le popolazioni furono devoluti alla Cassa Sacra i beni conventuali.
Nella diocesi vennero allora soppressi gli antichi monasteri greci e latini e l’impegno personale di monsignor Mandarani valse a indirizzarne l’utilizzazione prevalente in lottizzazioni a beneficio di sfollati e contadini.
Dell’acutezza dei problemi sociali e della diffusa insofferenza per l’oppressione feudale dei ceti civili e popolari dà la misura l’adesione in massa anche del clero nicastrese alla rivoluzione napoletana del 1799; perciò gli scontri tra borboni e bonapartisti trovarono nella diocesi uno dei principali teatri, e il presule Carlo Pellegrini dapprima chiuse il seminario, nel 1809 rinunciò all’incarico e la sede episcopale rimase vacante fino al 1819, quando alla diocesi era stata già aggregata quella di Martirano per effetto del concordato tra la Santa Sede e il re di Napoli (1818).
IV - Dalla restaurazione borbonica al concilio Vaticano II
Il decreto di soppressione degli ordini mendicanti di Gioacchino Murat (1808) aveva privato la popolazione dei pochi luoghi di istruzione superiore costituiti dai conventi maschili e femminili presenti nei vari paesi della diocesi e molti di essi non furono più riattivati.Perciò prima cura del vescovo Gabriele Papa (1819-1824) fu di riaprire il seminario facendone un luogo di formazione della intellettualità locale oltre che di formazione sacerdotale.
Il vescovo Nicola Berlingieri (1824-1854) lo trasferì in una sede più capiente, riadattando il soppresso monastero delle clarisse, e visse con sgomento le troppo manifeste adesioni ai moti risorgimentali di seminaristi e docenti.
Il vescovo Giacinto Maria Barberi (1854-1881) lo potenziò nell’offerta formativa e lo dotò di una ricca biblioteca; Domenico Maria Valenzise (1888- 1902), dotto teologo, ne rinnovò i programmi di studio e contrastò con vigore l’infiltrazione della massoneria nel clero e la diffusione di sette protestanti, in particolare dei valdesi.
Il successore Giovanni Regine dedicò la lettera pastorale del 1907 a illustrare la funzione dei seminari per la formazione del clero (compito prevalente di quello nicastrese, da quando, dopo l’unità d’Italia, era sorto il ginnasio-liceo prima parificato e poi statale) e collaborò attivamente alla fondazione (1910-1912) del seminario regionale di Catanzaro.
Nel suo lungo episcopato (1916-1955), Eugenio Giambo consolidò l’opera dei predecessori: completò con l’erezione della cupola e il rifacimento della facciata gli interventi di restauro della cattedrale, riorganizzò l’ufficio amministrativo e l’archivio diocesano, dotò il seminario di una sede estiva a Decollatura, fece restaurare la chiesa della Madonna di Visora a Confluenti, ma soprattutto ebbe a cuore l’educazione religiosa dei fanciulli e promosse l’apertura di asili.
Al breve episcopato del suo coadiutore, Vincenzo Maria Iacono (1955-1961), fece seguito quello ancor più breve, ma luminosissimo, di Vittorio Moietta (1961-1963), che portò nella diocesi lo spirito giovanneo, rinnovandola dal profondo nelle forme e soprattutto nella spiritualità.
Poté partecipare solo alle prime sedute del concilio, ma accolse la sofferenza e la morte precoce per la santificazione della sua diocesi, che ne venera la memoria.
Sulla scia del suo breve ma intenso ministero, anticipatore degli orientamenti del concilio Vaticano II, si sono mossi, con sensibilità proprie, i successori.
Renato Luisi (1963-1968), animato da profonda cultura e da forte spirito missionario, rinunciò alla diocesi per svolgere il suo apostolato in Brasile.
Ferdinando Palatucci (1969-1982) diede un impulso efficace e duraturo allo studio della storia locale promuovendo il riordino dell’archivio e il potenziamento della biblioteca diocesana.
Vincenzo Rimedio (1982-2004), infaticabile promotore, anche attraverso i suoi scritti, di iniziative pastorali e culturali, ha disposto, tra l’altro, la riapertura del seminario, la fondazione di nuove parrocchie, la creazione del museo diocesano, la realizzazione di numerosi interventi di restauro, il precoce radicamento nella diocesi del progetto culturale della Cei.
Dal 2004 è vescovo Luigi Antonio Cantafora.
Bibliografia
Ughelli IX (II ed. 1722, I, 400-412);F. Adilardi, Cenni storici sul Vescovato di Nicastro, in V. d’Avino, Enciclopedia dell’Ecclesiastico, Napoli 1845, IV, 816-851;
P. Giuliani, Memorie istoriche della città di Nicastro (1867), Nicastro 18932, rist. Sala Bolognese 1984;
P. Ardito, Spigolature storiche sulla città di Nicastro, Nicastro 1889;
E. Pontieri, Tra i Normanni dell’Italia meridionale, Napoli 1948;
A. F. Parisi, Note di storia normanna, Torino 1951;
F. Russo, La diocesi di Nicastro, Napoli 1958;
P. Bonacci, Scritti storici lametini, Lamezia Terme 1993;
Lamezia Terme. Storia, cultura, economia, Soveria Mannelli 2001.
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.