Diocesi di Brescia
STORIA
Le origini del cristianesimo a Brescia, più che sull’autorità di documenti storici, sono legate a un racconto leggendario scritto tra il X e l’XI . Secondo il suo anonimo autore, le chiese di Milano e di Brescia sarebbero inizialmente state accomunate dall’opera evangelizzatrice dell’apostolo Barnaba, il quale avrebbe consacrato come vescovo delle due città Anatalone, il santo presule che, secondo la tradizione, sarebbe poi morto e sepolto a Brescia.Ai piedi del colle Cidneo infatti, forse già tra il II e il III sec., doveva essersi installata una delle primissime comunità cristiane di ascendenza orientale, il cui dinamismo apostolico è attestato al tempo di Filastrio (†392 ca).
Le prime testimonianze cristiane però sono di carattere epigrafico e non anteriori al IV . Anche l’elenco dei primi santi vescovi, poco più che una serie di nomi senza alcuna precisa indicazione cronologica – Clateo, Viatore, Latino e Apollonio – non appare corredato da significative notizie documentarie.
Si tratta tuttavia di una testimonianza preziosa per la continuità del ricordo, tramandato dai dittici liturgici e da un sermone del IX sec., e per il primigenio collegamento con la sede milanese, che spiega la collocazione del vescovo di Brescia al primo posto alla destra del metropolita nei sinodi provinciali.
Debole – benché inserita in un’antichissima tradizione popolare – appare pure la documentazione riguardante i protomartiri, di età adrianea, Faustino e Giovita.
Il primo vescovo di cui si hanno riferimenti è Ursicino, che partecipò al concilio di Serdica del 343 schierandosi a sostegno dell’ortodossia contro la dottrina ariana.
In ogni caso, il territorio diocesano che si andava strutturando sotto la giurisdizione del vescovo di Brescia era destinato a essere tra i più vasti dell’Italia settentrionale, quasi 5000 km2, almeno fino al 1784, quando una parte passò alla diocesi di Mantova.
Il fatto però che nel 316 Costantino abbia confinato a Brescia Donato e Ceciliano, fautori dello scisma delle chiese africane, induce a credere che la primitiva comunità cristiana non fosse ancora lacerata da pericolose tendenze ereticali.
Un rischio reale se prestiamo fede a quanto scrive il 18 luglio 406 nella commemorazione funebre del vescovo Filastrio, a quattordici anni dalla morte, il suo successore san Gaudenzio.
Filastrio conosceva bene l’Italia padana per aver assistito i cristiani milanesi negli anni difficili di Aussenzio (condannato nel 369), e averne contrastato la fede ariana.
In questo contesto entrò in contatto con Ambrogio e, divenuto vescovo di Brescia (380), fu al suo fianco nel sinodo di Aquileia (381) e suo ospite a Milano tra il 385 e il 387, quando l’arcivescovo era avversato dall’imperatrice e dal figlio Valentiniano II.
Giunto a Brescia, Filastrio aveva trovato una comunità cristianamente tanto incolta quanto desiderosa di formazione religiosa; come un esperto agricoltore aveva dissodato il campo del paganesimo per fecondarlo con la parola del Vangelo, combattendo giudei, pagani ed eretici.
Alla sua scuola si erano formati Dominatore, Stefano e Gaudenzio: i primi due chiamati sulla cattedra episcopale bergamasca, il terzo destinato a succedergli su quella bresciana.
Alla sua morte, clero e popolo scelsero Gaudenzio, allora pellegrino in Oriente, il cui governo ebbe probabilmente inizio verso il 393.
In occasione della consacrazione, avvenuta forse l’anno seguente, il presule pronunciò un noto sermone che, insieme ad altre venti omelie (o trattati), è l’unica testimonianza sulla sua comunità.
Egli ci presenta l’immagine di una Chiesa povera di martiri, forse a motivo della giovane età, formata da un gruppo ristretto di personaggi eminenti di elevata estrazione sociale e da gente comune, spesso tormentata da molti bisogni.
Nonostante le difficoltà, però, grande era lo spirito di comunione che animava questi cristiani, i cui tratti distintivi consistevano nella parola di Dio e «nel segno di Cristo», cioè della croce, che li guidava in ogni azione e ne illuminava le case.
Legato da stima per Ambrogio, che lo volle più volte a Milano, il vescovo Gaudenzio ne seguì l’esempio costruendo la basilica extraurbana del Concilio dei Santi (con probabilità l’attuale San Giovanni de foris), dove verso il 400-402 riunì le reliquie di tanti testimoni della fede.
Figura di spicco e in relazione con molti esponenti della gerarchia ecclesiastica, nel 406 fece parte dell’ambasceria inviata in Oriente per trattare la reintegrazione di Giovanni Crisostomo nella sede patriarcale di Costantinopoli, al ritorno dalla quale – forse l’anno seguente – morì.
Tra IV e V sec., grazie anche all’opera dei grandi proprietari terrieri e alle sollecitazioni dei vescovi, il cristianesimo cominciò a penetrare nelle campagne e le tracce della sua diffusione sono attestate dai nuovi edifici di culto.
Buona parte delle chiese paleocristiane sorse sul sito di ville romane e il loro uso continuò anche oltre il Medioevo.
Gli esempi delle cattedrali cittadine o delle chiese di Bedizzole, Manerba, Nave, Inzino, Iseo, Bornato, Palazzolo, Corticelle e Ghedi sono tra quelli meglio indagati.
Sulla strada per Cremona, invece, era situato il cimitero cristiano di San Latino dove la tradizione vuole che siano stati martirizzati Faustino e Giovita, la cui morte avrebbe occasionato l’erezione della chiesa di San Faustino ad sanguinem (oggi Sant’Angela Merici), già esistente nel VI . Ad arricchire la città e i suoi dintorni, tra V e VI sec., contribuirono anche l’edificazione di San Fiorano, Santa Maria ad silvas, Sant’Eusebio e, un po’ più tardi, di Santo Stefano in arce.
Durante la dominazione gota si ebbe la creazione di centri di culto ariani a fianco di quelli cattolici; ciò non modificò però la situazione dei territori rurali controllati dal clero cattolico.
Anche la guerra greco-gotica non interruppe il processo di evangelizzazione, mentre la comparsa dei longobardi rappresentò un momento traumatico e di rottura, ben documentato dalle cronache e dai resti materiali (come gli scavi in San Salvatore di Brescia).
Allo stesso periodo risalgono le prime forme eremitiche rupestri nell’alto Garda di chierici orientali, la cui esperienza venne regolarizzata dal vescovo Ercolano che vi avrebbe trovato riparo all’arrivo degli invasori.
Lo scisma dei Tre Capitoli coinvolse anche la Chiesa bresciana; superata la crisi, il recupero dell’ortodossia aumentò il fervore religioso e il monaco bresciano Petronace, su invito di Gregorio II, fu l’artefice del restauro di Montecassino.
La conversione longobarda fu lentissima e si completò solo con Liutprando.
Molte chiese allora vennero restaurate e, secondo Paolo Diacono, cospicue «donazioni furono fatte ai luoghi sacri» che, in diocesi di Brescia, trovano riscontro nelle chiese di Bagnolo Mella, di Bornato, di Rogno e di Gussago, ma anche in quelle di Santo Stefano a Cividate Camuno, di Sant’Eufemia a Nigoline, di San Giovanni a Leno o di San Lorenzo a Manerbio.
Questi edifici di culto, per quel poco che si sa, erano talvolta di dimensioni cospicue, superiori persino a molte chiese romaniche delle campagne, come nel caso di quelle a pianta rettangolare di Bedizzole, di Nave e di Palazzolo (larghe fino a venti metri e lunghe da venti a trentacinque).
Un aspetto del tutto originale, anche per la storia successiva, fu la fondazione dei monasteri femminile e maschile di San Salvatore (poi Santa Giulia) di Brescia (753 ca) e di San Benedetto di Leno (758), da parte dei sovrani longobardi Desiderio e della moglie Ansa.
Tali cenobi contribuirono a diffondere nel mondo dei rustici il messaggio evangelico, mentre nei loro immensi possedimenti lo sfruttamento della terra divenne veicolo di sviluppo agrario e sociale.
Con l’avvento dei franchi i due centri continuarono a essere un modello di vita ascetica secondo la regola di san Benedetto, ma furono pure il fulcro di un’intensa attività culturale, della circolazione di codici e di una viva fraternità di preghiera con le grandi abbazie europee.
Anche l’episcopato entrò presto nell’orbita carolingia – i suoi presuli ricopriranno alte cariche fino all’XI . – e il vescovo Ramperto (824-844 ca) appare come la figura più significativa.
A lui si deve il rilancio della funzione vescovile, l’impegno per la ripartizione della diocesi in pievi e la cura pastorale delle campagne, sempre in stretto contatto con l’arcivescovo di Milano; a lui è inoltre riconducibile l’edificazione della cripta nella cattedrale di Santa Maria (duomo Vecchio), dove trasferì il corpo di san Filastrio, e il rinnovo della vita monastica con l’erezione di San Faustino Maggiore.
Il cenobio divenne così anche un vivace luogo di cultura, di relazioni internazionali e di studio dei classici, con un attivo scriptorium.
Di origini germaniche e sostenitore della politica imperiale, il successore Notingo fu in contatto con le maggiori personalità del tempo, continuò a vigilare sulla disciplina del clero e favorì la crescita delle istituzioni monastiche.
Alla morte (†858 ca) gli subentrò Antonio (†901), uomo di grande pietà e di impegno apostolico, che vide venir meno il prestigio della sede vescovile e assistette impotente alle lotte tra i grandi feudatari, le cui ripercussioni si fecero sentire anche sulle istituzioni ecclesiastiche, giungendo a lambire persino la quiete del cenobio femminile di San Salvatore.
Il particolarismo del X sec., tuttavia, non riuscì a incrinare il funzionamento delle pievi che, in molti casi, si posero come un valido baluardo alla crisi delle istituzioni maggiori grazie alla capillarità della loro diffusione, all’impegno dei chierici e alla carità assicurata dalla fitta rete di xenodochia.
L’alternanza dei gruppi di potere per il controllo della corona italica si avvertì anche a Brescia, dove il vescovo Ardingo (901-922 ca), esponente dei Supponidi – la potente famiglia a cui riuscirà di mettere le mani sull’episcopato per buona parte del secolo –, sostenne la politica di Berengario, mentre i presuli Antonio II, Goffredo e Adalberto si mossero in favore del governo degli Ottoni.
All’inizio dell’XI . gli equilibri mutarono e sulla cattedra vescovile venne eletto Landolfo II (ca 1002-1030), autorevole rampollo dei capitanei de Arzago e fratello dell’arcivescovo di Milano, che operò per il rafforzamento della sua autorità e il ripristino della vita comune del clero, fece costruire il palazzo vescovile, trasferì le reliquie di sant’Apollonio nella cattedrale di San Pietro de Dom e fondò il cenobio extraurbano di Sant’Eufemia.
Nella stessa direzione – promozione di canoniche e cenobi – si mosse il vescovo Olderico (1031-1054); a lui si deve l’erezione del monastero di San Pietro in Monte a Serle (1043), come pure il primo confronto con i liberi homines della città, la cui nuova condizione venne riconosciuta da Corrado II (1037).
Il suo successore, Adelmanno (1055-1061), probabile ricostruttore in forme romaniche dell’antica cattedrale di Santa Maria, fu tra i maggiori fautori della riforma della Chiesa, ma il tentativo di far rispettare i decreti riguardanti simoniaci e concubinari si infranse contro l’opposizione dei canonici, che giunsero a ferirlo gravemente.
La sua morte, pochi mesi dopo, suscitò la reazione popolare che portò alla formazione del movimento patarino e al consolidarsi dello schieramento «anti-gregoriano» che per alcuni decenni riuscì a controllare la sede episcopale.
Negli anni cruciali della lotta per le investiture si colloca il governo di Arimanno (1087-1116 ca), a cui si collegano la fondazione vallombrosana di San Gervasio al Mella e il sostegno ai numerosi priorati cluniacensi, imperniati soprattutto intorno a San Nicolò di Rodengo.
Sono inoltre questi i decenni – caratterizzati dai controversi episcopati di Villano (1116-1132) e Manfredo (1132-1153) – nei quali il movimento popolare di riforma fu pervaso dalla generale diffusione dell’eremitismo e da forme di spontaneo associazionismo religioso, insieme all’aperta polemica di Arnaldo da Brescia (†1155) contro la corruzione clericale.
Il rafforzamento vescovile, nella figura dei presuli Raimondo (†1173), Giovanni I (†1195), Giovanni II (†1212) e Alberto (†1227), si realizzò in ambito politico, contrastando la politica del Barbarossa e inserendosi nella dialettica comunale; in campo giurisdizionale ed ecclesiastico, limitando l’esenzione monastica e vigilando sui costumi del clero, ma anche nel riordino dei benefici canonicali, nella tutela del patrimonio (diritti, decime, rendite), nella repressione dell’eresia e nella difesa della libertas ecclesiae.
Rilevante fu poi l’impegno per la pace tra le fazioni, per il rilancio pastorale e religioso – grazie soprattutto all’azione dei nuovi ordini: francescani, domenicani, umiliati, agostiniani – e per contrastare le ingerenze esterne dovute all’azione imperiale di Federico II, all’espansionismo di signori locali e all’arrivo degli angioini, come mostrano gli episcopati di Guala (†1244), Azzone (†1253), Cavalcano (†1263) e Martino (†1275).
Particolarmente rilevante fu l’opera di Berardo Maggi, eletto vescovo nel 1275, che nel 1298 divenne signore della città mantenendo l’incarico fino alla morte (1308), il quale si adoperò per il sistematico riordino del patrimonio vescovile, il rafforzamento delle prerogative episcopali, il rinnovo delle comunità monastiche e il sostegno agli eremitani.
Alla sua morte si aprì un lungo periodo di crisi per la sede vescovile che per gran parte del secolo fu guidata da forestieri, spesso assenti, che si avvalsero di vicari e furono poco incisivi di fronte ai molti problemi causati da guerre, carestie e pestilenze.
Dinamica appare invece l’azione caritativa promossa dalle confraternite laicali, il cui impegno si espresse nell’assistenza ai più bisognosi (pellegrini, orfani, vedove, infermi, carcerati) e nella gestione di hospitalia, dalla cui unione nel XV . si giunse alla creazione dell’Ospedale maggiore e all’avvio dei monti di pietà.
Il dominio di Venezia (1426-1797) diede inizio a una nuova stagione caratterizzata da una certa omogeneità per la storia della Chiesa bresciana.
Ciò appare nella politica ecclesiastica della Dominante, nella nomina di vescovi provenienti quasi sempre dal patriziato veneto e nel rinnovato fervore edilizio che interessò chiese ed oratori.
Si alternarono così figure di notevole levatura intellettuale e morale (come Pietro del Monte, †1457), a figure dallo stile di vita simile a quello dei nobili del tempo.
Segnali diversi si ebbero invece con l’affermarsi del movimento dell’osservanza che portò al rinnovamento di antichi cenobi, come l’abbazia di Santa Giulia, e all’introduzione di olivetani e celestini, ma anche al rifiorire della presenza francescana, domenicana, agostiniana, carmelitana e servita.
Del tutto innovativa fu invece l’intuizione di sant’Angela Merici (1474-1540), la cui Compagnia delle dimesse di sant’Orsola, chiamate popolarmente orsoline, fu il primo istituto di vita consacrata non claustrale riconosciuto dalla Chiesa (1544).
Le iniziative per un rinnovamento religioso furono presto avvertite anche dall’episcopato che, nella persona di D.
Duranti (1551-1558) e D.
Bollani (1559-1579), fece proprie tali istanze avviando la ricezione delle disposizioni tridentine e la formazione dei chierici con la costruzione del seminario (1568).
L’incisiva azione di disciplinamento popolare – non senza attriti con Venezia – ebbe il suo snodo fondamentale nella visita apostolica dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo alla diocesi (1580).
Le strutture ecclesiastiche così rinvigorite seppero fronteggiare le infiltrazioni protestanti e le tendenze quietistiche dei «pelagini» della Valcamonica, grazie anche alla migliorata istruzione del clero – i cui esiti fecondi si avvertirono nella crescita della pietà popolare –, alla diffusione della stampa, all’impegno confraternale e alla testimonianza di laici come A.
Luzzago (†1602).
Tale vigorosa ripresa, tra i primi decenni del XVII e la seconda metà del XVIII sec., si concretizzò in un grande rinnovamento edilizio, specie delle sedi parrocchiali e dei santuari, che coinvolse l’intera diocesi con rilevanti esiti architettonici a cominciare dalla stessa cattedrale dei Santi Pietro e Paolo.
Alle difficoltà politico-sociali del Seicento, nel corso del quale tuttavia non mancò lo sforzo per portare a compimento lo spirito conciliare, assicurato dal diffondersi di gesuiti, somaschi e teatini, continuò nel secolo successivo l’opera di elevazione culturale e religiosa del clero e del popolo.
Ciò fu reso possibile dallo zelo di pastori come A.
M.
Querini (1725- 1755), attento alle esigenze dei fedeli, che diede impulso all’edificazione di chiese, alla nuova cattedrale e dotò la città di una ricca biblioteca ancora esistente.
In questo fertile ambiente culturale, negli ultimi anni della dominazione veneta, si manifestarono correnti religiose e intellettuali vicine alle posizioni gianseniste (P.
Tamburini), a cui solo a fatica fecero fronte i vescovi G.
Molin (1755-1773) e G.
Nani (1773-1804), mentre la diocesi veniva travolta dalla bufera rivoluzionaria (1797).
Allo scempio di coscienze, di arredi sacri, libri e tesori ecclesiastici pose un primo rimedio G.
M.
Nava (1807-1831), a cui si deve la ripresa del seminario, dell’edilizia per il culto, dell’attività educativa e caritativa.
È questa del resto la stagione nella quale – forse anche in risposta alle soppressioni napoleoniche – la Chiesa bresciana vide un’intensa fioritura della vita consacrata, soprattutto femminile, con la nascita di congregazioni dedite all’educazione e all’assistenza; i nomi di L.
Pavoni, di A.
Cocchetti, di M.
C.
Di Rosa, di B.
Capitanio, di V.
Gerosa, di T.
E.
Verzeri o delle sorelle Girelli esprimono bene la pluralità delle numerose iniziative.
Tempi nei quali i sentimenti risorgimentali coinvolsero nell’agone politico anche molti esponenti del clero, senza tuttavia tralasciare l’apertura dello slancio missionario (D.
Comboni).
Dopo l’unità il rafforzarsi dell’impegno sociale dei cattolici trovò a Brescia un terreno particolarmente fecondo, grazie all’impegno di laici ed ecclesiastici di altissima levatura (G.
Tovini, P.
Capretti, G.
Montini, G.
Piamarta, A.
Tadini, G.
Bonsignori, M.
Tovini e A.
Zammarchi, solo per citarne alcuni), che seppero dar vita a opere per l’educazione, la formazione al lavoro dei giovani, l’editoria, la stampa e il mutuo soccorso, appoggiate dalle gerarchie ecclesiastiche.
I lunghi episcopati di G.
Verzeri (1850-1883) e G.
M.
Corna Pellegrini (1883-1913) consolidarono le istituzioni parrocchiali e gli oratori, sostennero l’Azione cattolica e l’impegno dei cattolici nel sociale in risposta ai problemi dell’industrializzazione e dell’abbandono delle campagne.
L’alto magistero di G.
Gaggia (1913-1933) si esplicitò nei dolorosi anni della grande guerra e nella fermezza verso il governo fascista.
La fine del regime, la durezza del secondo conflitto mondiale, la lotta partigiana e il dinamismo della ricostruzione post-bellica impegnarono la Chiesa bresciana, sotto la guida attenta di G.
Tredici (1933-1964), nel campo della carità, della devozione popolare, della cultura, dell’editoria e dell’edilizia sacra con la costruzione di chiese e del nuovo seminario.
Ancora una volta clero e laicato – grazie a figure di spicco come G.
Almici, O.
Marcolini e V.
Chizzolini – seppero interpretare con originalità le molte sollecitazioni trasformandole in iniziative religiosamente ispirate di rilevante valore sociale ed economico nei campi editoriale, edilizio, assistenziale, bancario, assicurativo, giornalistico, turistico, culturale, della cooperazione e del volontariato.
Nel 1963 il bresciano G.
B.
Montini (1897-1978), arcivescovo di Milano, veniva eletto papa con il nome di Paolo VI; al nuovo pontefice, originario di Concesio, spettava il delicato compito di portare a compimento il concilio Vaticano II e di orientare la Chiesa nei tempi nuovi oltre la modernità.
I successivi episcopati di L.
Morstabilini (1964-1983), B.
Foresti (1983-1998) e G.
Sanguineti (1998-2007) hanno così promosso l’applicazione graduale delle disposizioni conciliari, interpretandone lo spirito alla luce dei mutamenti sociali, mentre i fenomeni della secolarizzazione, del confronto con le nuove culture e della globalizzazione vanno stimolando una riflessione più profonda sul senso della fede e della tradizione cristiana.
Un percorso, dagli esiti non scontati e tuttora in atto, che appare animato da una vivacità creativa nelle forme nuove di apostolato e da un graduale recupero di attenzione e sensibilità verso i temi legati alla religiosità.
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Diocesi di Brescia
Chiesa di Santa Maria Assunta e Santi Pietro e Paolo
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.