L’attuale diocesi di Andria comprendeva in origine tre diocesi: Andria, Canosa di Puglia e Minervino Murge. Prime attestazioni di una presenza cristiana nel territorio andriese si rintracciano in riferimenti documentari (nelle Cartulae confirmationis della Cronica Monasterii Cassinensis di Leone Marsicano e Pietro Diacono e nel Sillabus Graecorum membranarum del Trinchera) che parlano del locus Andre come distretto arcipretale dotato di ecclesia baptismalis con il compito di amministrazione dei sacramenti e con benefici come il diritto di decima, sotto la giurisdizione episcopale di Trani, sin dal IX-X . A conferma di tale presenza vi è l’attuale cripta della cattedrale, in origine chiesa di superficie, di età pre-normanna. Divenuta civitas e, nel 1073, contea normanna, non si hanno notizie certe circa l’erezione di Andria a sede episcopale, almeno sino ai primi decenni del XII . Le uniche attestazioni pervenuteci, riprese dal Kehr nel Regesta Pontificum Romanorum, ci parlano di un vescovo Leone che compare come donatore al monastero di Santo Stefano ad rivum maris, nel 1137, dell’Hospitalis di Santa Maria e, nel 1144, della chiesa dei Santi Martiri Nicandro e Marziano, edificata in silva andriensis, e di un vescovo Riccardo che partecipò, nel 1179, al concilio Lateranense III. Da ciò si deduce che l’erezione di Andria a sede episcopale non può essere avvenuta prima del 1063, in quanto Andria compare tra i possedimenti della chiesa di Trani in un privilegio di Alessandro II, né dopo il quarto decennio del XII sec., quando compare per la prima volta il riferimento a un vescovo di Andria, intervenuto alla traslazione di san Nicola Pellegrino a Trani, nel 1143, e che non può non essere il vescovo Leone di cui riferisce la Cronica del Monastero di Santo Stefano ad rivum maris accettata dal Kehr. Circa la regolarità dell’elezione di Leone alla sede vescovile di Andria permangono motivi di incertezza, derivanti dai difficili rapporti intercorsi tra la sede di Roma e i signori normanni in merito al diritto di nomina dei vescovi. Tali rapporti trovarono nel Pactum beneventanum del giugno 1156 una regolamentazione: Adriano IV (1154-1159), imprigionato da Guglielmo il Malo a Benevento, si trovò a dover riconoscere la legittimità del regno normanno nel Mezzogiorno, ottenendo in cambio il riconoscimento della nomina e consacrazione diretta dei vescovi meridionali da parte della Sede romana. In questo rinnovato contesto si collocò l’episcopato di Riccardo, inglese come lo stesso papa, inviato nella sede di Andria, probabilmente ritenuta strategica nel riassetto territoriale della chiesa latina in Terra di Bari. L’episcopato di Riccardo prese avvio, dunque, durante il pontificato di Adriano IV (1157), sviluppandosi per circa un quarantennio sino alla fine del secolo. La sua fu un’azione pastorale volta al risanamento dei costumi del clero, afflitto dai mali della simonia e del nicolaismo, e all’educazione cristiana del popolo, nella linea della riforma della Chiesa, ribadita dai concili Lateranensi. La morte del vescovo Riccardo seguì di poco il cambio di governo nel Mezzogiorno. Al dominio normanno, conclusosi dopo un aspro scontro tra il conte Ruggero di Andria e Tancredi di Lecce, subentrò la presenza sveva. Gli anni di questa dominazione hanno lasciato nella storia di Andria tracce evidenti, specie dell’imperatore Federico II, sia per la costruzione del Castel del Monte presso il monastero benedettino di Santa Maria al Monte, sia per la sepoltura delle sue due mogli, Isabella e Iolanda, nella chiesa cattedrale. La dominazione angioina, subentrata agli svevi, vide giungere ad Andria Beatrice d’Angiò, sposa del duca Bertrando Del Balzo, nel 1308. Secondo una ben radicata tradizione, Beatrice portò in dote la Sacra Spina della corona di Cristo, donata al capitolo, che tuttora si venera nella cattedrale di Andria. Sotto i Del Balzo, nel 1398, si insediavano ad Andria i domenicani, che costruivano il quarto grande convento, dopo quello dei francescani conventuali (l’attuale Palazzo di Città), quello dei francescani osservanti di Santa Maria Vetere, e quello degli agostiniani. Il 1431 il ducato passò a Francesco II, a cui si deve il ritrovamento del corpo di san Riccardo durante l’episcopato del vescovo Dondei. Tale ritrovamento, avvenuto il 23 aprile del 1438, segnò la ripresa del culto del santo, riconoscendo al vescovo Riccardo il titolo di patrono della città. Il ducato godette di grande prestigio e ricchezza, dando vita a una vera rinascenza andriese nelle arti e nello sviluppo urbanistico e socioeconomico della città. Con l’avvento degli spagnoli nel Regno di Napoli, Andria fu assegnata prima a don Consalvo di Cordova, viceré di Napoli, poi al nipote di questi, don Fernandez Consalvo II, che nel 1552 la vendette al conte di Ruvo Fabrizio Carafa. La vita di Andria nel XVI-XVIII . fu contrassegnata dalle continue lotte tra i Carafa e i vescovi della città, e tra il capitolo cattedrale e la collegiata di San Nicola, sia per il predominio politico, sia per la spartizione delle esose imposte e delle rilevanti rendite. La sua popolazione rimase pressoché costante, intorno ai 10-12 mila abitanti. Intanto Andria si espandeva fuori le mura, specie per la presenza di importanti insediamenti conventuali. Alla fine del 1700 le statistiche riportano la presenza di 140 sacerdoti, 151 monaci e fratelli laici, 58 monache e converse, per un totale di 349 religiosi, su circa 13 mila abitanti. Tuttavia è significativo che le scelte disciplinari del concilio di Trento trovassero riscontro solo oltre un secolo e mezzo dopo la sua chiusura (la fondazione del seminario diocesano, ad esempio, risale al vescovo Ariani, nel 1705). Degne di nota in questo periodo sono: la costruzione dell’imponente convento delle benedettine (1563) in piazza Duomo (abbattuto in epoca fascista), destinato alla educazione delle fanciulle appartenenti alle famiglie dei notabili di Andria; la scoperta della immagine della Madonna dei Miracoli (1576) e la costruzione del convento dei benedettini e della grande basilica, avviata da Fabrizio II Carafa; la costruzione del santuario di Santa Maria dell’Altomare. Negli ultimi anni della dominazione dei Carafa si collocò la vicenda legata all’avvento dei francesi in Italia meridionale. Il 23 marzo 1799 la città subì un violentissimo assedio, con conseguenti distruzioni, incendi e stragi, da parte del generale francese Broussier. Tali episodi segnarono il crollo dell’ancien régime e la faticosa elaborazione di nuovi assetti politico- istituzionali. A seguito del concordato tra il Regno delle Due Sicilie e la Santa Sede (1818), dopo il ritorno dei Borbone, alla diocesi di Andria venivano unite Canosa e Minervino. L’Ottocento segnò un forte impulso alla riorganizzazione pastorale della diocesi, con la istituzione di nuove parrocchie, particolarmente durante gli episcopati dei vescovi Domenico Bolognese (1822-1830), Giuseppe Cosenza (1832-1850) e Giovanni Giuseppe Longobardi (1852-1870). Parallelamente le leggi del nuovo Stato unitario determinarono l’incameramento di buona parte dell’asse ecclesiastico. Il XX . vide una ulteriore espansione della città con un considerevole incremento della popolazione. Nacquero prime forme di associazionismo laicale come l’Unione delle donne cattoliche d’Italia (28 dicembre 1908), primo germe dell’Azione cattolica andriese. Nella primavera del 1919 il sacerdote don Riccardo Lotti, con un gruppo di giovani cattolici, diede vita alla prima sezione del Partito popolare. Erano le premesse per lo sviluppo del movimento cattolico ad Andria, nella sua duplice espressione: religioso-sociale (Azione cattolica) e politica (Partito popolare). L’episcopato di Giuseppe Di Donna (1940- 1952) si collocò nel periodo bellico della seconda guerra mondiale. La carità pastorale e l’infaticabile azione di pacificazione sociale negli anni duri dello scontro ideologico del dopoguerra ne fanno una delle figure più significative della Chiesa diocesana nel Novecento. Francesco Brustia (1957-1969) fu uno dei padri al Vaticano II, dando avvio alla traduzione dei dettati conciliari in diocesi, opera proseguita nel ventennale episcopato di Giuseppe Lanave (1969-1989).
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