Diocesi di Nuoro
STORIA
I - Diocesi di Galtellì
Insieme con la diocesi di Civita, Galtellì apparteneva al giudicato di Gallura e dipendeva dalla Santa Sede, a cui doveva due libre d’argento di censo annuo.La prima attestazione è del 22 aprile 1138 (la cattedrale era dedicata a san Pietro apostolo), quando le due sedi furono assegnate da Innocenzo II alla provincia ecclesiastica pisana; Bernardo è il primo vescovo noto ed emette (1138 ca) un giuramento di tipo feudale («ab hac hora in antea fidelis ero…») nelle mani del metropolita (Baldovino), ma alcuni decenni dopo le due sedi dipendono di fatto dal papa.
Nel 1206, il suo vescovo Magister scrive a Innocenzo III sul matrimonio di Elena, erede del giudicato; è invece anonimo quello che nel 1263 ricevette l’arcivescovo di Pisa Federico Visconti, che confermò anche l’elezione del suo anonimo successore.
Durante il grande scisma ebbe vescovi di obbedienza romana e avignonese, per lo più assenteisti: un fenomeno, l’assenteismo, durato a lungo per le devastazioni causate da guerra, pestilenze e carestie.
Tra la metà del XIV e la fine del XV . dei cinquanta centri abitati della diocesi ne restavano meno di venti.
Nel 1496, Alessandro VI la univa a Cagliari.
II - Diocesi di Nuoro
Durante l’unione con Cagliari, la diocesi di Galtellì era governata tramite un vicario.Nel 1626, l’arcivescovo di Sassari Giacomo Passamar ne suggerì il ripristino a Filippo IV per rimediare all’abbandono in cui si trovava; un altro tentativo era stato esperito nel 1619- 1620 e prevedeva l’unione di Galtellì e Suelli, con Oliena come centro diocesi.
Le parrocchie, mèta di missioni popolari condotte da gesuiti e cappuccini, nel 1694 erano sedici (undici gestite da rettori e cinque da vicarii ad nutum).
Il ripristino di questa e di altre diocesi unite a Cagliari rientrava nella politica sabauda: la riforma della Chiesa era vista da Giambattista Lorenzo Bogino come essenziale per la rinascita del regno; con il papa egli insistette che, siccome quell’arcivescovo non poteva «vegliare nello spirituale sulla lontana diocesi di Galtellì», era necessario dare a questa un «proprio vescovo »; ciò avvenne con l’Eam inter caeteras del 21 luglio 1779: alle sedici parrocchie superstiti se ne aggiunsero altre sei, tratte da Oristano e Alghero: tra queste ultime, Nuoro, futuro centro della nuova diocesi col titolo di Galtellì-Nuoro; la sua parrocchiale di Santa Maria Maggiore ne fu la cattedrale e primo vescovo Giovanni Antioco Serra Urru (1780-1786), vicario generale di Oristano; la diocesi aveva circa 27.000 abitanti e una novantina di ecclesiastici, senza contare i circa venti di Nuoro (il capitolo prevedeva un arciprete, sei canonici e tre beneficiati); in diocesi vi erano due conventi di minori (Fonni e Nuoro) e uno di cappuccini a Bitti.
Prima cura del nuovo vescovo (rendita di 5670 lire sarde, equivalenti a 9072 di Piemonte) fu la visita pastorale, ma anche l’elevazione del tono culturale e civile del clero (nel 1791 il suo successore, il piemontese Pietro Craveri (1788-1801), scriveva che «le abitazioni dei parroci sembrano a volte spelonche di animali») e l’istituzione in tutte le parrocchie dei monti frumentari, la cui gestione – per volontà del governo – toccava al clero.
Il tentativo di invasione francese a Cagliari, agli inizi del 1793, provocò l’afflusso di miliziani anche dalla diocesi, inquadrati militarmente da nobili e animati dalla presenza di ecclesiastici, al canto di inni sacri e patriottici per respingere l’«eresia» francese; l’episodio favorì un allentamento nella tenuta dell’ordine pubblico e Craveri lamentava nel 1795 la crescita dei «furti e gli omicidi, già molto frequenti nell’isola»; il suo vicario generale era fuggito per gli spari notturni contro la sua casa; altrettanto era capitato a lui per avere negato la facoltà di confessare a un prete ignorante, ma aveva tenuto duro.
Dalla sua morte fino all’arrivo di Salvator’Angelo Demartis (1867-1902), la vita della diocesi fu contrassegnata da lunghe assenze dei vescovi, dai loro rapporti spesso molto tesi con capitolo e clero.
Intanto nel 1848 la popolazione della diocesi era salita a 37.452 abitanti (sul totale dell’isola di 552.052), quelli del clero a 5412, gli ecclesiastici diocesani a 110.
Tolti gli anni 1828-1840 dell’amministrazione di Giovanni Maria Bua, arcivescovo di Oristano, e quelli tra il 1852 e il 1867 in cui fu vicario capitolare Francesco Zunnui Casula, tra il 1812 e il 1852 la diocesi rimase praticamente senza governo.
La gestione dell’energico e intraprendente Bua aveva riportato una certa disciplina tra il riottoso clero nuorese, eretto un seminario con rendite sufficienti e buoni professori, il nuovo palazzo vescovile, iniziato e portato quasi a termine la nuova grandiosa cattedrale e dato impulso alle scuole «normali» e ai monti granatici; il consiglio comunale di Nuoro inserì il suo stemma nel proprio gonfalone, un riconoscimento dei meriti del prelato per aver ottenuto a Nuoro il titolo di città nel 1836 (3755 abitanti) e per l’opera da lui profusa nella sua «civilizzazione».
Il governo di Zunnui Casula si aprì quando la transizione dall’ancien régime a quello liberale era appena iniziata: toccò a lui infondere coraggio a un clero smarrito di fronte a una situazione che l’aveva fatto passare dallo status di corpo privilegiato a quello di corpo estraneo; eppure nessun altro prete seguì l’esempio di Giorgio Asproni, che nel 1849 aveva rinunciato al canonicato penitenziere per darsi alla vita politica, schierandosi nella sinistra repubblicana, anticlericale e massonica; Zunnui Casula fu poi promosso vescovo di Ales e arcivescovo di Oristano.
Finalmente Nuoro ebbe un vescovo residente con il carmelitano sassarese Demartis (1868-1902): accolto con favore nella diocesi, fu osteggiato dalle autorità municipali del capoluogo influenzate dalla massoneria, che lo accusò a torto di aver appoggiato la rivolta dei ceti popolari (è il cosiddetto moto di su Connottu, 1868) contro i suoi amministratori che volevano privatizzare una parte dell’agro comunale, fino ad allora destinata a usi comunitari.
Conflittuali anche i suoi rapporti con una parte del clero e del capitolo: le sue speranze stavano nei numerosi seminaristi con i quali faceva vita comune non potendo disporre dell’episcopio.
La sua relazione ad limina del 1894 notava i progressi fatti nella pacificazione di «questa regione, un tempo selva di belve frementi»; i suoi successori non ne avrebbero condiviso l’ottimismo, i criminologi additavano il Nuorese come la «zona delinquente» della Sardegna, la stessa Nuoro fu talvolta centro della malavita organizzata e, quindi, anche sede dell’apparato repressivo dello Stato.
Eppure fin dagli inizi del secolo ne emergevano anche vivaci fermenti di rinnovamento letterario, artistico, sociale e politico: basti citare Grazia Deledda.
A Demartis succedette il cagliaritano Luca Canepa (1902-1922) che, pur lodando la costanza nella fede delle popolazioni del Nuorese, notava che «da secoli erano abituate a una vita indomita e non a caso erano state chiamate barbaricine»; tra i vizi più diffusi ricordava le superstizioni, il concubinato, il ricorso allo spergiuro in tribunale, gli odi e le vendette fino al sangue, i danneggiamenti di campi e di animali da lavoro.
Migliorati invece i rapporti con il capitolo e con il clero.
Come i suoi confratelli, egli dovette affrontare il fenomeno dell’emigrazione che incise per quasi il 12 per cento sull’intera popolazione isolana, e i problemi ancora più gravi causati dalle perdite della prima guerra mondiale (circa 13.000 morti), che Canepa definiva come «immane flagello».
L’arrivo del piemontese Maurilio Fossati (1924-1929) inaugurò un governo fortemente pastorale: l’esigua viabilità e la scarsità dei mezzi di locomozione non gli impedirono di raggiungere i centri più emarginati, sia a cavallo sia a piedi; fondò l’Opera delle vocazioni e il bollettino mensile diocesano «L’Ortobene» (1926); fu promosso arcivescovo di Sassari e poi trasferito a Torino e creato cardinale.
Gli succedette Giuseppe Cogoni (marzo 1931- maggio 1939), vicario generale di Cagliari.
Appena giunto in sede, su «L’Ortobene» aprì la rubrica «La pagina dell’Azione Cattolica » e quando, alla fine del seguente mese di maggio scoppiò la crisi tra governo fascista e Santa Sede per la chiusura dei circoli giovanili di Azione cattolica, reagì con un energico discorso; l’Azione cattolica in tutte le parrocchie fu il suo obiettivo (convegno giovanile regionale a Nuoro, presenti tutti i vescovi, nel 1934), per essa costruì il salone «Pio XI», e poi un convitto vescovile per studenti e un educandato femminile; per la stampa del bollettino divenuto «Quindicinale di Azione Cattolica», nel 1933 fondò la tipografia «Ortobene»; il giornale – varie volte sequestrato – mantenne una rigorosa e coraggiosa linea «afascista», salvo un breve periodo di «consenso» dopo la conquista dell’Etiopia.
Il piemontese Felice Beccaro (1939- 1947), giunto a Nuoro alla vigilia della seconda guerra mondiale e partito nel dopoguerra, lasciò un ricordo di grande mitezza in anni di sofferenza e di gravi strettezze.
Gli succedettero Giuseppe Melas (1947-1970), Giovanni Melis Fois (1970- 1992) e Pietro Meloni (1992); questo periodo registra un forte incremento nel numero delle parrocchie: dalle 23 dei primi decenni, si era passati a 28 dopo la rettifica di confini con Alghero (fine 1938) e a 46 nei decenni seguenti (delle 18 nuove, metà andarono al centro, le altre per lo più in zone turistiche); cresciuto anche il numero dei sacerdoti, religiosi e religiose impegnati a vario titolo nella cura animarum: tra il 1970 e il 2005 i sacerdoti (compresi i religiosi) passano da 95 a 90 (erano stati 102 nel 1991), senza contare i 34 viventi fuori diocesi, di cui 6 missionari, mentre le religiose passano da 115 a 133 (ma nel 1977 erano arrivate a 189); nel 2005 esse contano 28 comunità con 3 monasteri di clausura; sono però ben 292 quelle originarie della diocesi attive in Italia, in terre di missione (27) e in Europa (10).
Oltre alla fondazione delle nuove parrocchie, la diocesi dovette fare fronte alle ferite provocate dall’emigrazione, dalla recrudescenza della delinquenza, dall’abbandono delle campagne e dalla crescita della disoccupazione.
Nel frattempo, il giornale «L’Ortobene» era diventato settimanale, con una tiratura media di 10.000 copie, ed ha come sottotitolo «Settimanale della comunità diocesana»; è stata anche fondata una radio diocesana intitolata «Radio Barbagia».
Vi è un Istituto di scienze religiose, quattro anni di corso, circa 40 iscritti e oltre 30 frequentanti.
Nel 1983 e 1987 sono state proclamate beate due giovani donne del Nuorese, la suora trappista Maria Gabriella dell’Unità e Antonia Mesina, martire della castità.
Bibliografia
D. Panedda, Il giudicato di Gallura. Curatorie e centri abitati, Sassari 1978;O. P. Alberti, I duecento anni di storia della diocesi di Nuoro dalla ricostituzione della diocesi di Galtellì-Nuoro, 1779-1979, in Comunione e pacificazione, Atti del bicentenario della diocesi di Nuoro (1779-1979), a c. di R. Menne, Sassari 1982, 117- 151;
R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999;
S. Bussu, Nuoro e il senato del vescovo. Il capitolo della cattedrale di Nuoro all’interno di alcune linee di storia della diocesi (dal 1781 ad oggi), Nuoro 2003.
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Diocesi di Nuoro
Chiesa della Madonna della Neve
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.