Diocesi di Agrigento
STORIA
Il cristianesimo si diffuse nell’Agrigentino sin dai primissimi tempi: lo provano innumerevoli reperti archeologici rinvenuti nel suo territorio, le catacombe – le più estese di Sicilia, dopo Siracusa – che, come è evidente, non ne segnano l’inizio.Confermano e spiegano il fatto l’importanza della città nel I sec., la sua posizione sulla costa meridionale dell’isola, le sue relazioni, come emporio del grano, del sale e dello zolfo, la vicinanza con l’Africa cristiana – da cui provengono lucerne con i simboli cristiani –, la presenza di comunità ebraiche.
Nel 1950 è stata scoperta una basilichetta paleocristiana ritenuta memoria martyrum del III . San Libertino ne fu il protovescovo, martirizzato non oltre la persecuzione di Gallieno e Valeriano (254- 259) assieme a san Pellegrino, primo vescovo di Triocala.
Primo luogo di culto di san Libertino fu la chiesa di Santa Maria dei Greci, mentre il tempio della Concordia pare sia stato «cattedrale della diocesi».
La figura meglio conosciuta e più rappresentativa del I millennio – oltre san Gregorio I, san Potamio, sant’Ermogene – è quella del vescovo san Gregorio II, vissuto tra il 559 e il 630 circa.
Ne possediamo la vita scritta da Leonzio, egumeno del monastero romano di San Saba, e l’opera più importante: il commento all’Ecclesiaste che lo ha fatto definire «l’ultimo esegeta della patristica greca» (S.
Leanza).
Dalla Vita di Leonzio e da altre fonti risulta che san Gregorio era in ottimi rapporti con il patriarca di Costantinopoli; nella diocesi vigeva la liturgia greca; fioriva un didaskaleion; esistevano il monastero dei Trenta, di Santo Stefano in Tiro – un villaggio vicino alla città –, di San Giorgio presso l’emporio, uno della Theotokos, quello femminile di Santo Stefano.
Diaconesse e presbiteri servivano nella comunità e i poveri.
Nelle lettere di san Gregorio Magno si trovano parecchie notizie riguardanti la Chiesa agrigentina e i suoi vescovi.
Dai vandali, ariani e persecutori, san Calogero – come narra Sergio, un innografo greco vissuto sul Cronio di Sciacca nel IX . – fu costretto a lasciare Cartagine e rifugiarsi nell’Agrigentino, in cui il suo culto è vivissimo, specialmente nei santuari di Sciacca, di Naro e di Agrigento.
Fu apostolo della divinità di Gesù; la devozione a lui sostenne la fede del popolo durante la dominazione islamica.
Sin dal VII . le coste agrigentine subirono numerose e sempre più devastanti incursioni musulmane.
Gli arabi nell’828 conquistarono Agrigento che tennero sino al 1086, quando fu liberata dal conte Ruggero.
In questi 258 anni vennero distrutti tutti i monumenti – tra cui la cattedrale di San Gregorio II – e i segni della religione cristiana che, non estinta del tutto, perdurò sino alla liberazione dal dominio islamico.
San Gerlando – maestro nelle scuole di Besançon, dove era nato attorno al 1040, famoso per molte opere tra cui il Computus e la Dialettica, il più importante scritto medievale di logica, prima di Abelardo – fu chiamato da Ruggero a vescovo di Agrigento.
Il santo, però, seguendo i principi gregoriani, volle che fossero il clero e il popolo a eleggerlo, come poi avvenne all’unanimità.
Consacrato da Urbano II, si dedicò alla rievangelizzazione della diocesi e alle opere di carità; la divise in parrocchie, dette cappellanie; fondò le scuole vescovili presso la cattedrale – da lui edificata con l’episcopio in sei anni – e la consacrò intorno al 1095 all’Assunta, a san Giacomo e agli apostoli; costituì il capitolo.
Morì il 25 febbraio 1100 e fu canonizzato nel 1159.
La diocesi, immediatamente soggetta al papa, sotto il suo quinto successore, Gentile (1154-1171) divenne suffraganea di Palermo.
Verso la fine del periodo normanno-svevo Agrigento fu agitata dalle insurrezioni e dai tumulti dei saraceni, che giunsero anche a occupare la cattedrale – pur munita di una torre dal vescovo Gualtiero (1128-1142) –, a spogliarla dei beni e degli arredi sacri, e perfino a sequestrare il vescovo Urso (1191-1239) che, tenuto prigioniero per quindici mesi, venne liberato dopo il pagamento di un riscatto.
Il successore Raynaldo d’Acquaviva (1240-1264) dovette quasi ricostruire la cattedrale e il palazzo vescovile.
Per recuperare i beni e tutelare i diritti della Chiesa, essendo stati distrutti archivi e documenti, dovette ricorrere a inchieste e testimonianze, dalle quali compilò il Libellus de successione Pontifìcum Agrigenti, preziosissimo per la storia della Chiesa agrigentina.
Per avere incoronato re Manfredi (1258), nella cattedrale di Palermo, fu deposto e scomunicato da Alessandro IV.
In questo periodo la liturgia greca divenne latina.
Se ne conserva un codice quattrocentesco, acefalo e mutilo, con parti del messale, del sacramentale e del benedizionale, dell’ufficio divino e del santorale.
Molto interessante l’ufficiatura ritmica della Madonna, di san Giuseppe e di san Gerlando, conservata, questa, in altro manoscritto del XVI . Rifiorì anche la vita monastica maschile e femminile con la ripresa dei monasteri benedettini – qualcuno ritenuto fondato da san Gregorio Magno –, cluniacensi (Sciacca 1114; Rifesi 1170; Santo Spirito di Caltanissetta) e cistercensi: Bonamorone (distrutto nel 1228 dai saraceni), San Nicola nella Valle 1119, Santo Spirito di Agrigento, monastero femminile, fondato attorno al 1295, tuttora esistente.
Larga diffusione, alcuni sin dai loro inizi, ebbero nella diocesi gli ordini mendicanti, che l’arricchirono di santità e di opere.
In quasi ogni paese, prima del 1866, esisteva anche un monastero femminile o un collegio di Maria.
Anche per mezzo degli ordini religiosi fu mantenuta la vasta rete caritativa della Chiesa agrigentina: ospedali, ospizi per pellegrini, orfanotrofi, scuole, monti di pietà, colonie frumentarie e altre istituzioni o fondazioni di beneficenza, come lasciti per maritaggi, per doti, per il mantenimento di fanciulle pericolanti o repentite, per la distribuzione di alimenti, vesti, elemosine in occasioni particolari.
La fine della monarchia normanno-sveva, l’infeudamento del Regno di Sicilia agli angioini, le guerre del Vespro e le lotte dei feudatari siciliani tra loro e con i re, ma, soprattutto, lo scisma d’Occidente, provocarono gravi disordini anche nella diocesi.
Il vescovo Ottaviano de Labro (1350-1362) fu costretto a risiedere lontano dalla città.
Qualche decennio dopo, il vescovo Gilforte Riccobono (1392-1395) non poté entrarvi, perché vi si era insediato Pietro de Curns – scelto da re Martino, seguace dell’antipapa Clemente VII – che fu poi cacciato dal legato pontificio, Raimondo da Capua (1394), con l’aiuto del clero e dell’università di Agrigento.
Il beato Matteo de Gallo (1376-1450) è la figura più luminosa del XV . Agrigentino, frate minore, seguì san Bernardino nell’osservanza, nella santità e nella predicazione.
Il suo apostolato si svolse particolarmente in Spagna e in Italia.
Fu un pacificatore e fondò parecchi conventi intitolandoli a Santa Maria di Gesù.
Fu vescovo di Agrigento.
Nel 1960 vennero pubblicati i suoi sermoni, fino ad allora attribuiti ad altri.
Il suo culto, con il titolo di beato, venne riconosciuto da Clemente XIII.
Dalla seconda metà del XV . migliorarono le condizioni di vita, specialmente per merito della fondazione di nuovi centri abitati che, fino al XVIII sec., furono venticinque.
Al concilio di Trento non parteciparono vescovi agrigentini, perché dal 1544 al 1564 amministrò la diocesi il cardinal Rodolfo Pio de Carpi, ma il successore Luigi Suppa (1565-1569) cominciò ad applicarne i decreti.
Il vescovo Cesare Marullo nel 1577 fondò il seminario, poi ampliato dai successori: Vincenzo Bonincontro (1607-1622), nel 1611, lo trasferì nella sede attuale; Francesco Trayna (1627-1651) ne organizzò e completò gli studi e lo dotò di biblioteca; Lorenzo Gioeni (1730-1754) li aggiornò; Gaetano Blandini (1885-1898) costruì quello estivo; Giovanni Battista Peruzzo (1932-1963) vi aggiunse il minore.
Da Luigi Bommarito (1980-1988) lo studio teologico venne affiliato alla facoltà di Palermo.
Fu incrementata e regolata l’istruzione catechistica, specialmente con il catechismo del Bellarmino tradotto anche in siciliano (1725), e le disposizioni dei vescovi Granata, Blandini e Peruzzo.
Merito particolare per l’istruzione e la formazione dei fedeli ebbero le numerose confraternite e le associazioni che li organizzarono, specialmente dal XIX . Nell’odierna atmosfera, si riporta la notizia che il patriarca di Costantinopoli nominò «metropoliti di Agrigento» i delegati per la cura spirituale dei fedeli dell’ortodossia in Italia (1536-1578).
Il Settecento per la Chiesa agrigentina segnò un periodo di profondo rinnovamento.
Il vescovo Francesco Ramirez (1697-1715) celebrò il sinodo, in vigore sino al 1948; fondò il collegio dei santi Agostino e Tommaso – secondo i regolamenti di Salamanca, di cui era stato rettore – che, in breve, elevò la formazione del clero e specialmente dei parroci.
Fedele, come pochissimi, alle direttive pontificie durante la «controversia liparitana», fu mandato in esilio ma, per ordine del papa, lanciò l’interdetto, durato dal 1713 al 1719, anni in cui clero e fedeli furono esiliati, imprigionati, multati ed espropriati dei loro beni per la fedeltà al Sommo Pontefice.
Perfino alle moniali le autorità giunsero a scardinare le porte delle chiese e inchiodare quelle dei monasteri.
Gli studi letterari, filosofici, giuridici e teologici vennero incrementati con maggiori aperture alle correnti europee del pensiero dal vescovo Lorenzo Gioeni – ne furono frutto insigne G.
A.
De Cosmi e N.
A.
Balsamo –, benemerito anche per altre opere: casa di esercizi spirituali; oblati dell’Immacolata e san Gerlando; ricovero di anziani; ospizio di fanciulli, con relativa scuola di arti e mestieri; collegi di Maria; monte frumentario.
Promosse perfino la costruzione del porto di Girgenti (oggi Porto Empedocle).
I successori del Gioeni aggiunsero altre opere: Andrea Lucchesi Palli (1755-1768) fondò, fabbricò e donò la biblioteca Lucchesiana, ottenne da sant’Alfonso i suoi religiosi, curò e finanziò la selciatura di strade cittadine e viciniori.
Antonio Cavaleri (1788-1792) preparò un orto botanico per le medicine dei poveri.
Saverio Granata (1795-1817) organizzò modernamente il catechismo e fondò una gara diocesana catechistica durata sino alla metà del XX . Con la bolla Ecclesiae Universalis del 25 maggio 1844, Gregorio XVI eresse la diocesi di Caltanissetta, assegnandole, in massima parte, comuni sottratti a quella di Agrigento, e sottoponendola, con essa, come suffraganea, a Monreale.
Nonostante l’atmosfera anticlericale, che s’impose con il Regno d’Italia e la legge delle guarentigie, la Chiesa agrigentina fu meno vincolata che in precedenza.
Il nuovo vescovo nominato dopo dodici anni dalla morte del predecessore, Domenico Turano (1872-1885), restaurò la disciplina e la concordia del clero, spingendolo a nuove forme di apostolato e a raccogliere i fedeli in nuove attività di formazione, di lotta agli errori, di apostolato, in sintonia con quanto accadeva in tutta la nazione.
All’inizio dell’episcopato Turano, negli anni 1873-1876, nel comune di Grotte si verificò un’aperta ribellione all’autorità del vescovo, guidata dal sacerdote Luigi Sciarratta, contro il diritto di patronato sulla Chiesa madre e a sostegno dell’elezione popolare dei parroci.
La questione, nota come lo «scisma di Grotte », divenne di dominio nazionale; si concluse con la scomunica di Sciarratta, abbandonato dai suoi seguaci.
Alla fine del XIX sec., il Movimento diocesano economico-sociale – sorto per iniziativa del vescovo Gaetano Blandini e guidato dai sacerdoti M.
Sclafani e N.
Licata, con la fondazione di casse rurali e artigiane, di una banca cattolica e altre iniziative, contribuì non poco al miglioramento dell’agricoltura, del commercio e, con la lottizzazione della terra, al benessere dei coltivatori e anche al loro miglioramento morale e religioso.
Sorsero anche gli oratori festivi a opera del servo di Dio M.
Martorana, durante l’episcopato del vescovo Bartolomeo Lagumina (1899-1931), mentre l’arcivescovo Peruzzo diffuse l’Azione cattolica in tutti i suoi rami e, da essa formati, molti vissero costantemente e coraggiosamente la propria fede.
Poiché, nonostante la crescita della popolazione, in quasi tutti i paesi le parrocchie, per i tanti vincoli giuridici, erano rimaste uguali di numero, Pio XI conferì a monsignor Peruzzo speciali poteri: durante il suo episcopato da 48 diventarono 139, con grande vantaggio sia per i fedeli sia per il clero, che fu meglio valorizzato.
Anche per la Chiesa agrigentina il periodo conciliare e postconciliare fu critico, sia per le calamità naturali che afflissero la città e la diocesi (la frana del 1966 e il terremoto del 1968) sia, soprattutto, per la crisi d’identità di alcuni sacerdoti, che non si risolse positivamente.
Tuttavia con la sapienza e la prudenza dei vescovi Giuseppe Petralia (1963-1980) e Luigi Bommarito si riuscirono a superare le gravi difficoltà e a realizzare tante opere di bene, come l’erezione di radio parrocchiali, di quella diocesana Concordia, la valorizzazione del settimanale diocesano «L’Amico del Popolo», di Telepace (1996), la fondazione e il sostegno della parrocchia missionaria di Ismani (Tanzania).
Appena chiuso il concilio, se ne cominciarono ad attuare le direttive con gli organi parrocchiali e diocesani; particolarmente utile è stato il sinodo diocesano promosso dal vescovo Bommarito.
Dal 1975 la diocesi ha cominciato a preparare i suoi diaconi «permanenti», oggi diventati validi collaboratori dei sacerdoti.
Nel 1993 l’attuale vescovo Carmelo Ferraro ebbe la gioia, con il clero e i fedeli, di accogliere in diocesi papa Giovanni Paolo II.
I luoghi dello spirito più venerati sono: la cappella del Santissimo Crocifisso nella chiesa di San Leonardo Abate (Siculiana), la chiesa di Bellamadre di Cacciapensieri (Cammarata), il santuario di Santa Maria del Monte (Racalmuto), il santuario di Santa Maria della Rocca (Alessandria della Rocca), la chiesa di Sant’Angelo martire (Licata).
Tra i santi agrigentini ricordiamo il martire san Giordano Anzalone (1598), la famiglia dei santi duchi di Palma di Montechiaro, specialmente san Giuseppe M.
Tomasi e la sorella venerabile Maria Crocifìssa della Concezione e anche altri servi di Dio di cui recentemente si sono svolti processi canonici, come Vincenzo Morinello, Michele Arcangelo Vinti, Michele Martorana, Antonino Petyx.
Con la bolla Ad maiorem consulendum del 2 dicembre 2000, Giovanni Paolo II riordinò le province ecclesiastiche di Sicilia e, secondo la giustizia e la storia, riconobbe metropolitana la Chiesa agrigentina, assegnandole come suffraganee Caltanissetta e Piazza Armerina e nominando suo primo arcivescovo metropolita monsignor Carmelo Ferraro.
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.