Diocesi di Gorizia
STORIA
L’origine (1751) e le successive complesse vicende istituzionali della diocesi di Gorizia chiamano in causa sia la particolare fisonomia storica di territori nei quali si incrociano da molti secoli popolazioni italiano- friulane, slovene e tedesche, sia la loro appertenenza al contesto socio-culturale centro-europeo (fino al 1918 alla monarchia asburgica): due dati che rendono la stessa diocesi del tutto particolare nel contesto delle diocesi in Italia.Dall’epoca paleocristiana detta regione aveva fatto parte della vasta diocesi di Aquileia (patriarcato dalla fine del VI sec.); questa dal 1420 risultò divisa territorialmente fra Stato veneto e Stato austriaco (al quale apparteneva gran parte della sua superficie).
I problemi di una diocesi così composita vennero aggravati dall’antagonismo politico fra Venezia e Vienna e dalla residenza del patriarca nella veneta Udine.
Un accordo fra il riformismo di Maria Teresa d’Austria e quello pontificio di Benedetto XIV provvide a risolvere radicalmente una situazione insostenibile, sia pastoralmente che politicamente; con la bolla Iniuncta nobis (6 luglio 1751) venne soppresso il patriarcato di Aquileia ed erette due arcidiocesi metropolitane: Udine per la parte veneta e Gorizia per quella austriaca.
L’arcidiocesi di Gorizia comprendeva, in questo suo primo assetto territoriale, l’omonima contea, buona parte della Carniola (eccetto le enclaves della diocesi di Lubiana), la Stiria slovena, la Carinzia a sud della Drava e l’Ampezzano: circa 700 mila fedeli (per il 75% sloveni, 15% tedeschi e 10% italiani-ladini), con 240 parrocchie.
La circoscrizione metropolitana contava le diocesi suffraganee di Como, Pedena, Trento e Trieste.
Il primo arcivescovo fu il goriziano Carlo Michele d’Attems (1711-1774) che svolse un’intensa presenza tesa a fondare la nuova diocesi in termini propriamente pastorali.
La stretta unità fra fedeltà romana e lealismo asburgico entrò in crisi nel contesto giurisdizionalista austriaco e portò, nell’episcopato del successore Rodolfo d’Edling (1723-1803) – già coadiutore dell’Attems –, alle forzate dimissioni del medesimo e alla soppressione dell’arcidiocesi a opera dell’imperatore Giuseppe II (1788); contestualmente venne eretta la diocesi di Gradisca, comprendente il territorio della Contea di Gorizia e quelli delle attigue diocesi soppresse di Trieste e Pedena.
Ma già nel 1791 Gorizia ritornò diocesi, pur limitata al territorio della contea, con 54 parrocchie.
Vescovo della restaurata diocesi goriziana fu Filippo d’Inzaghi (1731- 1816) che in precedenza era stato vescovo di Trieste e poi di Gradisca.
Alla precarietà di tali vicende ecclesiastiche si aggiunsero i rivolgimenti tipici dell’età rivoluzionaria e napoleonica: con i limiti di una inadeguata organicità della vita diocesana (priva del suo seminario dal 1783 al 1818), mentre il territorio della diocesi subiva i disagi dovuti alle variazioni di confini statali imposti dalla politica napoleonica fra Venezia e i Balcani.
Dopo il congresso di Vienna, nel nuovo ordinamento politico e amministrativo dell’Impero d’Austria, i confini della diocesi di Gorizia si definirono ulteriormente, incorporando i territori già veneti di Monfalcone e di Grado: in questo secondo assetto territoriale molto ridotto (indicato dalla bolla De salute Dominici Gregis del 1° maggio 1818) la diocesi permase sostanzialmente fino al Novecento.
Gorizia assunse cosi il ruolo di centro ecclesiastico nell’ambito del litorale austriaco, come Trieste ne era centro amministrativo ed economico.
Il primo passo in tale direzione si ebbe con l’istituzione imperiale a Gorizia, avvenuta l’11 novembre 1818, del «seminario centrale» (che permarrà fino al 1947), destinato a servire le diocesi austriache fra il Judrio ed il Quarnaro (Gorizia, Trieste-Capodistria, Parenzo-Pola, Veglia), modellato sull’istituto Frintaneum di Vienna: atto a garantire una qualificazione culturale, ascetica e disciplinare del clero, secondo iI suo ruolo ecclesiastico e civile all’interno dell’impero.
Tale processo di centralità della diocesi goriziana maturò con la riorganizzazione territoriale di tutte le diocesi nell’angolo sud-est dello Stato: nel 1830 Gorizia riacquistò la dignità arcivescovile metropolitana (Provincia ecclesiastica Illirica), con Lubiana, Trieste-Capodistria, Parenzo-Pola e Veglia quali suffraganee.
Anche la serie di vescovi di nazionalità slovena, che si apre con Jos´ef Walland nel 1817, rientrava in tale disegno, rispettando la maggioranza etnica dei fedeli (spettava all’imperatore la scelta e la nomina dei vescovi, con la successiva conferma del papa).
La vita della diocesi si svolse nella prima metà dell’Ottocento contemperando lo spirito della politica ecclesiastica statale tardo-giuseppinista con la linea autonoma e innovatrice promossa dalla ripresa religiosa della realtà locale.
Tale ripresa è affidata soprattutto alla riorganizzazione pastorale della parrocchia: con la figura del parroco congruato, funzionario insieme della Chiesa e dello Stato, nel ruolo di pubblico ufficiale nella tenuta dei registri di stato civile e negli incarichi pubblici di carattere scolastico.
Tale ripresa, evidente nell’episcopato di Franc Ks.
Luschin (1781-1854), registrò la ripresa di forme confraternali, di congregazioni religiose in campo educativo e missionario, di missioni al popolo e di pellegrinaggi ai santuari diocesani di Monte Santo e di Barbana.
Con il 1848 nella vita della diocesi entrarono in gioco due fattori determinanti: il progressivo imporsi della cultura liberale e lo sviluppo della coscienza nazionale delle popolazioni italiana e, soprattutto, slovena.
Il primo veniva percepito come conseguenza delle istanze «rivoluzionarie », estranee alla consolidata tradizione asburgica; aveva come veicolo la formazione scolastica e la burocrazia statale.
La coscienza di una propria identità nazionale lievitò rapidamente in ambito sloveno e italiano, tesa a valorizzarla nei confronti del centralismo austriaco, ma all’interno di un netto lealismo nei confronti della monarchia asburgica.
Fra gli sloveni, il ruolo socialmente autorevole del clero nel contesto delle comunità rurali lo rese la principale forza di risorgimento nazionale: prima in campo linguistico e religioso e poi anche socio-culturale (S´tefan Kocianc?ic?, Valentin Stanig, J.
E.
Mozetic?).
Per l’ambito italiano – e quello friulano in particolare – il fattore nazionale non presentò aspetti irredentistici fra i cattolici, anche per il carattere anticlericale e antiaustriaco del Risorgimento italiano.
Nel lungo episcopato di Andrej Gollmayr (1855-1878) la diocesi registrò un’ulteriore fase di riorganizzazione interna e di presenza pubblica.
Permanendo in radicale opposizione al razionalismo progressista, che era percepito come un assoluto laico e antipopolare, i cattolici maturarono la volontà di qualificare la propria presenza in termini propositivi: non solo in campo educativo (istituzione del seminario minore e di convitti per studenti), ma di qualificazione culturale e sociale.
Nel 1870 sorse il primo circolo cattolico a Gorizia (italo-sloveno), seguito da organi di stampa, mentre nel 1873 don Eugenio Valussi fu il primo deputato cattolico del Goriziano al parlamento di Vienna.
Le iniziative trovarono una prima collaborazione di laici, ma erano animate dal clero ed anche dai gesuiti (rientrati a Gorizia nel 1866).
Il costante riferimento ai principi di identità cattolica e di unità diocesana non riuscì a controllare l’impetuoso nazionalismo sloveno, che generò notevoli tensioni interne ed esterne.
Nell’Austria di Taaffe e Leone XIII si accentuarono le dinamiche della «questione sociale»; riferendosi a già affermate esperienze europee, anche in diocesi si avviarono i movimenti cristiano-sociali, che si presentavano come soluzione ai gravi problemi della realtà contadina in particolare, ma anche come riscossa della maggioranza popolare e antiliberale dei credenti in ambito sociale.
Articolati sviluppi di solidarismo cooperativo animarono tutte le piccole comunità locali, promosse dal contesto parrocchiale e unificate in diocesi in forma federata.
Un movimento che ebbe sviluppi imponenti: all’inizio del Novecento nel contesto italiano si avevano 96 società con 9534 soci, mentre in quello sloveno erano 258 i circoli di solo carattere culturale e ricreativo.
Anche in campo politico la maggioranza passò dai liberali ai cattolici, sia in sede parlamentare che locale: esponenti i deputati Luigi Faidutti e Anton Gregorc?ic?.
Gli anni a cavallo fra la fine secolo e la prima guerra mondiale, con gli episcopati di Jakob Missia (1838-1902), cardinale nel 1899, e di Franc?is´ek B.
Sedej (1854-1931) segnarono una stagione di rilievo nella vita diocesana, con modernità di posizioni pastorali, inserite nella tradizione austriaca e con fedeltà al magistero romano.
La diocesi conobbe l’esito di un lungo processo di unificazione morale e pastorale delle sue popolazioni, che si espresse anche in riconosciute personalità ecclesiastiche (quali i vescovi Anton Mahnic?, Josip Srebrnic?, Luigi Fogar, Antonino Zecchini).
La pratica religiosa risultava ancora solida in tutta la diocesi: ma era evidente il progresso del movimento di secolarizzazione a livello culturale e sociale e scarsa l’attenzione alla realtà industriale e operaia.
La guerra mondiale, con l’attacco dell’Italia all’Austria, costituì una gravissima prova per tutta la realtà goriziana, combattuta per trenta mesi nel vivo del suo territorio fra le Alpi e il mare; oltre alle imponenti distruzioni materiali, pesante fu l’esito degli interventi discriminatori da parte dell’esercito italiano nei confronti del clero e delle società cattoliche, accusati di austriacantismo (sessanta sacerdoti vennero arrestati e internati).
Con i nuovi confini internazionali postbellici, tutta la superficie della diocesi passò sotto sovranità italiana; ampliata con i decanati sloveni già di Lubiana, nel 1933 la diocesi contava 305.125 fedeli, di cui 173.881 sloveni e 131.244 italiani.
Tale inserimento presentò gravi problemi a causa dei caratteri storici di popolazioni cosi differenziate e soprattutto a causa della politica nazionalista imposta dall’Italia e accentuata dal fascismo, che gravò sulla vita della diocesi con misure contrarie alla tradizione ecclesiastica locale e con l’intensa opera di snazionalizzazione nei confronti della realtà slovena; anche lo stimato e leale arcivescovo Sedej fu oggetto di continui attacchi, fino alla richiesta di dimissioni presentata dal governo nel 1926.
Comunque la vita diocesana segnò una ripresa positiva, evidente nella vitalità di vocazioni religiose, dell’animazione missionaria, dell’associazionismo cattolico.
Alle dimissioni e alla scomparsa di Sedej nel 1931, subentrò quale amministratore apostolico l’istriano Giovanni Sirotti (1931-1934), interprete di una linea di «italianizzazione » nemica della tradizione locale e motivata da una versione di centralismo romano.
Il successivo episcopato del romagnolo Carlo Margotti (1934-1951) rientrava nel clima e nelle vicende che caratterizzarono la vita del Goriziano fra le due guerre, segnato dalla contraddizione fra la carica pastorale e di carità dell’arcivescovo e la sua inadeguata risposta alle complesse esigenze indotte dalla situazione nazionale e politica.
La seconda guerra mondiale, e in particolare l’invasione italiana della Slovenia, nel 1941, innescò anche sul territorio diocesano la lotta armata dei partigiani sloveni in funzione antifascista e per l’unità nazionale; la posizione della maggioranza del clero sloveno, pur riconoscendo tale diritto all’unità nazionale, espresse la sostanziale riserva per un movimento che risultava infeudato alla rivoluzione sovietica.
L’esercito iugoslavo arrestò ed espulse da Gorizia (2 maggio 1945) l’arcivescovo Margotti, «perché contrario al movimento di liberazione»; la diocesi subì una prima frattura con la divisione dovuta alla linea Morgan (zona occupata dal governo militare alleato, 1945-1947).
Con il nuovo confine internazionale del 1947 rimasero all’Italia circa 2/5 del territorio della diocesi con circa 165.000 fedeli (di cui 15.000 sloveni), mentre il resto passò in amministrazione apostolica con sede a Nova Gorica (Iugoslavia); la soluzione definitiva si ebbe solo con la bolla del 17 ottobre 1977 quando questa parte, insieme a quella della diocesi di Trieste passata alla Iugoslavia, venne a formare la nuova diocesi di Koper- Capodistria.
Dopo Margotti, si successero gli arcivescovi Giacinto Ambrosi, Andrea Pangrazio, Pietro Cocolin, Antonio Vitale Bommarco, Dino De Antoni.
La vita della diocesi, che comprende tutta la provincia di Gorizia e quelle parti delle province di Udine e di Trieste già storicamente goriziane (compresa Aquileia), registra i caratteri comuni alle diocesi in Italia negli ultimi decenni: con particolare attenzione alla ripresa dei rapporti con la realtà ecclesiale della confinante diocesi in Slovenia, alla valorizzazione della tradizione aquileiese, alla presenza missionaria in Africa.
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Diocesi di Gorizia
Chiesa dei Santi Ilario e Taziano
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La facciata delle cattedrale -
Veduta dell’aula dal presbiterio -
Veduta dell’aula dall’ingresso -
La cattedrale prima dei bombardamenti
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.