Diocesi storica di Cortona
STORIA
Nessun documento illustra la vicenda altomedievale di Cortona e della sua chiesa.L’antica Coryto, una delle lucumonie più importanti della confederazione etrusca entrata nell’orbita di Roma verso la fine del IV sec., fu municipio di una certa importanza fino all’età imperiale anche in virtù della sua vicinanza alla Cassia; il progressivo impaludarsi del fondovalle giustificò però – all’inizio del II . d.C.
– una deviazione del tracciato della consolare che, abbandonando la città, la condannò a un inesorabile declino dal quale sarebbe riemersa solo nel pieno Medioevo.
La tradizione locale tramanda il ricordo di un martire locale del IV sec., Vincenzo – cui si attribuì anche il ruolo di protovescovo – nel quale si potrebbe cogliere una migrazione cultuale umbra determinatasi in età altomedievale.
Le tracce di questo culto, del resto assai poco documentato, si dispersero, insieme al corpo del santo, nel XVIII . Se si eccettua un indiretto riferimento documentario che nel 1008 attesta l’esistenza di un distretto di Cortona, o il suo essere evocata quale teatro degli scontri militari che opposero Arezzo e Perugia negli anni centrali dell’XII sec., occorrerà attendere il primo Duecento per vederla riemergere nella storia come libero comune in lotta per l’affrancamento dalla soggezione di Arezzo, dal cui caput diocesano dipendeva la sua Chiesa, e dalle interferenze politiche della aristocrazia locale.
Liberatasi dal dominio aretino nel 1232 grazie all’appoggio di Perugia, Cortona conobbe di lì a non molto (1258) la violenta vendetta guelfa degli eredi di san Donato i quali, dopo aver corso e saccheggiato la città col pretesto di cacciarne i ghibellini, giustificarono con il loro operato violento la reazione filo-imperiale seguita alla vittoria di Montaperti (1260), quando i fuorusciti al seguito di Uguccio Casali riguadagnarono il potere in città.
Si avviò a partire da questo periodo una lunga fase di prosperità garantita dalla stabilità politica della signoria dei Casali e dalla loro oculata politica estera negli instabili equilibri politici della zona: equilibri condizionati dal decrescere del ruolo aretino e dal conseguente emergere delle ambizioni territoriali fiorentine e senesi.
La rivendicazione dell’autonomia religiosa di Cortona passò anche attraverso l’elaborazione del culto patronale di santa Margherita – una penitente francescana nata nel 1247 e reclusasi poi in una cella sulla rocca cittadina dove la morte l’avrebbe colta nel 1297 – attorno al cui segno si addensarono sia le istanze di legittimità e di autorappresentazione emergenti dalla comunità cittadina sia le ambizioni signoriali dei Casali: il tutto sullo sfondo del secolare contenzioso che aveva opposto la città al dominio dei vescovi aretini.
Le fasi più acute di questo contrasto si raggiunsero durante il mandato episcopale di Guglielmino degli Ubertini che, prima di trovare la morte nella piana di Campaldino (1289) tra i capi della coalizione filo-imperiale, aveva a più riprese avversato lo sforzo autonomistico cortonese, arrivando fino al punto, nel 1277, di lanciare in nome di san Donato la scomunica sulla città ribelle ai suoi voleri.
Furono questi anni difficili, in cui l’irrequieto alternarsi delle fortune ghibelline rendeva ancora necessaria l’organizzazione di un consenso popolare filo-pontificio al cui servizio si prodigò la pastorale mendicante e quella francescana in particolare; a Cortona, così prossima al teatro storico del primitivo movimento francescano, la presenza minoritica era stata assai precoce, così come precoce in città era stato il reclutamento di uomini attratti dall’ideale pauperistico del Poverello.
Tra questi frate Elia, il primo e più discusso ministro della fraternita delle origini, alle cui scelte si attribuisce la prima «svolta» in senso «conventuale » avvenuta nella comunità serafica vivente ancora il fondatore.
Attorno al convento cortonese di San Francesco si era animato anche quell’attivismo laicale di segno ortodosso e guelfo che fu una delle chiavi della fortunata azione politica promossa dai mendicanti; nel coro di questi laici si era levata anche la voce tormentata di Margherita, sospesa, oltre che nelle incertezze della sua personale psicomachia, anche nel difficile clima spirituale vissuto dall’ordine francescano nella seconda metà del Duecento, quando il seme della dissidenza spirituale, non ancora rigorista, era germogliato negli ambienti minoritici con il suo seguito di inimicizie e di partiti.
Questo «scisma» serafico generato dall’interpretazione più o meno rigorosa di una regola nella quale si stentava a riconoscere l’eredità spirituale del fondatore, si complicò ai primi del Trecento entro un quadro politico complesso, nel quale agiva la generale crisi delle istituzioni universali, a cominciare dal papato avignonese, ormai ostaggio della monarchia francese e degli interessi angioini in Italia.
È all’interno di queste coordinate che si spiegano le due legazioni che portarono a Cortona nel 1304 il cardinale Niccolò da Prato, chiamato a un tentativo di pacificazione tra i partiti guelfo e ghibellino in Toscana, e infine, nel 1306 e nel 1308, per gli stessi motivi, il cardinale Napoleone Orsini.
Specie quest’ultimo, il cui consigliere, Ubertino da Casale, fu uno dei capi riconosciuti del movimento spirituale, autorizzando il culto pubblico di Margherita, portò un contributo rilevante non solo alla causa dell’indipendenza comunale di Cortona dai vescovi di Arezzo, ma anche alla temporanea riabilitazione dei rigoristi francescani negli anni inquieti che precedettero la condanna dei «fraticelli de opinione » da parte di Giovanni XXII.
Furono queste le premesse per la «costruzione» della memoria margheritana, sospesa tra le istanze di promozione municipale e la «grande» polemica pauperistica vissuta dall’ordine francescano a partire dal primo Trecento.
La successiva discesa di Arrigo VII e la spontanea sottomissione dei cortonesi alla sua causa, ancorché perdente, avrebbero consentito il perfezionarsi giuridico della signoria dei Casali, ora vicari imperiali, ai danni delle giurisdizioni vescovili aretine.
Durante il mandato episcopale aretino di Guido Tarlati il rinnovarsi delle tensioni tra Cortona e la sua mater diocesana portò nel 1325 alla decisione pontificia di concedere a quella terra riottosa insieme alla dignità vescovile anche la tanto ricercata autonomia ecclesiastica.
Il 19 giugno 1325 papa Giovanni XXII, nell’elevare quella terra al rango di città e la chiesa parrocchiale di San Vincenzo in cattedrale (il trasferimento del titolo cattedrale alla pieve di Santa Maria sarebbe avvenuto nel 1508, durante il governo del vescovo Guglielmo Capponi), stabiliva che competesse alla giurisdizione del nuovo ordinario un territorio corrispondente al comitatus cittadino nel quale insistevano per lo più matrici di antica obbedienza aretina; entrarono a far parte del nuovo distretto ecclesiastico anche i territori dei contrafforti collinari che chiudevano l’orizzonte cortonese a nord-est, già pertinenza dei vescovi di Città di Castello e il piviere di Cignano, con le terre che costituivano il «Chiuso di Cortona», appartenenti in precedenza alla diocesi di Chiusi.
Gli ordinari aretini si riservarono solo due pievi poste sul confine del Patrimonium, a ricordo della antica estensione della loro vastissima giurisdizione.
Quello per la formazione della diocesi cortonese fu il primo significativo smembramento della terra di san Donato alla quale, tra XV e XVI sec., furono sottratti anche i territori destinati alle nuove circoscrizioni ecclesiastiche di Pienza e Montalcino, di San Sepolcro e, infine, di Montepulciano.
Sostenuti da un patrimonio assai modesto, i vescovi cortonesi ebbero rapporti conflittuali con il potere civile fino a tutto il XV sec., quando l’acquisto della città da parte di Firenze, che l’aveva comprata nel 1411 da Ladislao di Napoli (il quale a sua volta se ne era impadronito nel 1409), impose altri equilibri di potere.
Fu nel complessivo riassetto imposto dal governo fiorentino che si stabilì di riedificare una nuova cattedrale che si sostituisse alla vecchia sede suburbana di San Vincenzo.
Si demolì allora l’antica pieve urbana di Santa Maria, di forme romaniche, e al suo posto venne edificata una nuova, grande chiesa rinascimentale che, per concessione di papa Giulio II, fu elevata a cattedrale (1508), anche se fu consacrata ufficialmente solo un secolo dopo dal vescovo Filippo Bardi.
Alla morte di Enoch Cioncolari (1404- 1426), ultimo vescovo designato localmente, il governo fiorentino si arrogò, accanto al diritto di disporre dei benefici della mensa episcopale – come del resto faceva con tutte le sedi soggette al suo dominio – anche di quello di proporre al papa i candidati alla cattedra cortonese.
Dopo le prime figure di transizione – due serviti e un domenicano, rispettivamente Matteo Ughi (1426-1439), Mariano Salvini (1455-1476) e Bartolomeo Lapacci (1440-1449) – l’episcopio cortonese fu sempre più evidentemente una dépendance del capitanato fiorentino, e i vescovi, tratti per lo più dalle file del capitolo di Santa Maria del Fiore, appartennero in prevalenza alle stesse consorterie nobiliari della dominante dalle quali venivano reclutati anche i capitani.
Al novero delle clientele medicee si collegano a esempio Cristoforo dei Marchesi di Petrella (1477-1502), o Giovanni Sernini (1516- 1521), o il potente Silvio Passerini, suo successore: figure spesso impegnate nella diplomazia pontificia o regionale, essi risiedettero saltuariamente in Cortona, affidando a vicari generali l’amministrazione della diocesi.
Con il tramonto del sonnolento regime mediceo e l’avvento della dinastia lorenese la città visse gravi turbolenze determinate dalla opposizione della nobiltà, timorosa di perdere i suoi privilegi feudali.
Fu da questo background che sul finire del secolo si sarebbe originata anche la reazione sanfedista e antifrancese che fece di questo centro periferico una delle capitali del «Viva Maria».
La diocesi di Cortona, della quale possediamo la rara testimonianza di visite pastorali trecentesche che consentono uno zoom storico di eccezionale interesse, mantenne la sua autonomia fino ai tempi moderni, quando nel quadro della riorganizzazione ecclesiale promossa dal concilio Vaticano II si impose una nuova tendenza a razionalizzare, accorpandole, le numerose piccole sedi diocesane frutto della politica particolaristica del papato rinascimentale.
Durante il governo di Giovanni Telesforo Cioli (1961-1983) vescovo di Arezzo furono di fatto unite, in persona episcopi, alla sua diocesi anche quelle di Cortona e di Sansepolcro; ma si dovette attendere il 30 settembre 1986, durante il governo di Giovanni D’Ascenzi, per la ratifica formale che dava alla nuova realtà diocesana buona parte dei confini che l’antica sede aretina vantava nell’alto e pieno Medioevo.
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.