Beni architettonici
- Scandicci (FI)
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Parrocchia di San Salvatore e San Lorenzo a Settimo
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Diocesi
Firenze
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Regione ecclesiastica
Toscana
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Tipologia
chiesa
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Qualificazione
parrocchiale
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Denominazione principale
Chiesa di San Salvatore e San Lorenzo a Settimo
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La badia di S. Salvatore e S. Lorenzo si trova a Settimo, frazione del Comune di Scandicci.
Sorge isolata nella piana di Settimo. La facciata è preceduta da un sagrato in cotto e da un ampio piazzale alla cui destra è l’ex refettorio dei conversi, detto anche 'tinaia' dall’uso cui è stato destinato negli ultimi due secoli, e il chiostro maggiore. La torre campanaria è posta sul retro, sul lato sinistro. Oltre il campanile sono un edificio oggi adibito a canonica ed altri che un tempo ospitavano le suore. A tergo dell’abside è il chiostro detto dei Melaranci e, addossati sul fianco destro della chiesa, sono gli uffici parrocchiali. Il resto del complesso monastico, posto ad occidente della chiesa, è di proprietà privata, oggi acquisita da una Fondazione promossa dall’impresa "Savino del Bene", con il parroco come rappresentante legale; ne è prossimo un complessivo restauro. La facciata è a salienti, la pianta basilicale è a tre navate. -
- Pianta
- La chiesa ha pianta a tre navate con scarsella e cripta. Ai lati del coro si aprono a destra un accesso alla sagrestia e sul lato opposto quello ai locali oggi adibiti a canonica; nel presbiterio, lungo la parete destra, si apre un secondo accesso alla sagrestia e, nella parete opposta, un ingresso all'adiacente cappella di S. Quintino. Alla cripta si accede sia dall’esterno sia dal nuovo accesso presso la testata della navata laterale destra; in tale navata, in corrispondenza della quarta campata, vi è un accesso al chiostro grande. Le dimensioni indicative dell'interno della chiesa sono: lunghezza totale: m 39,20; lunghezza fino all'arco absidale: m 33,00; lunghezza fino alla balaustra del presbiterio, corrispondente a quella delle navate laterali: m 25,70; larghezza totale: m 19,20; larghezza della navata centrale: m 7,70.
- Facciata e prospetti esterni
- La facciata è a salienti in corrispondenza delle navate; è realizzata in bozze irregolari d'alberese a vista con ricorsi in laterizio, che qualificano al centro la cornice d’imposta ad archetti ciechi ogivali ed ai lati la quota d'imposta delle coperture delle navate laterali prima che queste fossero rialzate. Due lesene scandiscono verticalmente le tre navate. In asse centrale sono un piccolo oculo con la mostra in laterizio ed un grande rosone sottostante con la vetrata ad elementi piombati quadrati. Il portale mediano è architravato ed in arenaria, sormontato da volute e con uno stemma centrale; in arenaria sono anche i due portali laterali con un frontone triangolare spezzato, sormontati da due ampie finestre con arco ribassato in cotto. Il prospetto laterale sinistro è inferiormente in conci di pietra a vista e scandito da lesene, tra le quali si aprono alcune monofore; superiormente, in corrispondenza della sopraelevazione, è intonacato e tinteggiato di chiaro, con archetti ciechi posti a conclusione inferiore e con finestre quadrangolari; tra i due livelli (quello in conci a vista e quello intonacato) si trova una grande monofora tamponata con mostra in cotto. È presente anche un ingresso architravato alla chiesa, attualmente tamponato. Il superiore cleristorio della navata centrale è intonacato e concluso da un grande cornicione in cotto.
- Campanile
- Il campanile è in conci a vista non isodomi e a pianta circolare nel primo settore, scandito da semicolone e con monofore poste a vari livelli; sopra a tale settore si impostano i successivi due, a pianta esagonale; nel secondo, in muratura mista, sono presenti bifore con colonnine dai capitelli a stampella; nel terzo, in mattoni a facciavista, si trova la cella campanaria, con fornici sestiacuti, conclusa da una serie di archetti ogivali su beccatelli. La copertura è a tetto a padiglione.
- Interno
- L’interno è a pianta rettangolare, con tre navate; la centrale è collegata alle laterali mediante quattro arcate a pieno centro per lato, poggianti su pilastroni secenteschi con cornice terminale, intonacati e tinteggiati di chiaro. La nave centrale culmina nel presbiterio rialzato di due gradini in marmo, delimitato da una balaustra marmorea, ed a pianta quadrata. Nel presbiterio si trova il pregevolissimo tabernacolo quattrocentesco in marmo, realizzato in prospettiva centrale, con due angeli laterali e "Christus Patiens" nella lunetta di fondo; lo sportello ligneo è intarsiato. La retrostante scarsella rinascimentale, voltata a vela, è definita dal grande arco in arenaria poggiante su semipilastri corinzi dal fusto scanalato e rudentato. Le tre arcate cieche sono in arenaria, al pari del cornicione perimetrale (con teste alate di cherubini e il simbolo dell'Agnus Dei entro ghirlande in terracotta policroma invetriata posti nel fregio) e della mostra dell'oculo nella parete di fondo, recante una vetrata policroma; nei due pennacchi di fondo si trovano i tondi affrescati da Domenico Ghirlandaio. Al centro del presbiterio è il maestoso altar maggiore in commesso di marmi policromi (con due gradi e maestoso tabernacolo cupolato), dietro al quale è il coro ligneo. Tramite una porta nella parete sinistra del presbiterio si perviene alla cappella di testata di S. Quintino, introdotta verso la nave da un arcone su semipilastri corinzi, affrescata nelle pareti e nella volta da Giovanni da S. Giovanni; vi è un altare con il tabernacolo in arenaria e con il dossale che ospita un reliquario del santo, qualificato da semicolonne corinzie sorreggenti una trabeazione risaltata con una testa di cherubino alata posta nel fregio. Sotto l’attuale pavimentazione, ad una quota inferiore di circa un metro è il pavimento risalente all’ XI secolo e tuttora visibile. Sotto al presbiterio ed all’abside è la cripta, cui oggi si accede sia dell’esterno che da un nuovo accesso realizzato nel 2000 presso la testata della navata laterale destra. I rivestimenti sono ad intonaco tinteggiato a calce lisciato a mestola. Nel cleristorio sono complessive diciotto finestre tamponate (nove per parte) che sono state riportate alla vista con i recenti lavori di restauro. Nella navata laterale destra il portale in arenaria ora tamponato (analogo a quello di sinistra contenente il fonte battesimale), posto in corrispondenza della prima campata, costituiva in passato un accesso al chiostro grande. Nella stessa parete vi sono inoltre due altari in arenaria provvisti di mensa su balaustri e con il dossale in arenaria con frontone triangolare spezzato sorretto da semicolonne corinzie. In corrispondenza della quarta campata, aperto nella pavimentazione, vi è il nuovo accesso alla cripta. Nella navata laterale sinistra vi sono due altari speculari a quelli della navata opposta; addossato alla parete nella prima campata è il fonte battesimale, in marmo verde, con vasca circolare su fusto a colonna e con una copertura in ottone, posto entro un portale in arenaria con un frontone centinato e spezzato a valve di conchiglia con uno stemma mediano. Due organi di recente realizzazione sono collocati alle pareti delle navate laterali, in corrispondenza della quarta campata. La chiesa prende luce dalle strette monofore poste nella parete laterale della navata sinistra, chiuse da lastre di alabastro, da due rettangolari con centina superiore ribassata, nella medesima navata, ubicate entro i frontoni degli altari, da una finestra simile sopra l'altare della cappella di S. Quintino, da altre due finestre nei frontoni degli altari di desta e da ulteriori due e dal rosone presenti in controfacciata, avente quest'ultimo una mostra neomedievale in finti conci dipinti a bianco e nero. L'altezza massima della navata centrale è m 13,40, la minima m 12,20; l'altezza massima delle navate laterali è m 10,40, la minima m 8,40.
- Cripta
- La cripta mediana ad oratorio è tripartita, con volte a crociera, e presenta colonne monolitiche con capitelli a dado e decorazione a bottoni; si espande trasversalmente verso due vani rettangolari e presenta varie nicchie centinate perimetrali.
- Pavimenti e pavimentazioni
- La pavimentazione è in cotto arrotato a crudo con mattoni disposti a spina.
- Coperture
- La copertura della navata centrale poggia su nove capriate decorate, con orditura primaria e secondaria lignee. La cappella di S. Quintino è coperta da una volta a vela, come la scarsella. Il manto del tetto a capanna centrale e di quelli a leggio in corrispondenza delle navi laterali è in coppi e tegole piane. La cripta è coperta da volte a crociera.
- Pianta
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- VIII ‐ X (origini oratorio di S. Salvatore)
- Almeno fin dal X sec. è documentato nel piviere di S. Giuliano a Settimo un oratorio dedicato a S. Salvatore, posto entro il feudo concesso nel 962 da Ottone I Magno (quando diviene imperatore) a Cadolo di Corrado de' Cadolingi (m. 988) e forse fondato nel 963 su una preesistenza longobarda dell'VIII secolo. I resti rinvenuti di una palificata in corrispondenza del perimetro originario della cripta denuncia la fondazione in un terreno alluvionale. Se un documento del 988 è autentico, porterebbe però la fondazione alla seconda metà del IX secolo, per volontà di Ubaldo o Rubaldo (Tebaldo, m. ante 893) dei conti di Bologna, che continua la politica familiare volta al radicamento territoriale nel nord della Toscana e intrattiene relazioni con il vescovo di Firenze Andrea (doc. 871-893) e con il suocero, il marchese di Toscana Adalberto I (circa 820-884). A tale periodo risale la parte centrale della cripta a oratorio, limitata allo spazio antistante l'abside centrale della chiesa.
- 988 ‐ 988 (cenni storici oratorio di S. Salvatore)
- Nel 988 all'oratorio di Settimo e al suo custode, il presbitero Guberto, il conte "Adimaro" (in realtà, secondo Antonella Ghignoli, da identificarci con Adalberto I conte di Bologna, fratello di Teobaldo II duca di Spoleto e di Willa, operante nel bolognese nell'area della "judiciaria Mutinensis", la giurisdizione modenese, e che eredita gli interessi del gruppo parentale nel Fiorentino; questo non per Edoardo Manarini, che distingue Adimaro dal fratello Adalberto), figlio del marchese di Camerino e duca di Spoleto Bonifacio II (m. ante 953) e nipote di Tebaldo dei conti di Bologna, secondo una pergamena (della quale è stata però messa in dubbio l'integrale autenticità) avrebbe confermato i diritti sulle chiese di S. Marino alla Palma e di S. Donato a Lucardo e gli altri beni concessi dal nonno all'oratorio di S. Salvatore e già confermati dal padre.
- 998 ‐ 998 (cenni storici carattere generale)
- Nel 998 Ottone III conferma nuovamente tutti i beni concessi a S. Salvatore, essendo l'oratorio sempre custodito dal presbitero Guberto e del diacono Azzone. Sull'autenticità intergale del documento del 988 e sulla citazione delle due chiese di S. Marino alla Palma e di S. Donato a Lucardo in questo del 998, tuttavia, sono stati avanzati giusti dubbi da Antonella Ghignoli nel 2004 (che reputa la citazione di S. e di S. Donato un'interpolazione effettuata in una copia risalente al 1331) e da Marco Gamannossi nel 2013.
- 1004 ‐ 1011 (creazione abbazia carattere generale)
- Forse nel 1004 Lotario I di Cadolo de' Cadolingi (m. post 1027, ante 1034) introduce nell'oratorio di S. Salvatore i monaci Cluniacensi (ma secondo Alessandro Guidotti agli inizi non Cluniacensi ma Benedettini tout court), che vi creano una loro abbazia, e dona loro terre poste ad Ugnano, Agnano (verso Mantignano) e Lanciano sul Monte Morello. La scelta dei Cadolingi si inserisce in un ampio disegno per il controllo del territorio attraverso la fondazione di castelli e monasteri, creati sempre nei pressi di importanti vie stradali e fluviali e, in questo caso, in funzione antifiorentina. Nel 1011 Giovanni del fu Giovanni da Firenze, forse consorte dei Cadolingi, con una "cartula offersionis" dona il suo patrimonio, posto nei pivieri di Settimo e di Giogoli, "ecclesia et monasterio domini nostri Salvatoris qui est posito, sito in loco qui nominatur Septimo ubi modus domus Guarinus abbas preesse videtur", prima data certa dell'esistenza del cenobio.
- 1014 ‐ 1034 (cenni storici carattere generale)
- La chiesa di S. Martino alla Palma, di patronato della Badia, risulta certamente concessa ai Cluniacensi in un "mundiburdium" (protezione esercitata dal sovrano) di Enrico II il Santo del 1014, dove sono confermati anche gli altri beni di Ugnano, Agnano-Mantignano, Locardo e Larciano. Il primo abate, Guarino (documentato dal 1011 al 1034) ottiene da Benedetto VIII (papa dal 1012 al 1024) l'esenzione dalla giurisdizione episcopale fiorentina. Nel 1019 Giovanni di Orso e il presbitero Stefano di Pietrone donano altri beni a S. Salvatore. Nel corso dell'XI secolo il patrimonio dell'abbazia aumenta considerevolmente grazie a donazioni che portarono il cenobio ad avere influenza anche su territori lontani, come il Mugello.
- 1025 ‐ 1050 (ipotesi trasformazioni chiesa)
- Alla prima metà dell'XI secolo appartiene la prima chiesa romanica, forse a navata unica con transetto triabsidato e, quindi, con pianta a T (ma Marco Frati ritiene che si tratti fin da subito di una basilica a tre navate triabsidata), dimensionata sul piede francese (cm 32,5) e con la cripta tripartita, voltata a crociere, ampliamento di quella risalente al IX-X secolo. L'originaria cripta a oratorio si espande trasversalmente verso due vani rettangolari, preesistenti secondo Marco Frati, costituenti l'ampliamento secondo altri. Forse possiede un presbiterio rialzato ed ha accessi laterali, è divisa centralmente in tre navate da colonne monolitiche (con capitelli cubici ornati di bottoni), ciascuna almeno di tre campate quadrotte. L'edificazione della chiesa cluniacense parrebbe risalire ai tempi del primo abate, Guarino, per volontà di Lotario I de' Cadolingi, e in seguito proseguita dall'abate Pietro sotto il patronato del figlio di Lotario, il conte Guglielmo il Bulgaro (m. 1075).
- 1040 ‐ 1048 (costruzione primo livello campanile)
- Dopo il 1040 viene innalzato il settore inferiore a pianta circolare della torre campanaria (che rimanda all'ambiente romagnolo-ravennate e a quello aretino). Dall'interpretazione (difficile) di una lapide del 1048 (oppure, secondo altra lettura, apposta nel 1210) parrebbe essere stata eretta al tempo del'abate Pietro (noto dal 1047 al 1049) e del conte Guglielmo il Bulgaro de' Cadolingi, che nel 1048 dona la chiesa di S. Salvatore a Galliano (Barberino di Mugello), in località Ospitale, perché l'abate Pietro vi crei un monastero. Secondo una lettura della lapide, il campanile sarebbe eretto da un "magister" Tacco, ma si tratta si un errore d'interpretazione. Il monastero pare allora abbia adottato, per volontà di Guglielmo il Bulgaro (in funzione antifiorentina e antiepiscopale), ai tempi del vescovo fiorentino simoniaco Attone (dal 1032 al 1046), la riforma vallombrosana, sotto l'influenza dello stesso S. Giovanni Gualberto (circa 995-1073).
- 1047 ‐ 1049 (cenni storici badia)
- Nel 1047 Enrico III accoglie sotto la sua protezione la Badia e riconferma ad essa Agnano, Mantignano e S. Martino alla Palma. Nel 1048 è sepolta presso la badia la madre di Guglielmo, Adelasia. Nel 1049 Leone IX conferma all'abate Pietro tutti i beni della badia.
- 1050 ‐ 1250 (costruzione parte superiore campanile)
- La canna superiore a prisma esagonale del campanile della badia è, secondo Marco Frati, databile forse agli anni 1050-1075, mentre tradizionalmente si ascrive alla metà del XIII secolo.
- 1067 ‐ 1075 (cenni storici badia)
- Negli anni 1067-1068 la chiesa di S. Martino funge da rifugio per gli antisimoniaci fuggiti dalle loro sedi, in rotta di collisione con l'episcopio fiorentino di Pietro Mezzabarba (1030 circa-1071), tra i quali l'abate di Strumi, verso Poppi in Casentino. È allora abate di Settimo un altro Guarino. Il 13 febbraio 1068 di fronte alla chiesa si tiene la famosa prova del fuoco fatta da Pietro Igneo (1020 circa-1089) per dimostrare la rettitudine dei Vallombrosani e la corruzione del Mezzabarba, ritenuto simoniaco. Fra il 1073 ed il 1076 i priori vallombrosani si riuniscono spesso presso la badia a Settimo. All'esterno della chiesa, attorno al 1075 è sepolta Gasdia, moglie di Guglielmo il Bulgaro e madre di Uguccione II o Ugone de' Cadolingi.
- 1078 ‐ 1078 (cenni storici badia)
- Nel 1078 Gregorio VII prende sotto la protezione apostolica la badia, essendone abate Azzone.
- 1091 ‐ 1094 (cenni storici badia)
- Nel 1090 (1991 stile moderno), essendo sempre abate Azzone, i Cluniacensi hanno oramai ripreso il controllo del monastero (in quell'anno infatti non figura più fra i monasteri vallombrosani nel privilegio di Urbano II), che forse non avevano mai abbandonato del tutto. La carta del 1091 con la quale il conte Ugone de' Cadolingi avrebbe confermato tutti i beni alla badia, contestualmente liberando il monastero dallo jus patronatus della sua famiglia, è ritenuto dalla Ghignoli un falso della seconda metà del XII secolo. Nel 1094 Urbano II accoglie la badia sotto la protezione apostolica, essendo abate Azzone.
- 1096 ‐ 1113 (cenni storici carattere generale)
- Nel 1096, sempre all'esterno della chiesa, è sepolta Cilla (Cilia, Cecilia) di Teuzo, moglie di Uguccione di Guglielmo de' Cadolingi. Nel maggio del medesimo anno muore anche il "magnus comes" Uguccione, ciò che sancisce l'inizio del declino della casata. Le salme di Gasdia e di Cilia sono riunite in un'unica tomba con due distinte lastre marmoree, forse da Ugo III o Ugolino di Uguccione de' Cadolingi tra il 1100 ed il 1113; la prima, riferita a Gasdia, reca quattro distici elegiaci. L'impiego della bicromia marmorea l'accomuna a quello che sarà il 'classicismo' romanico' di S. Miniato al Monte.
- 1102 ‐ 1122 (cenni storici badia)
- Il patrimonio dell'abbazia continua ad arricchirsi. Nel 1102 Pasquale II accoglie la badia sotto la protezione apostolica, essendo sempre abate Azzone (ancora documentato nel 1122). Il papa proibisce ogni alienazione di beni della badia e concede la libera elezione dell'abate ed il privilegio di dipendere dal solo pontefice e non dal vescovo fiorentino.
- 1113 ‐ 1136 (cenni storici carattere generale)
- Nel 1113 cade in mano fiorentina l'ultimo castello cadolingio di Montecascioli e nello stesso anno muore Ugolino de' Cadolingi. Nel 1122 Callisto II accoglie nuovamente la badia sotto la protezione apostolica. Nel 1123 è abate Serafino. Nel 1131 il patrimonio della Badia comprende sostanzialmente l'intero piviere di Settimo. Con privilegio del 1133 Callisto II accoglie nuovamente la badia sotto la protezione apostolica. Nel 1136 il conte Tancredi di Alberto degli Alberti, detto Nontigiova, "pro anima comitisse" Cilia di Arduino, sua moglie (la vedova di Ugolino de' Cadolingi) cede alla Badia di Settimo altri beni (terre a bosco).
- 1125 ‐ 1150 (trasformazioni chiesa)
- Al secondo quarto del XII sec. risalirebbe la seconda fase cluniacense della chiesa, che secondo alcuni la conduce solo allora ad un impianto a tre navate absidate, basata sul piede di Liutprando (cm 44), l'unità di misura longobarda richiamantesi al "cubitus" romano ed impiegata a Firenze sino agli inizi del Duecento. La navata centrale è divisa da un tramezzo in muratura ed è affrescata con uno zoccolo perimetrale a finto marmo. I resti di tale seconda fase romanica (od unica, risalente alla prima metà dell'XI sec., secondo altri studiosi) oggi ancora individuabili sono: la facciata a salienti; il fianco nord che le si ammorsa direttamente; un tratto del coronamento del fianco sud; il doppio cleristorio con le monofore; i resti delle tre absidi; l'impiantito in cocciopesto sotto l'attuale; due serie di pilastri, dei quali si scorgono tracce dopo la stonacatura dei pilastroni secenteschi; l'ultima campata destra; la cripta a tre navate coperte con volticciole a crociera.
- 1153 ‐ 1189 (cenni storici badia)
- Nel 1153 l'imperatore Federico I prende sotto la sua protezione la badia. Nel 1154 è sempre abate Serafino, nel 1160 risulta esserlo Ranieri, nel 1172 Rolando e nel 1177 Ambrogio. Almeno dal 1157 sono presenti alla badia alcune reliquie di S. Quintino. Nel 1179 Alessandro III con altro privilegio, accoglie nuovamente la badia sotto la protezione apostolica e conferma le proprietà dei Cluniacensi di Settimo all'abate Ambrogio (ancora in carica nel 1182). Nel 1184 anche Alberto di Tancredi degli Alberti deve firmare la sua sottomissione a Firenze. Ad Ambrogio segue come abate Rolando, che verrà definito "scismatico" ed aliena beni della badia. Nel 1189 Clemente III, su richiesta del nuovo abate Ambrogio, annulla tutte quelle vendite.
- 1190 ‐ 1196 (cenni storici carattere generale)
- Nel 1190 i monaci detengono una porzione del patronato della chiesa di S. Frediano Oltrarno; l'altra porzione la detengono più membri della Famiglia Rustichi e Uguccione Della Chiara. L'abate Ambrogio s'impegna a crearvi un monastero e di far eleggere abate, dopo la sua morte, l'allora rettore di S. Frediano, prete Orlando. Entro il 1196 i Rustichi vendono le loro parti di patronato alla badia, al tempo sempre dell'abate Ambrogio, essendo camerario Placido.
- 1221 ‐ 1221 (cenni storici carattere generale)
- Nel 1221 il vescovo fiorentino Giovanni da Velletri (vescovo dal 1205 al 1230) conferma alla Badia la chiesa di S. Frediano.
- 1236 ‐ 1250 (cenni storici carattere generale)
- Nel 1236 per volontà di Gregorio IX, in seguito forse ad una possibile presenza nel monastero di eretici patarini, subentrano nel monastero i Cistercensi provenienti da S. Galgano nel Senese, continuando a ricevere donazioni e privilegi. Primo loro abate è Forese Foresi. Una lapide marmorea di quell'anno rende noto come i monaci appena insediatisi dovessero considerarsi pienamente autonomi e indipendenti da ogni diritto di giuspatronato. I beni della Badia sono confermati ai Cistercensi da papa Gregorio IX nel 1237. Si costituiscono le classiche grange cistercensi (terreni coltivati e relativi magazzini gestiti direttamente dal monastero tramite i suoi conversi che, sotto la direzione d'un monaco, erano addetti alle opere dei campi). I terreni paludosi lungo l'Arno sono bonificati mediante un sistema di canali, dei quali ancora rimane il fosso Monicoro ("monacorum"). Nel frattempo, attorno al monastero si era formato un borgo e la Badia ne cura le anime.
- 1254 ‐ 1292 (ampliamento e trasformazioni monastero e chiesa)
- Nel 1254 è abate di Settimo Andrea. L'ingente disponibilità finanziaria dei monaci permette loro d'intraprendere vari lavori di ristrutturazione e di ampliamento del monastero, secondo i classici schemi dell'architettura cistercense (refettorio, sala capitolare, biblioteca con preziosi codici miniati, infermeria, dormitori, chiostro, dotati di elementi gotici). L'infermeria o ospedale, successivamente impiegato come sala dei conversi, è a tre navate e con volte a crociera, sostenute da colonne con capitelli a doppio ordine di foglie. Nel 1290 è rialzato il pavimento della chiesa, vengono sopraelevate le navate ed è realizzata la nuova copertura poggiante su capriate dipinte a motivi geometrici, la decorazione delle quali viene conclusa nella prima metà del Trecento (prima fase cistercense). Nel 1292 è abate Gregorio.
- 1294 ‐ 1320 (costruzione cappella di S. Bernardo)
- A partire dal 1294, grazie ad un primo lascito di 130 lire da parte dell'abate Roberto di Giordano da Signa (ivi professo dal 1260 al 1304), è iniziata la costruzione di una piccola cappella intitolata a S. Bernardo da Chiaravalle, posta quasi tangenzialmente al campanile, sull'area del cimitero dei monaci. I lavori sono documentati fin verso il 1320, con numerosi interventi economici di benefattori sia laici che ecclesiastici. La cappella è ad aula con un ambiente interrato sottostante e con la facciata a capanna.
- 1315 ‐ 1350 (decorazioni pittoriche intero bene)
- Nel 1315, essendo abate dom Grazia, Lapo Spini fa trasformare un precedente "armarium" nella cappella di S. Jacopo, affrescata nelle pareti e nelle crociere con "Storie della vita di Sant'Jacopo", secondo la tradizione riportata dal Ghiberti da Buonamico di Martino, detto Buffalmacco (ultimo quarto del sec. XIII-1340 circa), ma oggi per lo più date al Maestro di S. Cecilia e datate agli anni 1320-1336. Nel 1315 è iniziato a miniare uno dei codici più rilevanti della biblioteca, un corale (il graduale D, oggi presso il monastero di Santa Croce in Gerusalemme a Roma), concluso dal Maestro Daddesco (attivo circa1315-1350) verso il 1340/1350. Pittori giotteschi affrescano il refettorio. Nel 1320 è unito a quello di Settimo il monastero di S. Bartolomeo a Buonsollazzo. Nelle capriate che coprono la nave centrale è inserita la pittura su tavola lignea raffigurante i "Santi Bernardo, Benedetto, Roberto di Molesme e Galgano".
- 1325 ‐ 1333 (cenni storici badia)
- Verso il 1325 dom Grazia redige un inventario di tutti i beni della badia. Nel 1326 Castruccio Castracani (1281-1328), nella sua guerra contro Firenze, rilascia un salvacondotto ai monaci di Settimo e ai coloni da loro dipendenti. Nel 1328 avviene la riforma del monastero da parte di Bernardo di Chiarito e di fra' Guglielmo di Dulcino (m. 1349), priore della provincia di Tolosa e procuratore generale dell'Ordine Domenicano, nunzio apostolico nell'Italia centrale. In seguito tutto il monastero è riorganizzato secondo le esigenze e le direttive tipologiche dei Cistercensi, anche se dal 1331 l'autonomia del monastero diminuisce, in quanto sottoposto direttamente a quello di S. Galgano. Si assiste a numerose contese fra il monastero e il Comune di Firenze riguardo a mulini e peschiere che intralciano il flusso regolare delle merci via Arno. Nel 1333 la badia subisce la grande alluvione d'Arno.
- 1338 ‐ 1350 (inventario e costruzione ultimo livello monastero e campanile)
- Nel 1338 è redatto un inventario, che descrive analiticamente la struttura patrimoniale del monastero e l’articolazione dei crediti e dei debiti. Nel 1339 è abate dom Remigio Sapiti. In quegli anni si verifica il progressivo slittamento nella gestione del patrimonio fondiario della badia da una conduzione diretta alle diverse forme di affittanza (canoni in denaro e contratti mezzadrili). L'ultimo livello a pianta esagonale del campanile, realizzato in mattoni, dovrebbe risalire solo alla metà del Trecento.
- 1370 ‐ 1378 (realizzazione opere di fortificazione intero bene)
- A seguito delle continue guerre, nel 1370 iniziano ingenti lavori per rafforzare i sistemi di difesa della badia (fossati e mura inferiormente in pietra in corrispondenza della scarpa e sopra in mattoni, concluse da caditoie con grandi archetti su possenti beccatelli, con torrioni quadrati), realizzati a spese del Comune di Firenze, ma nel 1378 il monastero è ugualmente saccheggiato durante il tumulto dei Ciompi (sono "rubati panni, libri, lettere, danari e tutte masserizie e rotte e spezzate tutte le casse e l'uscia"). Le possenti torri a base quadrangolare terminano con una merlatura guelfa su archetti e beccatelli. Secondo Laura Dal Prà, in quegli anni il Maestro della Cappella Rinuccini (Matteo di Pacino?) esegue su commissione dei Cistercensi della Badia l'"Apparizione della Vergine a San Bernardo, con San Benedetto, San Giovanni Evangelista, San Quintino e San Galgano", ora conservata al Museo dell'Accademia.
- 1436 ‐ 1461 (costruzione coro e chiostro grande)
- Nel 1436 Eugenio IV concede la Badia in commenda al cardinal Domenico Capranica (1400-1458), noto umanista e teologo, che nel 1441 vi rinuncia. Nel 1441 si inizia la ricostruzione del coro, conclusa nel 1460: una scarsella coperta 'antiquariamente' ed umanisticamente mediante una volta a vela di ascendenza brunelleschiana (seconda fase cistercense). Nel 1461 è realizzato il chiostro grande, con 32 colonne ioniche commissionate a Bartolomeo di Piero, detto il Battaglino, ad imitazione di quello michelozziano di San Lorenzo a Firenze. Il chiostro, a causa del sollevamento del piano originario di calpestio, dovuto all'interramento di circa un metro e mezzo per i continui depositi lasciati dall'Arno, ha perso l'originale slancio e le giuste proporzioni.
- 1487 ‐ XV (opere pittoriche e decorative chiesa)
- Nel 1487 Domenico Ghirlandaio (1448-1494) affresca nella scarsella della chiesa due tondi esprimenti "L'Angelo" e "L'Annunziata". Egli dipinge il tramezzo e viene anche incaricato di eseguire un ciclo di pitture per il nuovo coro, poi non realizzate. Al medesimo decennio sono ascrivibili anche tre tavole ghirlandaiesche per la sagrestia: l'"Adorazione dei Magi" e il "Cristo morto deposto nel sepolcro"; la terza tavola con la "Deposizione dalla croce", sorretto dalla Madonna e da Giuseppe d'Arimatea e baciato da Maria Maddalena, con San Bernardo da Chiaravalle e S. Sebastiano (o S. Quintino), è segnatamente assegnata a Francesco Botticini (1446 circa-1497). Neri di Bicci (1418/1420-1492) esegue una tavola, Benedetto Buglioni (1461-1521) realizza il fregio in terracotta invetriata policroma con testine di cherubini alternate a ghirlande, che si sviluppa sui tre lati, la bottega di Giuliano da Maiano (1432 circa-1490) il tabernacolo marmoreo.
- 1497 ‐ 1497 (realizzazione Chiostro dei Melaranci)
- Nel 1497 Settimo entra a far parte della Congregazione Cistercense di San Bernardo in Italia. Sul volgere del secolo è realizzato anche il Chiostro dei Melaranci, che si addossa al precedente portico gotico.
- 1529 ‐ 1530 (danneggiamenti per l'assedio di Firenze intero bene)
- Durante l'assedio di Firenze del 1520-1530 il monastero viene danneggiato dalle truppe imperiali. Sono saccheggiati i granai, è danneggiata la chiesa, sono bruciati molti volumi, codici e manoscritti della biblioteca. I monaci si rifugiano a S. Frediano "Intra moenia". Nel 1531 Paolo IV concede all'abate e alla maggior parte dei religiosi di risiedere a S. Frediano, lasciando nel monastero di Settimo solo pochi monaci.
- 1574 ‐ 1574 (cenni storici monastero)
- Nel 1567 l'abate della Badia Fiorentina è incaricato da Pio V di riformare il monastero di Badia. Nel 1574 Domenico Buti (1547-1590), uno dei pittori dello Studiolo, esegue la tavola con il "Martirio di San Lorenzo" (forse in origine per la vicina chiesa di S. Lorenzo a Settimo).
- 1618 ‐ 1633 (restauri e dotazione di opere artistiche intero bene)
- Il 7 aprile 1618 Paolo V concede a don Velani, parroco di S. Quintino a Gottolengo (Piacenza), una reliquia di S. Quintino proveniente dalla badia. L'abate di S. Salvatore, Attilio Brunacci (m. 1645), l'8 luglio 1619 estrae un frammento di un braccio dalla cassa che contiene alcune reliquie di S. Quintino, che poi il 6 giugno 1620 consegna a don Velani. Nell'aprire la cassa l'abate dice che da essa si sparge miracolosamente in tutta la chiesa una forte fragranza. Dom Brunacci tiene un chronicon che va dal 1619 al 1633. Parallelamente ai lavori di restauro delle strutture, il Brunacci intraprenderà un’intensa attività mecenatizia che lo porterà a diventare committente di molti artisti (non solo fiorentini) e a dotare la badia di una ricca raccolta di dipinti e di libri. Nel 1622 fa dipingere ad Anastagio Fontebuoni (1571-1626) un "Martirio di Santo Stefano" e negli stessi anni un "San Martino che resuscita un fanciullo" per S. Martino alla Palma, grangia dell'abbazia di Settimo.
- 1628 ‐ 1635 (ristrutturazione e affreschi abside sinistra)
- Nel 1628 è rifatta l'abside sinistra (senza distruggerla), che diviene la cappella di S. Pietro e S. Quintino, affrescata nel 1629 da Giovanni da San Giovanni (1592-1636) con scene raffiguranti il "Ritrovamento del corpo di S. Quintino"; la "Consegna delle chiavi a San Pietro"; i "Santi Benedetto e Bernardo da Chiaravalle", il "Martirio di S. Stefano", i Santi Stefano e Lorenzo e l'"Eterno in gloria" (nella volta a vela, entro uno sfondato circolare perimetrato da un illusorio balaustrato). Lo stesso pittore dipinge nel monastero una "Madonna" e l'"Estasi di San Bernardo". L'abate Brunacci fa ristrutturare pure il Quartiere degli Abati.
- 1635 ‐ 1639 (ricostruzione altar maggiore)
- Dopo dom Brunacci, dal 1635 al 1637 è abate di Settimo dom Ferdinando Ughelli (1595-1670), storico che poi sarà l'autore dell'"Italia sacra", una monumentale opera edita tra il 1642 ed il 1662. Nel 1639 l'abate dom Flori fa ricostruire l'altar maggiore in commesso di pietre dure, il cui "ciborio di lapislazzuli, agata orientale e granito d'Egitto e [con] quattro Angeli" nell'Ottocento il Santoni e poi il Carocci attribuivano al Giambologna (1529-1608).
- 1663 ‐ 1665 (restauro complessivo intero bene)
- In seguito ad un'alluvione, nel 1663-1664 il complesso viene restaurato: è rinnovata la facciata con l'aggiunta di un portico e tra le navate cono create arcate più grandi poggianti su ampi pilastri (terza fase cistercense). La navata centrale è coperta con una finta volta a botte in incannucciato. Nel 1665 Giacinto Gemignani (1606-1681) da Pistoia dipinge la tela con "San Bernardo che, con un'ostia in mano, converte Guglielmo, duca d'Aquitania". In quel secolo sono realizzate per i vari altari laterali, da anonimi toscani, anche le tele con una "Madonna in gloria con i Santi Carlo Borromeo, Antonio Abate e Rocco" e con la "Madonna del Rosario con il Bambino ed i Santi Carlo Borromeo, Francesco, Domenico e Caterina da Siena".
- 1783 ‐ 1786 (istituzione parrocchia e trasformazioni intero bene)
- I Cistercensi restano alla Badia fino alla loro soppressione nel 1783, voluta dal Granduca Pietro Leopoldo; l'anno seguente la chiesa, secolarizzata come parrocchiale e resa inamovibile, assume un secondo santo patrono, Lorenzo (dalla vecchia e vicina omonima chiesa di Settimo che viene demolita, venendo il terreno trasformato in cimitero), mentre i locali del monastero sono venduti a privati (i Nencini): l'ampia sala dei conversi è trasformata in tinaia per depositarvi il vino; il pavimento è rialzato e le colonne risultano così 'annegate' nel terreno. L'architetto Bernardo Fallani (1739-1806), nativo di Settimo, dipendente dello Scrittoio delle Regie Fabbriche granducali, lavora alla badia dal 1783 al 1786 circa, trasformando, tra l'altro, l'appartamento dell'abate (secondo Luigi Santoni comprendente anche il noviziato medievale, definito refettorio dal Carocci) in canonica per il priore. Alla morte, nel 1806, verrà sepolto presso la chiesa. Nel 1786 la chiesa è resa inamovibile.
- 1800 ‐ 1847 (cenni storici parrocchia)
- Dal 1800 al 1823 è priore della chiesa dei SS. Salvatore e Lorenzo don Camillo Santoni (m. 1834), nel 1823 lo diviene don Antonio Ferroni, ancora tale nel 1847. Vi esiste la Compagnia di S. Bernardo "nell'antico coretto dei monaci Cistercensi, che ha l'ingresso dalla Chiesa" (Luigi Santoni). La chiesa, suffraganea della pieve di S. Giuliano a Settimo, è di libera collazione. Il suo 'popolo' nel 1833 conta 1.067 anime, mentre nel 1847 sono salite a 1.130.
- 1891 ‐ 1907 (interventi di consolidamento intero bene)
- Nel 1884 le Regie Gallerie rimuovono le tavole ghirlandaiesche dalla sagrestia e nel 1907 saranno documentate presso il refettorio di S. Apollonia. Dal 1891 inizia un'ampia campagna d'interventi di consolidamento e di risanamento alla cripta, alla chiesa ed al campanile, che si conclude nel 1893. Dopo il terremoto del 1895 (al quale bene resiste il campanile) altri lavori di consolidamento e di ripristino sono effettuati nel 1896. Nel 1898 risulta essere parroco don Venceslao Martini. Nel1907 l'ex monastero risulta di proprietà dei fratelli Filippo e Banco Tanini da Montemurlo, che se ne sarvono "ad uso di villa e fattoria" (Guido Carocci). Un membro di questa famiglia nel 1903 aveva pubblicato alcuni "Cenni storici intorno alla Badia a Settimo in comunità di Casellina e Torri".
- 1926 ‐ 1931 (campagna di restauri di 'ripristino' chiesa)
- Tra il 1926 ed il 1931 si realizza la prima campagna di restauri di 'ripristino'. I lavori sono diretti dall'ingegnere spezzino Raffaello Niccoli (1897-1977), che proprio nel 1926 era entrato nella Regia Soprintendenza ai Monumenti di Firenze e dove rimarrà fino al 1942, quando sarà nominato soprintendente a Siena. Viene abbattuto il già danneggiato portico antistante la facciata, è messo in luce un portale lungo il lato settentrionale, viene eliminata la finta volta a botte che nasconde le capriate policrome, sono rese visibili le monofore del cleristorio, gli strombi di quelle inferiori e i residui dei pilastri originali, liberandoli dall'intonaco. Viene stonacata la facciata. Sono internamente previsti, ma poi non realizzati, il totale abbattimento delle 'superfetazioni' secentesche, la rimozione degli intonaci, la ricostruzione delle sette campate originarie, il ripristino del livello originale della cripta e dei collegamenti verticali dalle navate.
- 1944 ‐ 1944 (danni di guerra – crollo campanile chiesa e campanile)
- Nel 1944, durante la ritirata tedesca, il campanile viene abbattuto ed sono distrutte pure la vicina cappella di San Bernardo e la torre trecentesca del sistema difensivo, detta Il Colombaione, recante il grande rilievo in mattoni e stucco raffigurante il "Salvatore", fantasiosamente attribuito a Nicola Pisano (1223-1281) e che va distrutto. Dal 1949 è parroco di S. Lorenzo a Settimo don Furno Checchi (1913-2011) da Campi Bisenzio.
- 1951 ‐ 1959 (restauro complessivo e ricostruzione chiesa e campanile)
- Tra il 1951 ed il 1958, essendo sempre parroco don Checchi, avviene una seconda campagna di lavori di restauro, curata dagli architetti Guido Morozzi (1909-2002), che dal 1946 era stato incaricato dal Soprintendente ai Monumenti Giovanni Poggi (1880-1961) di dirigere la sezione speciale per i lavori ai monumenti di Firenze, e Nello Baroni (1906-1958), che tra il 1944 e il 1946, su incarico del Poggi, aveva eseguito restauri a edifici danneggiati dalla guerra. Essi tennero conto dei rilievi condotti in precedenza dall'architetto Ezio Cerpi (1868-1958) e dal Niccoli. È ricostruito il campanile "dov'era e com'era" dal Baroni, benedetto nell'ottobre del 1958 dall'arcivescovo Ermenegildo Florit. Sono rifatte anche le coperture di parte della navata laterale sinistra, cadute in seguito al crollo della torre. Su tale fianco settentrionale, in corrispondenza del campanile, le dimensioni delle lesene subiscono piccole variazioni. La cappella di S. Bernardo non è più ricostruita.
- 1961 ‐ 1969 (restauro ex monastero)
- Negli Anni Sessanta inizia il restauro dell'ex monastero. Verso la fine di quel decennio avviene anche l'adeguamento liturgico, senza il ricorso ad opere di carattere strutturale.
- 1970 ‐ 1976 (restauri intero bene)
- Nel 1970 riprendono i restauri al porticato trecentesco dell'ex monastero, alla canonica e al chiostro dei Melaranci. In quell'anno la parrocchia di S. Lorenzo a Settimo conta 1.300 anime ed il parroco è sempre don Checchi. Nel 1976 scavi interni alla chiesa riportano in luce l'antico piano di calpestio e la scala che permetteva di accedere alla cripta. Viene rifatta la pavimentazione in cotto.
- 1999 ‐ 2005 (opere di restauro coperture e cripta)
- Negli anni 1999-2005 è messo in opera un restauro complessivo (terza campagna di restauri), promosso dal parroco e sostenuto dall’Ente Ca.Ri.Fi, dall’Arcidiocesi e dai Fondi Europei. Le opere includono: il restauro della cripta, con la realizzazione dell'accesso dalla chiesa, sul lato destro del presbiterio (sul modello di quella sinistra, già rintracciata), ripristinando il livello originale della cripta e la pavimentazione primitiva (2002-2005, Studio di Architettura Marco e Lorenzo Jodice e Paola Gori); il rifacimento dei rivestimenti interni; il restauro dei prospetti esterni; il recupero in vista delle finestre in alberese, oggi tamponate, poste nei soprarchi laterali della navata centrale (cleristorio). Inoltre sono restaurati gli affreschi di Giovanni da S. Giovanni nella cappella di S. Quintino e le pitture murali di Domenico Ghirlandaio nella scarsella. Viene posta in opera una guaina impermeabilizzante sotto il manto delle coperture.
- VIII ‐ X (origini oratorio di S. Salvatore)
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- presbiterio ‐ aggiunta arredo (1969?)
- Adeguamento alle esigenze liturgiche della riforma conciliare realizzato sul finire degli anni ’60 senza il ricorso ad opere di carattere strutturale. Al centro del presbiterio è stata collocata una mensa eucaristica in legno, davanti all'altare maggiore, che consente la celebrazione rivolta verso i fedeli: dimensioni indicative: cm 230 x 73 x 90 (h). Tabernacolo in marmi policromi, al centro dell’altare maggiore. Ambone ligneo posto sul lato sinistro del presbiterio, presso la balaustra. Sede lignea, mobile, collocata al centro del presbiterio, davanti all’altare maggiore. Fonte battesimale in marmo, con vasca circolare su fusto a colonna e copertura in ottone, posto entro un portale in arenaria nella parete della prima campata in navata laterale sinistra.
- presbiterio ‐ aggiunta arredo (1969?)
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Data di pubblicazione
19/05/2022
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Fonte dei dati
Scheda di Censimento dei beni architettonici (Diocesi di Firenze)