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Dalle fiamme devastatrici al fuoco dell'Amore

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Archivio Madre Clelia Merloni (Roma), 11/09/2020

Quel lontano 10 marzo 1861, nella cattedrale di Forlì, la neonata Clelia Merloni ricevette la grazia del battesimo accolta dallo sguardo materno dell'icona della Madonna del Fuoco. Erano anni difficili per l'Italia, oltre che per l'intero mondo cattolico, e alla luce di quella che fu poi la vita della Beata, era come se la mamma Celeste stesse già imprimendo nel suo cuore un carisma specifico: la difesa della Chiesa da quello che rischia di esserne il principale fuoco corruttore, ossia la perdita della fede, in altre parole l'apostasia. La venerazione dell'icona mariana forlivese risale a quasi sei secoli fa e affonda le sue radici nell'incredibile episodio della notte del 4 febbraio 1428, quando le fiamme devastarono la scuola tenuta dal maestro Lombardino da Rio Petroso, risparmiando miracolosamente soltanto una xilografia su carta con l'immagine della Madonna con il Bambino. L'icona prodigiosa fu subito portata processionalmente in cattedrale e qui intronizzata a destra del presbiterio, per poi essere traslata nel 1636 nella nuova cappella che le fu dedicata. Forse la più antica xilografia su carta d'Italia e una delle più antiche d'Europa, il suo pregio artistico risiede nell'impalcatura figurativa complessa eppure facilmente leggibile. Il sole e la luna, simboli rispettivamente di Gesù e Maria, appaiono incardinati proprio alle spalle della Madonna con il Bambino, quasi a sorreggere i due momenti chiave della Redenzione rappresentati in alto: l'Incarnazione e la Crocifissione. Ai piedi della croce, dove il sangue che sgorga copioso dalle ferite di Cristo sembra quasi pioggia irrorante, la Madonna ci appare, per dirla con le parole di Madre Clelia ormai nei panni di Fondatrice, come "l'Apostola più fervente, la prima delle martiri".

(testo e immagine dal post dell'11 settembre 2020 sulla pagina Facebook dell'Archivio)

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