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Armida Barelli: visioni di una laica per costruire comunità

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A Viterbo l'apertura straordinaria della cella della beata

Viterbo, Monastero di S. Rosa, dal 14/05/2022 al 22/05/2022

Viterbo, Monastero di S. Rosa Viterbo, Monastero di S. Rosa

In occasione delle Giornate di valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico edizione 2022, dal 14 al 22 maggio sarà possibile visitare su prenotazione la cella della beata Armida Barelli presso il Monastero di S. Rosa da Viterbo, preservata dalle monache nella sua forma originaria.

Per prenotarsi alla visita, occorre obbligatoriamente iscriversi al seguente link: https://forms.gle/ifWU7Gx7er5rEaVN8 .
In vista della prossima beatificazione (30 aprile 2022), Armida Barelli, laica attivista, ispiratrice della Gioventù femminile e co-fondatrice dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, è stata già al centro di varie iniziative presso il Santuario di S. Rosa da Viterbo organizzate dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo onlus (CSSRV) che gestisce l'Archivio Generale e la Biblioteca della Federazione delle Clarisse Urbaniste d'Italia. Tra i numerosi appuntamenti culturali attorno alla figura della Barelli si è distinto l'incontro tenuto nel pomeriggio del 3 marzo da Marcella Serafini (Istituto Teologico di Assisi) e moderato da p. Pietro Messa, OFM. Per rivedere il video della relazione: https://youtu.be/f0QXZ3kZS_g.

Ma che cosa c'entra Armida Barelli con Viterbo ma soprattutto con il Monastero di S. Rosa? Ce lo spiega Angelo Sapio nell'approfondimento Armida Barelli: tra santa Rosa e mons. Fiorino Tagliaferri, pubblicato sul notiziario della Diocesi di Viterbo e del Santuario S. Rosa, che qui di seguito riproponiamo.

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La città di Viterbo - e il Monastero di S. Rosa in particolare - rappresenta un luogo privilegiato per raccontare la vita avventurosa di questa coraggiosa donna del '900 italiano, basti pensare che a questa città sono connesse le storie di diversi personaggi tutti legati da uno stesso filo conduttore. Parliamo ovviamente di santa Rosa, giovane laica penitente vissuta nella Viterbo del XIII secolo, impegnata in un'intensa opera di apostolato pubblico e di azioni caritatevoli tra gli indigenti; passando per Mario Fani, ispiratore ed ideatore di quella Società della Gioventù Cattolica Italiana da cui avrebbe poi preso le mosse l'odierna Azione Cattolica, nonché fondatore del primo avamposto locale intitolato non a caso "Circolo di s. Rosa"; per arrivare infine alla figura di mons. Fiorino Tagliaferri che ha ricoperto l'incarico di Assistente Generale dell'Azione Cattolica (A.C.) italiana prima di essere nominato Vescovo proprio della Diocesi di Viterbo.

Armida Barelli presenta senza dubbio molte affinità con santa Rosa da Viterbo, seppur intercorrano sette secoli di storia tra le loro esistenze. Come afferma la prof.ssa Serafini "esse condividono una profonda ispirazione francescana che si traduce in apostolato laico, attivo; una passione civile scaturita dalla profonda comunione con Dio". Entrambe vissute in epoche complesse, nessuna delle due rinunciò mai a mettersi in gioco per la causa della fede: l'una attraverso l'invito alla penitenza delle coscienze, l'altra attraverso l'evangelizzazione della cultura. A favore della Barelli furono ovviamente il tempo e i mezzi che ebbe a disposizione. La si definisce come "una donna che ha saputo stare in piedi, sostare e abitare in un contesto in cambiamento. La sua vita e la sua personalità sono una testimonianza di come si possa vivere da donna laica dentro la storia del proprio tempo con passione, coraggio e coinvolgimento".

Nel percorso formativo di Armida spicca senz'altro la figura di p. Agostino Gemelli, il quale più tardi dirà di lei che possedeva una personalità tutta sua "frutto di una sintesi tra doti naturali, una formazione umana ricevuta in famiglia e un'apertura alla Grazia soprannaturale". Prima ancora dell'incontro con p. Gemelli furono però gli anni trascorsi presso il collegio svizzero di Menzingen a fornirle quei mezzi intellettuali e spirituali che l'avrebbero "lanciata" verso i suoi futuri impegni pubblici. Fu qui che nacque in lei il germe della vocazione, così come anche una passione crescente per la vita contemplativa; emersero pian piano pure delle innegabili doti organizzative che le sarebbero tornate utili allorquando, alla morte improvvisa del padre, dovette prendere le redini della ditta di famiglia.

La conoscenza di p. Gemelli fu un vero punto di svolta tanto per il suo cammino vocazionale, ormai intriso della spiritualità francescana che egli aveva colto in lei, quanto per la sua passione per il mondo che si sarebbe presto manifestata nella collaborazione al progetto culturale che aveva in mente lo stesso Gemelli. Si trattava di un progetto ambizioso per quell'epoca (siamo nei primi decenni del ‘900), un'epoca in cui il cattolicesimo si poneva ancora ai margini del dibattito pubblico nazionale sin dai tempi della caduta dello Stato Pontificio (1870) e del "Non expedit" pronunciato da Pio IX (1874). L'obiettivo era allora quello di cercare di rinsaldare il tessuto spirituale della società italiana avvicinando tutti i livelli culturali, dal mondo universitario a quello operaio, dai giovani alle donne di tutte le estrazioni sociali, fino alle estreme periferie del Paese. Il tutto doveva avvenire attraverso la promozione di una formazione cristiana capillare e particolareggiata per offrire un pensiero alternativo a quello materialista e positivista allora preminente: formazione religiosa dei laici, nonché dei cosiddetti "consacrati laici" e soprattutto creazione di Opere ed Istituti Secolari, che avrebbero anticipato le novità del Concilio di diversi decenni.

L'intuizione di p. Gemelli di coinvolgere in questo e molto altro la giovane si rivelò estremamente azzeccata come ebbe modo di sottolineare anche la biografa della Barelli: "Dall'inizio del suo apostolato culturale [P. Gemelli] previde quale grande forza sarebbe stata anche in questo campo la donna che, sciolta dai vincoli esterni dell'abito e del convento avesse portato nel mondo il messaggio evangelico con la disponibilità di una laica e l'abnegazione di una religiosa. La signorina Barelli ne aveva la stoffa ..." (Maria Sticco, Una donna tra due secoli, 1967).

Col passare degli anni emerse una progressiva visibilità di A.B. presso il mondo ecclesiale. Grazie al suo impegno costante presso la Diocesi si Milano, nel 1917 venne convocata dal Card. Ferrari a fondare un ramo femminile locale della Gioventù Cattolica. Da lì il passo fu molto breve per arrivare alla chiamata da parte del Papa Benedetto XV (1918) per la fondazione della Gioventù Femminile di Azione Cattolica per tutte le diocesi d'Italia. Benedetto XV aveva compreso che era ormai giunto il tempo di coinvolgere anche le giovanissime all'impegno civile del laicato cattolico nella società italiana. Fu una sfida che la Barelli accettò non senza perplessità ed iniziali resistenze. Uscire dai confini della propria Diocesi ed affacciarsi alla costruzione ex-novo di un'entità che avrebbe dovuto raccogliere associate dalle Alpi alla Sicilia le appariva come un compito fin troppo gravoso, soprattutto in considerazione del fatto che proprio in quegli anni post bellici stava prendendo forma un altro ambizioso progetto che la vedeva impegnata in prima linea al fianco di P. Gemelli, ovvero la fondazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che avrebbe visto la nascita non prima del 1921.

Probabilmente fu durante la sua esperienza con la Gioventù Femminile milanese che ella aveva avuto modo di familiarizzare con la figura del primissimo ispiratore dei giovani cattolici italiani, Mario Fani e quindi con l'ispiratrice di quest'ultimo, la Santa Patrona di Viterbo. Com'è noto, una volta accettato l'incarico, Armida Barelli aveva richiesto al Pontefice di affidarle proprio s. Rosa come patrona della Gioventù Femminile nazionale, poiché ella rispecchiava esattamente i canoni da osservare per "arruolare" le future associate: nella sostanza, essere giovani, laiche, propagandiste della fede. A tal proposito aveva curato l'edizione italiana della biografia di s. Rosa di Leon de Kerval, aggiungendovi pure una sua prefazione dedicata alle "sorelline" della Gioventù Femminile ed aveva organizzato per il 1922 un grande pellegrinaggio nazionale a Viterbo presso il Corpo incorrotto di s. Rosa, in quella Chiesa dove trent'anni più tardi avrebbero trovato la definitiva collocazione anche le spoglie di Mario Fani.

Guidata dunque da quella spiritualità francescana che da sempre imprimeva ogni sua azione, Armida Barelli riuscì ad affrontare entrambe le sfide, della Gioventù Femminile e dell'Università Cattolica, con competenza e tenacia tra le non poche difficoltà che una donna poteva incontrare in quegli anni turbolenti. In un sofferto connubio di azione e contemplazione che la accomunava alla Santa di Viterbo imparò gradualmente a vincere le tensioni interiori che l'affliggevano. Diceva di sé stessa: "Più vivo e più pungente si è fatto l'assillo di perfezionarmi, più acuto e doloroso il contrasto fra tanto bisogno di quiete e solitudine onde sviluppare la vita interiore e tanto lavoro esterno che occupa tutte le ore della giornata e parecchie della notte".

Quello della Gioventù Femminile fu infatti un impegno oneroso, che tuttavia la Barelli assunse fino ad età avanzata, per poterlo traghettare all'uscita dal secondo terribile conflitto mondiale. Nel 1946, in considerazione della enorme esperienza maturata, venne infine chiamata a dare un suo ultimo contributo in seno all'Azione Cattolica, ricoprendo per un triennio la carica di Vice Presidentessa Generale, prima di spegnersi dopo una lunga malattia nel 1952.

Col mutato scenario storico del secondo dopoguerra, di fatti, il mondo cattolico avrebbe giocato un ruolo da protagonista nella partita politica nazionale che si stava avviando e i cui effetti si sarebbero avvertiti per i successivi decenni. Nel 1962 il Concilio Vaticano II portò tutta una serie di innovazioni per l'associazionismo laicale cattolico. In breve tempo nacquero diverse nuove formazioni associative ed anche l'Azione Cattolica conobbe una fase di rinnovamento «» importante. Scomparvero le varie sezioni maschili e femminili, compresa la Gioventù Femminile, in seno ad una razionalizzazione della struttura organizzativa e soprattutto, sulla scia dello spirito del rinnovamento conciliare, si avviò la stagione della cosiddetta "scelta religiosa", ovverossia quella di occuparsi della formazione delle coscienze dei laici cristiani, senza collateralismi partitici. Tale linea inaugurata sotto la presidenza dell'A.C. di Vittorio Bachelet, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980, ebbe come ultimo importante testimone mons. Fiorino Tagliaferri che assunse la carica di Assistente Generale dell'A.C. dal 1983 al 1987. Al termine "sofferto" del suo mandato, come ricordato da P. Pietro Messa, il passaggio alla guida della Diocesi di Viterbo, voluto da Giovanni Paolo II, che tuttavia mons. Tagliaferri seppe interpretare con grande giudizio ed empatia verso la comunità locale che ne serba tuttora un carissimo ricordo. Riposa anch'egli a Viterbo, presso la Basilica di S. Maria della Quercia.

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