L’archivio monastico conserva la documentazione prodotta dall’ordine religioso di appartenenza. I membri di questi ordini, tutti di voti solenni, si chiamano Regolari o, se di sesso femminile, Monache. Per quanto sempre più frequentemente nel corso dei secoli il sacerdozio e l’apostolato, nelle sue svariate forme, si siano uniti di fatto alla vita monastica, il monachesimo non obbliga alla vita clericale e all’apostolato individuale.
In considerazione della diffusa attività missionaria svolta dagli ordini monastici in età medievale, gli archivi monastici conservano documenti tra i più antichi per la ricostruzione della storia europea. Le carte conservate, spesso trascritte dagli stessi monaci in più copie autenticate, insieme ai volumi dello scriptorium monastico, documentano sia la vita religiosa della comunità sia le responsabilità temporali assunte dai superiori regolari, insieme ai legami che l’ordine sviluppava con le altre istituzioni civili ed ecclesiastiche del territorio in cui sorgeva il monastero.
La documentazione monastica, pertanto, specie quella più antica, offre informazioni di carattere giuridico-politico, economico, artistico e letterario, oltre che pastorale. Nei monasteri, accanto all’archivio, era ordinariamente presente una biblioteca o scriptorium, costituito da testi liturgici, teologici e agiografici, nonché di autori classici latini e greci di vario interesse, dai trattati giuridici e scientifici a quelli di storia, di medicina, di agricoltura, di arte e di musica.
L’evoluzione delle istituzioni ecclesiastiche nel corso dei tempi ha inciso anche nella organizzazione della vita monastica. Attualmente l’organizzazione monastica ha la caratteristica di essere autonoma ossia non centralizzata, essendo autonome (sui iuris) le singole Badie o Priorati conventuali: ciò importa una maggiore ampiezza nei poteri del superiore locale (Abate, Priore), e una minore dipendenza dal superiore generale, se esiste, e inoltre le singole case hanno il proprio noviziato. Il monachesimo attuale può ridursi a cinque tipi: due occidentali (benedettino e certosino) e tre orientali (paolino, antoniano e basiliano).
DOCUMENTAZIONE CONSERVATA
Per dare un’idea delle carte prodotte da un archivio monastico si offre qui un elenco per categorie possibili, sicuramente non esaustivo- L’elenco infatti non tiene conto della particolarità e unicità di ciascun fondo archivistico, che è carattere distintivo di tutti i fondi in generale, e di quello monastico in particolare, perché prodotto e sedimentato da un soggetto che aveva vita autonoma e che gestiva in modo indipendente l’attività spirituale, pastorale, economico-amministrativa di un territorio.
I documenti conservati si riferiscono a:
- fondazione e atti fondamentali: fondazione del monastero, facoltà apostolica, privilegi feudali e della Santa Sede, atti del Capitolo, disposizioni degli abati, dei priori, dei definitori e dei visitatori, registri degli ingressi dei novizi e delle professioni, registri delle ordinazioni sacre;
- governo temporale e spirituale: atti relativi a indulgenze, reliquie, predicazioni, pastorale, testamenti, contratti, inventari dei beni, rendiconti economici, atti notarili, piantine e mappe, copie di sentenze e processi;
- rapporti con altri enti: rapporti con Santa Sede, casa madre, vescovi, curie vescovili, autorità civili;
- studi e memorie: documenti biografici e agiografici, necrologi, incunaboli e libri di teologia, filosofia, libri sacri, cronache, memorie.
- governo temporale e spirituale: atti relativi a indulgenze, reliquie, predicazioni, pastorale, testamenti, contratti, inventari dei beni, rendiconti economici, atti notarili, piantine e mappe, copie di sentenze e processi;
Fin dalle origini del movimento monastico si avvertì la necessità, nei monasteri, di custodire con particolare cura tutto ciò che si riferiva alla vita della comunità e ai suoi diritti, dalla regola istitutiva ai privilegi che avevano permesso la fondazione e lo sviluppo dello stesso monastero. I documenti, affidati a un monaco specificamente a ciò destinato, erano custoditi in scrigni sicuri, le cui chiavi erano custodite presso l’abate.
In considerazione della stabilità e sicurezza dei monasteri e come adattamento di quanto già previsto dalla legislazione romana d’età giustinianea, presto negli archivi monastici furono conservati anche documenti di rilevanza pubblica appartenenti a persone estranee alla comunità o a istituzioni civili.
L’archivista del monastero aveva anche la funzione di trascrivere e confermare (o far confermare da notai) la veridicità degli atti custoditi presso il monastero. Ciò tuttavia non ha sempre garantito l’autenticità di tutta la documentazione monastica, spesso oggetto di più o meno consapevole falsificazione da parte degli stessi monaci al fine di documentare o difendere diritti di possesso, tradizione agiografiche e memorie storiche antiche.
Nel 1727, con la bolla Maxima vigilantia, Benedetto XIII prescrisse l’erezione degli archivi ecclesiastici e impartì norme dettagliate sulla custodia dei documenti e sul loro ordinamento. Per gli archivi monastici dispose che fossero collocati in luoghi adatti e non “humescenti”, con l’obbligo per l’archivista di redigere in duplice copia i documenti, uno da custodire in monastero, l’altro da inviare al superiore maggiore. Tra i documenti obbligatori da conservare l’Istruzione annessa alla Maxima vigilantia elencava gli atti di erezione e fondazione del monastero con la facoltà apostolica ottenuta, il libro in cui si registravano giorno mese anno dell’ingresso dei novizi e della loro professione, i privilegi pontifici, gli strumenti relativi al governo spirituale e temporale come le indulgenze, le autentiche delle reliquie, i testamenti, i contratti, gli inventari dei beni, le copie di sentenze di processi.
Attualmente, dopo le cosiddette “leggi eversive” ottocentesche, non sono molti gli archivi monastici rimasti integri nelle sedi originarie. In maggioranza, infatti, sono depositati presso gli archivi di Stato, spesso smembrati per la distinzione tra fondi pergamenacei e fondi cartacei. Fanno eccezione alcuni stabilimenti ecclesiastici dichiarati monumenti nazionali con la legge 7 luglio 1866, n. 3096, che all’art. 33 prevedeva per il governo l’’obbligo della conservazione di alcuni complessi monumentali e, all’art. 18, comma 7, escludeva dalla devoluzione al demanio e dalla conversione tali complessi (le abbazie di Montecassino, di Cava dei Tirreni, di San Martino della Scala, di Monreale e della Certosa di Pavia; ma la legge prevedeva che altri complessi monumentali potessero ottenere la medesima qualificazione).
Oggi, in genere, presso i monasteri esistono archivi costituitisi dalla fine del XIX secolo, ma spesso con tracce dell’antico patrimonio archivistico o scampato all’incameramento o recuperato sul mercato antiquario.
BIBLIOGRAFIA
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