Con l’espressione mensa vescovile si indica il complesso di beni mobili e immobili destinati al mantenimento del vescovo e della curia diocesana.
Mensa era detta l’entrata o rendita destinata al sostentamento del vescovo e dei suoi “familiari”, del Capitolo, dell’abbazia, del monastero, di una qualsiasi comunità: per questo si distingueva tra mensa vescovile, mensa capitolare, abbaziale, monastica, ecc.
Secondo il Codice di diritto canonico del 1917, il vescovo aveva diritto di percepire i redditi della mensa vescovile dall’atto di insediamento della sua sede, ovvero dal giorno in cui prende possesso della diocesi (Codice di diritto canonico 1917, can. 348 § 2).
Ne diventava, quindi, il legale rappresentante sia in ambito canonico che civile (cann. 1572 § 1, 1653 § 1).
Era invitato, tuttavia, a riservare parte delle rendite al mantenimento del Seminario diocesano (can. 1356 § 1).
Il Codice indica anche i criteri per l’amministrazione delle proprietà che costituiscono questa rendita. In particolare, il vescovo è tenuto a una attenta amministrazione dei beni, compreso l’onere di conservare in buono stato la casa vescovile, e a mantenere distinte le proprietà personali da quelle della mensa.
La mensa vescovile è scomparsa con l’entrata in vigore degli Accordi di revisione del Concordato Laternanese del 1984. Le sue funzioni sono svolte attualmente dall’Istituto per il sostentamento del clero, che ne ha assunto l’antico patrimonio e la cura dei fini.
DOCUMENTAZIONE PRODOTTA
Le carte prodotte nell’amministrazione della mensa vescovile sono in genere tra le più antiche, quelle che conservano al loro interno il cosiddetto “diplomatico”, cioè la collezione documentazione pergamenacea, comprovante atti, privilegi e diritti. Si tratta di pergamene contenenti atti notarili, sentenze, procure, bolle, brevi e lettere pontificie o di altre autorità civili ed ecclesiastiche.
Il fondo della mensa vescovile è costituito essenzialmente da carte relative all’amministrazione dei beni come vendite, permute, livelli, inventari, cause civili.
Talvolta alle serie documentarie proprie della mensa possono essere state aggregate impropriamente altre serie, prodotte dai vescovi o aggiunte nei riordinamenti archivistici successivi, che, ove possibile, andrebbero correttamente ricondotte al complesso di appartenenza.
LA STORIA
La nascita e l’evoluzione della mensa vescovile sono legate allo sviluppo del beneficio ecclesiastico, cioè il sistema di origine feudale attraverso il quale un chierico usufruiva delle rendite di un patrimonio specificamente destinato all’espletamento di un ufficio ecclesiastico, di cui non diventava mai proprietario, ma che al termine dell’incarico o alla sua morte ritornava nella disponibilità del “patrono” (laico o ecclesiastico che fosse) per passare a un nuovo “beneficiato”.
Dall’epoca di papa Gelasio, tra V e VI secolo, le rendite della Chiesa locale erano solitamente divise in quattro “porzioni”: per il vescovo, per il clero, per i poveri, per la cura degli edifici sacri.
La portio episcopi si andò meglio definendo secondo il diritto feudale, con una netta distinzione dal patrimonio del clero dalla cattedrale, amministrato separatamente dal Capitolo.
Dal XIII secolo in avanti l’organizzazione giuridico-amministrativa della mensa vescovile si definì in maniera stabile e così sarebbe sostanzialmente rimasta per tutta l’età moderna. La Mensa, riconosciuta dalle autorità ecclesiastiche e civili, ma non sempre nel pacifico possesso dei vescovi e costantemente oggetto di liti giudiziarie, veniva gravata da tributi e pensioni e risentiva della maggiore o minore cura amministrativa a essa riservata dai vescovi, non sempre presenti in diocesi e perciò spesso obbligati a servirsi di amministratori per la tenuta di questo patrimonio.
Dopo i tentativi ottocenteschi di incameramento da parte delle autorità statali dei patrimoni ecclesiastici, l’amministrazione della Mensa vescovile trova spazio (molto limitato) nel Codice di diritto canonico pio-benedettino del 1917, che ne ribadisce l’uso esclusivo per il mantenimento del vescovo. L’istruzione della Sacra Congregazione Concistoriale circa le Norme per l’amministrazione delle Mense vescovili in Italia del 30 giugno 1934 definiva più articolatamente il modo della gestione patrimoniale del beneficio.
Con il Concordato Lateranense del 1929 e le conseguenti leggi attuative, lo Stato italiano confermava il riconoscimento dei benefici eretti dall’autorità ecclesiastica.
La mensa vescovile è scomparsa con l’entrata in vigore degli Accordi di revisione del Concordato Laternanese del 1984, che hanno comportato la fine dell’antico sistema beneficiale. Le sue funzioni sono svolte attualmente dall’Istituto per il sostentamento del clero, che ne ha assunto l’antico patrimonio e la cura dei fini.
BIBLIOGRAFIA
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