Diocese of Teramo-Atri
HISTORY
I - Origini
Secondo la tradizione la diocesi di Teramo è stata costituita in epoca apostolica: «Lumen Evangelii hausit iam inde Apostolorum temporibus, dignitateque Episcopali ab iisdem insignita est» (Ughelli).Tale affermazione non è supportata dalle fonti e, peraltro, non è attestato un culto martiriale fondato storicamente.
All’ambito monumentale pertiene la testimonianza più remota: le vestigia della basilica bizantina di Santa Maria Aprutiensis, edificata nel VI . sui resti di una domus privata romana del III sec., dalla molteplice stratificazione, oggi denominata Antica cattedrale o chiesa di Sant’Anna e con una struttura superstite riconducibile alla mescolanza di stili tipica delle chiese abruzzesi del XII . La bolla di papa Anastasio IV al vescovo Guido II (27 novembre 1153) indicava: «La Chiesa di Santa Maria sia considerata chiesa madre come lo è stata sino a questo momento e ivi rimanga la sede episcopale».
La fonte inoppugnabile, che testimonia l’antichità del vescovato aprutino, è la lettera di Gregorio Magno a Passivo, vescovo di Fermo, del novembre 601: «Bene novit fraternitas vestra, quam longo sit tempore Aprutium pastorali solicitudine destitutum … Opportunus … ad pastoralem curam debeat promoveri».
In una lettera precedente, riferendosi ad Anione, conte Castri Aprutiensis, Gregorio scriveva al vescovo di Fermo circa i territori aprutini «in qua visitationis impendis officium».
Le due lettere testimoniano che la sede era vacante almeno dal 598, forse a causa dell’invasione dei longobardi (Lanzoni), testimoniano inoltre la presenza di un amministratore apostolico in assenza del titolare e l’esistenza di vescovi precedenti al laico Opportuno (602), che venne designato vescovo dopo aver maturato la necessaria preparazione.
La lettera seguente, sempre del novembre del 601, è indirizzata direttamente a Oportuno de Aprutio, primo vescovo teramano di cui si conosce il nome.
Dopo una notevole interruzione la serie riprende con Sigismondo, presente all’incoronazione di Lodovico III, celebrata da Sergio II (844).
II - Dal Medioevo al concilio di Trento
Il mutamento del termine Aprutium, derivato dal romano Pretutium e poi passato a indicare l’intera regione, in Teramo, trasformazione onomastica di Interamnes, risale al XII . L’Aprutio fu annesso al Ducato di Spoleto sotto i longobardi.La distruzione gota e longobarda di Teramo fu causa del trasferimento della sede vescovile e della pieve cittadina ad castro in sancto Flaviano sin dall’XI . La contea aprutina, distaccatasi dal Ducato di Spoleto, ebbe nel XII . un ruolo rimarchevole nell’alto Medioevo configurandosi, durante la dominazione normanna, quale anello di congiunzione tra il Regno di Napoli e l’antico Piceno.
La riforma di Federico II vide Teramo congiunta al Giustizierato de Aprutio, con centro Sulmona.
La prima menzione di una sede episcopale aprutina risale all’886: Episcopus Sedis sancte aprutiensis (Cartularium).
Il patrono della diocesi è Berardo dei conti di Pagliara, vescovo di Teramo (1116-1122), menzionato dal cardinale Baronio negli Annales: «brillò di non comune santità e fu famoso per i miracoli, come i fatti della sua vita dimostrano».
Durante la dominazione normanna, fu vescovo Guido II (1123-1170) quando, tra il 1155 e il 1156, Teramo fu rasa al suolo dal conte di Loretello, Roberto di Basavilla.
Il vescovo fu considerato il secondo fondatore poiché a lui si deve la riedificazione della città.
Nel 1158 Guido II diede inizio alla costruzione della nuova cattedrale in stile romanico con il nuovo episcopio e re Guglielmo I concesse a lui e ai suoi successori, in pieno dominio feudale, la città e i territori aprutini sotto il titolo di signoria e di principato.
Guido II ottenne infine le garanzie territoriali definitive della diocesi.
L’estensione del vescovato si ritrova nella ricordata bolla di papa Anastasio IV a Guido II del 27 novembre 1153: «qui videlicet fines, a capite Gomani, per ipsam summitatem montium usque ad rivum qui decurrit inter Esculanum Comitatum, et Aputinum, et per Carrufam, usque trans fluvium Tronti, ad confinium quod ibi decernitur, usque in mare, et per littus maris usque ad fluvium Gomani esse cernuntur», ossia i confini erano così delimitati: a nord i fiumi Tronto e Salino, che lo dividevano dalla diocesi di Ascoli; a sud il fiume Vomano, al di là del quale si trovava la diocesi di Penne; a est il mare Adriatico; a ovest, i monti della Laga che lo dividevano dalla diocesi di Aquila e di Rieti.
I vescovi che si avvicendarono continuarono la ricostruzione e il ripopolamento della città dove scelsero di risiedere.
Un elemento determinante era la liberalità del vescovo, che garantiva l’esenzione dalle tasse.
Durante il vescovato di Rainaldo Acquaviva (1300-1317) si registrò la fine della piena signoria sulla città e della elezione del vescovo da parte del popolo.
Nel XIII-XIV . i patronati popolari erano trentasei, i patronati feudali ventiquattro, i patronati del capitolo aprutino nove e uno era il patronato comunale.
Durante il Medioevo vari furono i legami tra il teramano e l’ordine monastico benedettino che vantava vastissimi possedimenti sul territorio con la presenza di numerosi monasteri e chiese tra le quali: San Clemente al Vomano fondato nell’875 da Ermengarda, figlia di Lodovico II, Santa Maria a Mare, San Pietro a Campovalano, San Pietro ad Azzano, San Nicolò a Tordino, San Benedetto a Teramo, Sant’Angelo a Marano, il monastero femminile di San Giovanni a Scorzone ecc.
Una bolla di Bonifacio VIII (15 maggio 1297) diretta a fra Matteo da Chieti faceva riferimento alla presenza di focolai ereticali «qui bizochi seu alio nomine se appellant» rifugiatisi «in montibus aprutinis seu in illis finibus Aprutii et Marchie Anconitane».
Interessante, nel milieu religioso del XIII e XIV sec., fu la presenza delle confraternite de’ Flagellanti o de’ Battuti a Teramo e Montorio.
Il vescovo, oltre a esercitare il potere spirituale, esercitava quello temporale, come si evince dall’intestazione e dalla firma degli atti e dei decreti sino al 1948: Episcopus Aprutinus, Princeps Terami, baro Roccae s. Mariae, comes Bisemnii...
Il titolo di principe fu usato per la prima volta dal vescovo monsignor Campano (1462-1477) in una bolla del 1476 (Palma).
Dello Stato temporale del vescovato non sono più reperibili i diplomi costitutivi, ma a darne prova e memoria è il Cartularium della Chiesa aprutina, codice latino del XII sec., il documento più antico dell’archivio diocesano, in cui si rinvengono le copie di placiti, donazioni, concessioni e permute dall’861 al 1179.
Un Placito in s. Flaviano (marzo dell’897), tenuto dai messi dell’imperatore Lamberto, riporta l’estratto di un diploma carolingio di donazione di Carolus imperator.
Il potere secolare del vescovo di Teramo si fa pertanto risalire alla fine del IX . ma la potenza del conte di Apruzio impedì forse al vescovo aprutino di divenire conte di tutta la sua diocesi.
Risultano infatti undici i feudi assegnatigli nel Catalogo normanno (F.
Savini).
Grazie al Cartularium, a eccezione di qualche lacuna, è stato possibile stilare la sequenza dei vescovi in modo continuativo sino a oggi.
Il potere del vescovo si estendeva mentre i conti abbandonavano la città e i castelli circostanti donandoli alla diocesi, non perdendo tuttavia la supremazia feudale.
Il vescovo, sino alla fine del XII sec., possedeva ufficiali propri in temporalibus, riscuoteva prestazioni in natura amiscere, riceveva il giuramento di difesa del conte di Aprutio.
Nel XIII . fu proprio il vescovo a emanare gli editti che concedevano le libertà civili alla popolazione e nel 1207 fu monsignor Sasso (1205-1221) a cedere al podestà e ai giudici il potere di giudicare e punire i reati.
Ciononostante la Chiesa aprutina continuò a esercitare la sua supremazia, investita di pieni diritti feudali, e le concessioni erano inerenti alla sfera personale e patrimoniale dei sudditi, conservando il «giusto servizio» dovuto all’episcopato.
Era il vescovo a confermare i giudici delle cause civili e a eleggere quelli delle seconde cause sino al 1806 quando perse ogni potere feudale, a fungere da tribunale d’appello per le sentenze del giudice civile, a riunire il parlamento generale del comune.
Sul territorio a lui soggetto a titolo feudale il vescovo aveva la «cognizione delle cause civili, criminali e miste col mero e misto imperio e con la potestà della spada» (G. Di Francesco, C. Cappelli).
Tale potere trovò una rappresentazione emblematica nella cosiddetta «messa armata », privilegio che si suppone concesso al vescovo da Guglielmo I insieme alla signoria di Teramo e al titolo di principe.
Durante la prima messa celebrata dal vescovo e nelle grandi solennità egli indossava una spada a tracolla sopra la pianeta e sull’altare o di lato a esso, insieme agli arredi pontificali, venivano posti un fascio di dardi, loriche, bandiere e armi bianche con altri emblemi militari: «Pontificando è tutto armato e vestito di ferro, tiene sulla mensa dell’altare alcune armi, e all’elevazione fa esplodere una pistola» (Moroni).
Anche al concilio di Trento il vescovo di Teramo celebrò tale rito (BAV, Vat. Lat. 8333) e l’Ughelli specifica: non sine admiratione Patrum.
Il primo vescovo a esercitare tale diritto fu Attone I (1174-1205), l’ultimo Girolamo Figini Oddi (1638-1659) nel 1639.
Tra i vescovi memorabili del XV . figura il beato Antonio Fatati (1460-1463), cappellano maggiore di Niccolò V e consigliere di re Alfonso.
Riformò le Costituzioni del capitolo, effettuò la visita pastorale e celebrò il sinodo.
Fu diligente circa la residenza, nonostante l’incarico di tesoriere e governatore della marca e poi di vicario generale di Siena.
Giovanni Niccolò Campano (1463-1477), ma residente solo dal 1473, fu un celebre umanista e rimase famoso il suo assioma: Cultura salvabitur orbis; svolse una intensa opera di pacificazione nella città divisa in due opposte fazioni: Melatini e De Valle.
A lui si deve la prima descrizione di Teramo, in una lettera del 1475 al suo amico cardinale Ammannati.
Nel concludere il Campano fa accenno ai privilegi del vescovo: «Il vescovo della città ha questo di dignità che gli è lecito di cacciare e portar l’asta e lo spiedo da caccia, e, se fa d’uopo, andare armato, vestire di porpora, eziandio stabilire giudici a esaminare le cause, a fare testamenti e formare i registri dei conti.
Le quali cose, tranne il solo re, a nessun altro è permesso in tutto il regno».
Nel XVI . degno di menzione è Francesco Chierigatto (1522- 1539), nunzio apostolico e legato pontificio alla Dieta di Norimberga, che ottenne dal papa la conferma di tutti i privilegi ma si fece esentare dalla «messa armata».
Bernardino Silverii Piccolomini (1542-1545), nipote di Pio II, ottenne da Carlo V il divieto per il governatore di ingerirsi nella giurisdizione dei feudi della Chiesa.
Il nipote Giacomo divenne vescovo a soli venticinque anni (1553-1582) e fu compilatore di alcuni canoni del concilio Tridentino riguardanti il sacrificio della messa.
Istituì la festa della pace che veniva celebrata nella domenica in Albis per ringraziare la Vergine e san Berardo del ristabilimento della pace.
III - Dal periodo post-tridentino all’epoca contemporanea
A causa della limitazione dei poteri vescovili dovuta a una stratificazione storica di varie e particolari giurisdizioni che risalivano alla liquidazione della proprietà benedettina, in sieme a ingerenze esterne legate alla creazione di diocesi estere come Ripatranzone (1571), Montalto (1586), la presenza delle prelature nullius governate dagli Acquaviva dal 1530 sino al 1795 (Mosciano, Morrodoro e Notaresco) e la scissione di Campli (1600), che procuravano l’incameramento di censi e la sottrazione di luoghi, l’applicazione dei decreti tridentini venne avviata in ritardo.Fu inevitabile lo scontro tra la curia teramana, che mirava al contenimento o alla soppressione dei luoghi esenti, e il fenomeno di rifeudalizzazione in atto.
Molto attivo in tal senso fu il vescovo Vincenzo Montesanto (1592-1608), domenicano, proveniente dalla curia e dal Santo Ufficio, nel perseguire due obiettivi: il recupero delle proprietà usurpate (tre castelli e ventidue paesi, ASV, Relativo ad Limina, 1597) e la revisione dei diritti di giurisdizione spirituale avanzati dal vescovo di Montalto.
Il suo impegno fu costante nel riordinare la diocesi, anche riguardo al malcostume e alla superstizione.
Sul finire del Cinquecento vanno rilevati l’abbandono delle campagne, il banditismo, le numerose pestilenze, le carestie e le ingenti tassazioni che gravavano sulla popolazione.
Oltre alle visite pastorali, il Montesanto celebrò un sinodo (1596), il cui principio ispiratore fu la salus animarum.
Egli istituì il seminario per la formazione e il disciplinamento del clero e provvide a emanare un regolamento per il miglior funzionamento dell’ospedale di Sant’Antonio.
Il risultato tuttavia, per l’aggressività della reazione feudale e l’ostilità del potere civile ma anche per un certo irrigidimento del clero, venne a configurarsi dopo la sua morte in senso discendente sia sul piano patrimoniale sia della giurisdizione spirituale.
Nel 1597 la Congregazione concistoriale aveva decretato lo smembramento di Campli dalla diocesi aprutina e la sua unione con quella di Montalto.
Con la bolla Pro Excellenti praeminentia Clemente VIII fondò la nuova diocesi di Campli che fu reincorporata nel 1818 da Pio VII con la bolla Utiliori Dominicale vinae.
Nel 1600 Teramo annoverava una prepositura con cura d’anime con un dignitario e tre canonici, il capitolo cattedrale con un dignitario e quindici canonici; sette conventi (minori conventuali fondati nel XIII sec., domenicani, eremitani agostiniani, minori osservanti riformati; nel 1583, carmelitani; nel 1578, cappuccini; nel 1543, crociferi) e due monasteri (benedettine), di cui uno abbandonato; nove confraternite (Santissimo Sacramento, Rosario, Santa Maria della Misericordia, Annunciazione, Grotta, San Carlo, San Giusto, Crocefisso, Spirito Santo); un ospedale dei pellegrini.
Si registra il tentativo di introdurre i gesuiti da parte del Piccolomini e i padri della dottrina cristiana dal successore monsignor Ricci (1582-1592), ma essi fallirono.
Originario di Civitella del Tronto era il gesuita Bruno Bruni di Santa Croce, per quindici anni vissuto in Etiopia dove morì martire nel 1640.
L’agostiniano Giambattista Visconti (1609-1638) effettuò quattro visite pastorali, promosse l’istruzione religiosa del popolo e costituì un fondo per le ragazze povere.
A Giuseppe Armeni (1670-1693) si deve l’erezione del seminario con decreto del 31 maggio 1674.
Sul finire del XVIII . venne eletto vescovo Luigi Maria Pirelli (1772- 1804), teatino, che celebrò il sinodo nel 1781, reincorporò i territori di Mosciano, Notaresco e Morrodoro e istituì la biblioteca, fu dedito ai poveri e, durante l’invasione napoleonica, preferì l’esilio.
Michele Milella (1859-1888), domenicano, priore della chiesa della Minerva, fu prefetto della biblioteca Casanatense e visse il difficile periodo della fine del Regno di Napoli e la proclamazione del Regno d’Italia.
All’inizio del Novecento notevole fu l’operato di Alessandro Beniamino Zanecchia-Ginnetti (1902-1920), carmelitano scalzo che curò il seminario e fu attento alla formazione del clero, celebrò due sinodi, nel 1906 e nel 1919, fondò «L’Araldo Abruzzese » e restaurò la cattedrale ripristinando l’impianto primitivo.
La sua impostazione è stata fondamentale per i successori, tra i quali Antonio Micozzi (1927-1944) che portò a compimento i lavori della cattedrale di Santa Maria Assunta.
Durante il suo episcopato Teramo fu sede nel 1935 dell’XI congresso eucaristico nazionale.
Gilla Vincenzo Gremigni (1945-1952) profuse un’azione incisiva in campo sociale, indisse due visite pastorali e una terza nella diocesi di Atri, unita aeque principaliter da Pio XII il 1° luglio 1949 con la costituzione apostolica Diocesium circumscriptiones.
Il 24 gennaio 1950 la Congregazione concistoriale dismembrò ventisette parrocchie della diocesi di Penne aggiungendole a Teramo.
Il 30 settembre 1986 la Congregazione per i vescovi decretò la piena unione delle due diocesi con la denominazione diocesi di Teramo-Atri.
Stanislao Amilcare Battistelli (1952-1967) fu presente a tutte le sessioni del concilio Vaticano II.
La diocesi di Teramo è costellata di numerosi santuari mariani tra i quali Santa Maria a Vico, la chiesa romanica più antica d’Abruzzo (X sec.) che conserva l’antica struttura, ma il santuario meta di numerosi pellegrinaggi è quello di San Gabriele dell’Addolorata di Isola del Gran Sasso, concesso nel 1847 ai padri passionisti.
San Gabriele, canonizzato il 13 maggio 1920, nel 1953 fu proclamato da Pio XII patrono della diocesi di Teramo e Atri e nel 1959 lo fu di tutto l’Abruzzo da Giovanni XXIII.
Giovanni Paolo II ne inaugurò la cripta a conclusione del congresso eucaristico diocesano celebrato da monsignor Abele Conigli (1967-1988), grande promotore del rinnovamento conciliare e sotto il cui episcopato si registrò una fioritura di nuove aggregazioni, associazioni e movimenti ecclesiali come la nascita del Movimento diocesano (1979), ulteriore diramazione dell’Opera di Maria.
Antonio Nuzzi (1988-2002) dal 1996 al 1999 ha effettuato la visita pastorale culminando con le celebrazioni del Giubileo del 2000.
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Mappa
Diocese of Teramo-Atri
Chiesa di Santa Maria Assunta
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La facciata principale della cattedrale di San Berardo a Teramo -
La facciata posteriore della cattedrale di San Berardo a Teramo -
Veduta dell’aula dall’ingresso -
L'antependium di Teramo, paliotto d’argento dorato per l’altare maggiore della Cattedrale, opera di Nicola da Guardia... -
Il portale della facciata posteriore della cattedrale di San Berardo a Teramo
Diocese
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.