Diocese of Fermo
HISTORY
Gli autori latini attestano che Fermo era un centro di notevole importanza e, nell’ambito della civiltà picena, aveva avuto un ruolo significativo.Roma la conquistò verso il 264 a.C.
e ne fece una sua colonia.
Sulla questione della diffusione del cristianesimo nel Piceno e a Fermo, il Lanzoni sostiene che il principale centro di irradiazione verso le nostre zone sia stato Roma; molti indizi ce lo fanno supporre e in particolare il fatto che molte tombe di martiri sono collocate lungo le strade consolari Salaria e Flaminia che sfociano nel Piceno; ciò però non toglie che in alcune zone costiere la nuova religione sia giunta dall’Oriente, come a esempio ad Ancona.
Serafino Prete, pur accettando la tesi del Lanzoni, avanza un’altra ipotesi, almeno per quanto riguarda il Piceno meridionale.
Secondo lui, l’evangelizzatore di tale zona sarebbe stato san Marone; non accetta però la data del suo martirio che la Passio di Nereo e Achilleo assegna sotto l’impero di Nerva (96-98).
Secondo l’autore, invece, è plausibile inquadrare il martirio del santo durante l’ultima persecuzione, quella di Galerio, alla fine del III . Il Palanque afferma che nel IV . nella V Regio Picenum sono documentate le diocesi di Potentia, Ancona, Auximium e Tolentinum; il Lanzoni ne aggiunge altre: Truentum, Falerio, Pausala, Cluentum e Urbs Salvia.
Il Palanque, comunque, osserva che l’elenco delle diocesi del Piceno doveva essere ben più lungo.
Tutte queste considerazioni rendono plausibile l’ipotesi formulata da Harnack, secondo il quale nel IV . sarebbero esistite nel Piceno almeno quindici comunità cristiane organizzate e guidate da un vescovo, e aggiunge che tra di esse vi doveva essere anche quella di Fermo.
Alcuni indizi monumentali, infatti, confermano l’ipotesi dell’Harnack: innanzitutto il sarcofago paleocristiano che si conserva nella cripta della cattedrale e che gli studiosi fanno risalire al IV . Inoltre gli scavi archeologici, eseguiti sotto il pavimento della cattedrale tra il 1936 e il 1940, hanno portato alla luce una chiesa paleocristiana risalente ai primi decenni del V sec., di notevoli dimensioni e con una zona absidale di tutto rispetto, il che farebbe pensare a una chiesa episcopale.
Ben più difficile è individuare chi fosse il primo vescovo di Fermo.
Michele Catalani (nel De Ecclesia firmana) apre la serie dei vescovi fermani con due martiri: Alessandro e Filippo; il primo avrebbe subito il martirio sotto Decio nel 248 circa, l’altro sotto Gallo, circa nel 251-253.
Il Catalani poggia la sua tesi sul riferimento al martirologio romano compilato dal cardinale Baronio (XVI sec.).
Il Prete in un suo attento studio ha dimostrato che l’esistenza storica dei primi due vescovi di Fermo è priva di ogni credibilità.
Il primo vescovo di Fermo, attestato da documenti certi, lo si può individuare solo nell’ultimo ventennio del VI . Da una lettera di papa Gregorio Magno, datata verso il 596, si deduce che intorno al 580 un certo Fabio reggeva la Chiesa fermana in un periodo funestato da invasioni barbariche.
La città aveva subito gravi devastazioni e il chierico Passivo, catturato con la sua famiglia, fu riscattato con il denaro prelevato dal tesoro della Chiesa; il vescovo fu costretto ad assicurare il patrimonio della Chiesa depositandolo presso la chiesa anconetana.
In un’altra lettera del papa del 598 troviamo che vescovo di Fermo era proprio quel Passivo che era stato riscattato da Fabio; resse la diocesi fino al 602 e ricevette dal papa l’incarico di ispettore della diocesi di Teramo, allora vacante.
Tra il VII e l’VIII . il Catalani elenca tre vescovi; tuttavia la loro presenza sulla cattedra fermana non è suffragata da alcun documento.
Invece, alla fine del IX sec., da un rescritto di papa Giovanni VIII dell’879 sappiamo che vescovo di Fermo era un certo Eodicio, al quale il papa aveva commesso l’incarico di risolvere un caso di monacazione forzata, verificatosi nella diocesi di Teramo.
Fino alla fine del X . non si hanno notizie provate da documenti di altri nomi di vescovi a Fermo.
Dal 977 in poi la serie di vescovi si snoda in modo documentato e regolare; infatti la documentazione locale, costituita dal Liber jurium episcopatus Firmi (codice 1030) e i Registri collationum, esistenti nell’archivio diocesano e che partono dall’inizio del XV sec., ci consente di formulare una sufficientemente precisa cronotassi dei vescovi di Fermo.
All’epoca della riforma gregoriana si distinse il vescovo Udalrico (1057-1073), con cui san Pier Damiani era in rapporto per attuare la riforma nelle nostre zone.
All’insorgere della lotta tra il Barbarossa e Alessandro III, la sede fermana era occupata dal vescovo Balignano (1145-1167), che si schierò per l’imperatore e prestò obbedienza all’antipapa Vittore IV.
Nella fase finale della lotta tra i due poteri era vescovo Presbitero (1184-1202), personaggio di grande spessore religioso e culturale, compagno di studi e amico di Thomas Becket.
Egli lavorò intensamente per riportare all’obbedienza alla Sede apostolica i territori che a essa aveva sottratto l’imperatore Enrico VI.
Dalla raccolta documentaria Rationes decimarum Marchiae, curata da P.
Sella, si possono ricavare dati interessanti sull’aspetto istituzionale della diocesi di Fermo nella seconda metà del XIII sec.: nel suo territorio si contavano 167 chiese di cui nove monastiche e quindici pievi.
Il dato riveste un certo interesse in quanto evidenzia il lavoro di penetrazione cristiana e di evangelizzazione delle popolazioni.
Durante il corso del secolo, nei principali centri della diocesi si stabilirono tre ordini: francescani, domenicani e agostiniani, che contribuirono a dare impulso alla vita religiosa.
Nel periodo avignonese la Chiesa fermana ebbe una vita tormentata con riflessi negativi sul piano della disciplina ecclesiastica e della vita religiosa delle popolazioni.
La parentesi si chiuse con l’elezione a vescovo del dotto e pio teologo domenicano Giacomo da Cingoli (1334-1349).
Durante il grande scisma d’Occidente, parallelamente ai tre papi che si contendevano la Sede di Pietro, a Fermo ci furono contemporaneamente tre vescovi, ciascuno nominato da uno dei tre papi.
Nel XV . anche a Fermo invalse la prassi di affidare il governo della diocesi in commenda a eminenti personalità della curia romana; questi amministratori ne godevano i proventi, ma non erano quasi mai presenti in sede.
Fortunatamente a Fermo furono destinati a reggere la diocesi personalità di prestigio che mostrarono interesse e attenzione ai problemi della Chiesa: Domenico Capranica (1425-1458), Nicola Capranica (1458-1573) e, allo scadere del secolo, Francesco Piccolomini (1483- 1503), eletto poi papa col nome di Pio III.
Nei primi cinquant’anni del Cinquecento il governo della diocesi fu affidato in commenda a cardinali della famiglia fiorentina dei Salviati, imparentati con i Medici; la chiesa fermana risentì gravemente del fenomeno della mondanizzazione.
Concluso il concilio di Trento, l’opera riformatrice fu intrapresa da due vescovi: Lorenzo Lenti (1549-1571), che risiedette costantemente in sede, e il cardinale Felice Peretti (1571-1577), eletto papa nel 1585 con il nome di Sisto V.
Gli strumenti usati da questi due presuli per ottenere l’applicazione dei decreti tridentini furono due: le visite pastorali attente e accurate, e la celebrazione di frequenti sinodi diocesani.
In un’assise sinodale del 1564 monsignor Lenti pose le basi per l’istituzione del seminario.
Il cardinale Peretti realizzò in pochi anni una profonda riforma delle istituzioni ecclesiastiche e una coraggiosa opera di restaurazione della vita religiosa.
Nel 1589 Sisto V elevò la chiesa fermana alla dignità metropolitana.
Tuttavia nella seconda metà del XVI . l’opera di riforma rimase per lo più a livello formale e di principio.
Il XVII sec., invece, fu il periodo nel quale le disposizioni del concilio di Trento vennero calate a livello di azione pastorale e quindi applicate su vasta scala; otto furono gli arcivescovi che governarono la diocesi nel Seicento.
Si distinsero per l’efficacia delle iniziative intraprese: Pietro Dini (1621-1625), Giovanni Battista Rinuccini (1625-1653), Giannotto Gualtieri (1658-1673) e Baldassarre Cenci (1697-1709).
Nel corso del secolo si pose mano alla formazione culturale e spirituale del clero, alla promozione della vita religiosa e alla istruzione catechistica del popolo, alla creazione di numerose e diffuse istituzioni assistenziali e caritative.
L’impegno dei vescovi e del clero fu assecondato e sostenuto dall’opera svolta da due congregazioni religiose: la Compagnia di Gesù e gli oratoriani di san Filippo Neri.
Due eminenti figure di arcivescovi coprono quasi completamente il XVIII sec.: Alessandro Borgia (1724-1764) e il cardinale Urbano Paracciani (1765-1783).
Il primo, trasferito a Fermo da Nocera Umbra, grande amico di Benedetto XIII, tenne un concilio provinciale e tre sinodi, compì ben cinque visite pastorali, ispezionando anche le più sperdute località della vasta diocesi; fu in relazione con i più grandi eruditi e letterati dell’epoca, raccolse, disponendone il riordino, le antiche carte della diocesi, eseguì un radicale restauro del palazzo arcivescovile.
Il cardinale Urbano Paracciani si dedicò con particolare cura al riordinamento e al potenziamento delle istituzioni benefiche e in particolare di quelle montizie, sia frumentarie che pecuniarie.
Allo scadere del suo episcopato decise di demolire l’antica cattedrale gotica e di ricostruirne una nuova di stile neoclassico.
La contestatissima impresa da lui iniziata fu portata a termine dal successore, Andrea Minucci (1783- 1803).
Quest’ultimo dovette affrontare la difficile situazione creata dalla prima occupazione francese.
Ben 69 anni del XIX . sono coperti da due arcivescovi: il cardinale Cesare Brancadoro (1803-1837) e il cardinale Filippo De Angelis (1842-1877); molto importante e significativo fu anche il governo episcopale del cardinale Gabriele Ferretti (1838-1842) e del cardinale Amilcare Malagola (1877-1895).
Fermano di origine e legatissimo alla sua città, Brancadoro, per la sua fedeltà alla Santa Sede, dovette subire una lunga e sofferta deportazione in Francia per ordine di Napoleone; dal 1808 al 1817 restò lontano dalla diocesi.
Fiaccato nello spirito e malandato nella salute, diventò cieco nel 1825 e quindi fortemente condizionato nell’azione pastorale e di governo.
La situazione della diocesi si fece difficile; ne risentì in particolare la disciplina del clero e in grande misura la stessa azione pastorale.
Il successore, cardinale Ferretti, dovette usare il pugno duro per riportare l’ordine e la disciplina e per far riprendere l’azione pastorale del clero, specialmente sul piano dell’insegnamento religioso del popolo.
La fermezza e il rigore usati gli procurarono più di una inimicizia al punto tale che decise, contro il parere dello stesso Gregorio XVI, di rinunciare al governo della diocesi dopo appena quattro anni di episcopato.
Seguì il lungo ministero del cardinale De Angelis, figura di primo piano nella storia della Chiesa nell’Ottocento per il grande rilievo che ebbe in seno al Sacro Collegio durante tutto il periodo di Pio IX.
Il suo episcopato fermano fu dolorosamente segnato dalle vicende del Risorgimento: subì l’arresto e la deportazione nel forte di Ancona nel 1849 per decisione delle autorità della Repubblica romana; fu di nuovo arrestato e deportato a Torino per ordine del Cavour nel 1860 e dovette restare lontano dalla diocesi fino al 1866.
Nonostante queste lunghe pause, la sua azione pastorale e di governo fu vasta, molteplice, efficace.
Uno dei settori maggiormente curati fu il seminario, di cui riformò e riorganizzò gli studi; compì tre visite pastorali e celebrò un sinodo diocesano nel 1845.
Il cardinale De Angelis chiude un’epoca, il cardinale Malagola ne apre una nuova: quella inaugurata dal pontificato di Leone XIII.
Per questo il Malagola, pur se svolse il suo ministero episcopale nel XIX sec., per le iniziative da lui attuate e le indicazioni pastorali proposte e per il suo magistero, si proietta ormai nel XX . Con la rivoluzione liberal borghese e la nascita del movimento operaio, anche a Fermo i cattolici vivevano in una temperie culturale in movimento, ne avvertivano i problemi, ne cercavano le soluzioni sia sul piano delle idee che su quello dell’azione.
A stimolare il clero e i laici fu l’intelligente opera di Malagola, affiancato da validi e colti sacerdoti (Papiri, Artesi, Murri, Cipriani, Curi).
Il cardinale volle che nel 1891 nascesse a Fermo un combattivo settimanale, «La Voce delle Marche», che stimolasse e accompagnasse le molteplici iniziative dei cattolici di Fermo e di tutta la regione.
Accanto a questa specifica attività, l’arcivescovo svolse un’intensa azione pastorale con le sue lettere pastorali al clero e al popolo, con le due visite compiute a tutte le parrocchie della diocesi e con la sua predicazione.
A Malagola successe Roberto Papiri (1895-1906), vescovo di Macerata e in precedenza per molti anni vicario generale a Fermo; in tale veste egli aveva collaborato con Malagola: gli fu quindi facile continuarne l’opera.
Nel 1896 creò a Fermo il comitato diocesano dell’Opera dei congressi; in pochi anni sorsero in tutta la diocesi numerose associazioni, coordinate dal comitato diocesano.
Nel 1898 Fermo fu la sede del VI congresso regionale, nel quale vennero dibattuti e approfonditi i temi toccati dall’enciclica Rerum Novarum.
Nel 1900 l’arcivescovo celebrò il sinodo diocesano, in cui riassunse l’esperienza ecclesiale vissuta dalla diocesi in quegli anni; in esso fu affrontato per la prima volta il tema dell’associazionismo cattolico.
A differenza del sinodo del De Angelis, animato dal proposito di porre un freno alla circolazione delle nuove idee, quello di Papiri appare aperto al momento storico che attraversava la Chiesa ed esprimeva l’ansia di adeguare l’azione pastorale alle nuove esigenze del mondo cattolico.
Il Novecento si apre con l’episcopato di Carlo Castelli (1906-1933); i primi sei anni del suo governo furono assorbiti dal «caso Murri» e dall’azione di contenimento del movimento modernista.
Il Murri considerava inadeguata ai bisogni del tempo l’azione, pur meritoria, dell’Opera dei congressi e sollecitava un impegno autonomo dei cattolici nel campo politico.
In questa vicenda Castelli fu il fedele esecutore delle direttive e delle decisioni prese da Pio X.
Il «caso Murri» rappresentò un terremoto per il giovane clero fermano e per il seminario; l’arcivescovo fu drastico nell’adottare provvedimenti nei confronti dei simpatizzanti di Murri.
Passata la bufera, Castelli si dedicò alla riorganizzazione dell’Azione cattolica e stimolò iniziative importanti per l’educazione religiosa della gioventù; ne è prova la fondazione dell’oratorio San Carlo da lui voluto e finanziato.
La sua attività pastorale si andava sviluppando mediante un contatto intenso con il clero e con le popolazioni, nelle sue frequenti visite alle comunità parrocchiali e con la sua presenza alle manifestazioni religiose.
Dopo il primo conflitto mondiale, l’arcivescovo seguì con attenzione la nascita del Partito popolare e il suo attivismo disturbò non poco il nascente movimento fascista e, poco dopo, le autorità del regime, che scatenarono contro di lui e contro il clero una violenta campagna denigratoria e una aperta persecuzione.
Nonostante tutto, gli anni dell’episcopato di Castelli registrarono un grande sviluppo dell’Azione cattolica in tutta la diocesi.
Al Castelli successe Ercole Attuoni (1933- 1941), vicario generale a Pisa e ausiliare del cardinale Maffi.
Egli, persuaso che i tempi dell’oppressione e della violenza avrebbero avuto un termine (ripeteva spesso: «nihil violentum durabile»), evitò con cura collusioni e scontri violenti e mantenne una dignitosa autonomia.
Compiuta un’attenta ricognizione della diocesi con una minuziosa visita pastorale, dispiegò un’organica azione di potenziamento della vita religiosa nella diocesi: catechesi, Azione cattolica, pietà eucaristica, valorizzazione delle tradizioni religiose del popolo e soprattutto formazione culturale e spirituale del clero e preparazione dei seminaristi alla vita sacerdotale.
Finissimo letterato, era brillante e incisivo nel proporre il suo magistero con le numerose lettere pastorali e, specialmente, attraverso la predicazione.
La malferma salute lo costrinse a ridurre sensibilmente la sua attività negli ultimi due anni del suo servizio episcopale.
Il nuovo quadro sociale creato dagli sconvolgimenti della seconda guerra mondiale tocca anche la diocesi di Fermo.
I profondi mutamenti avvenuti in ogni settore della vita sociale, economica e religiosa hanno creato esigenze e aspettative, difficoltà e aperture di cui era necessario tener conto.
Il processo di aggiornamento e di inveramento dell’azione pastorale e di governo è stato operato durante i due lunghi episcopati di Norberto Perini (1942- 1976) e di Cleto Bellucci (1970-1976 come amministratore apostolico sede plena; 1976- 1997 come arcivescovo).
Perini svolse per trentacinque anni un ministero intenso che inizia nei difficili anni di guerra, durante i quali egli accolse, assistette, confortò e aiutò a far fronte ai molteplici bisogni del duro periodo.
Passato il fronte di guerra, mentre le popolazioni venivano ricomponendo la loro vita, egli pose in atto iniziative, tese a tener desta la vita religiosa delle popolazioni e a orientare la partecipazione dei cattolici alla vita sociale e politica.
Nel suo lungo episcopato ha compiuto tre visite pastorali e ha celebrato un concilio regionale piceno; ha scritto ventidue lettere pastorali nelle quali ha affrontato i più importanti temi di fede e di morale e anche i principali problemi sociali del momento.
Concluso il concilio Vaticano II ha dato subito l’avvio a una serie di iniziative per far conoscere al clero e al popolo i documenti conciliari e contemporaneamente ha promosso un accurato lavoro di ricognizione dello stato della diocesi al fine di adeguarla alle nuove indicazioni dettate dal concilio.
Nel 1976 Cleto Bellucci, che aveva amministrato la diocesi accanto a Perini dal 1970, gli succedette come arcivescovo.
Egli continuò a promuovere l’impegno di studio, di comprensione e di attuazione dei decreti conciliari.
Ha accolto con discernimento e larghezza di vedute i vari movimenti ecclesiali che si diffondevano in diocesi, dettando norme per il loro inserimento nella pastorale diocesana.
In attuazione del concilio ha creato nuove strutture pastorali e organizzative: il consiglio episcopale, il fondo economico di comunione, la Caritas diocesana, l’ufficio diocesano per la pastorale della famiglia, il vicariato episcopale per la cultura; ha istituito a Fermo l’Istituto teologico, come sezione staccata di Ancona, l’Istituto superiore di scienze religiose e la Scuola di formazione teologica per i laici.
Notevole l’azione svolta per adeguare le strutture alle esigenze moderne.
Nel 1997 Giovanni Paolo II accettava la sua rinuncia al governo della diocesi e vi nominava Gennaro Franceschetti, parroco di Manerbio (Bs).
Egli ha vissuto intensamente il suo breve servizio pastorale alla Chiesa fermana, come servizio d’amore ai sacerdoti, alle comunità parrocchiali e a tutti i gruppi ecclesiali.
Nel 2004 ha iniziato la sua prima visita pastorale, momento conclusivo di un lungo e intenso periodo di conoscenza, di numerose iniziative pastorali e di contatti avuti con le comunità parrocchiali e i gruppi ecclesiali.
È morto il 4 febbraio 2005; la sua santa morte è stata la più bella lettera pastorale da lui scritta.
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Diocese of Fermo
Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo
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La facciata della cattedrale Santa Maria Assunta a Fermo -
Veduta dell’aula dall’ingresso
Diocese
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.