Diocese of Pesaro
HISTORY
I - Le origini e i primi secoli di vita cristiana
Non conosciamo con certezza la data della prima presenza dei cristiani a Pesaro.La prima memoria di una comunità cristiana già costituita si ha quando fu martirizzato il vescovo Terenzio (246 ca-251), venerato dalla Chiesa di Pesaro e proclamato principale protettore, che si ritiene originario di Pesaro, della gens Terentia, vescovo della città, martirizzato sotto l’imperatore Decio (249-251).
Le sue reliquie furono traslate, dopo l’editto di Costantino (313) o al tempo del vescovo Germano (496-523?), nella cripta della basilica di San Decenzio extra moenia e ivi custodite con zelo dalla comunità cristiana.
Le prove del suo episcopato sono fondate su documenti vicini all’epoca in cui visse: la prima viene da un graffito su un capitello di una colonna della stessa cripta, che potrebbe risalire al tempo in cui fu ivi traslato il corpo di san Terenzio; in esso si legge «O.S.T.E.», interpretato dallo storico Annibale Olivieri: Ossa Sancti Terentii Episcopi.
Ma soprattutto è fondamentale la pittura scoperta nella stessa cripta dall’Olivieri e dall’architetto e pittore Gianandrea Lazzarini nel 1752.
Questa riproduce quattro figure (la quinta, di sant’Eracliano, sulla sinistra è perduta): san Germano, san Decenzio (al centro perché titolare della stessa chiesa), san Terenzio e l’imperatore Costantino Pogonato.
San Germano, che era diacono, è rivestito della dalmatica; san Decenzio, perché vescovo, indossa la pianeta, tiene con la sinistra il libro dei Vangeli e ha la destra alzata in atto di benedire; san Terenzio è rivestito della casula o pianeta, sopra la quale è ben visibile il pallio vescovile; Costantino regge lo scettro con la destra.
Tutte e quattro le figure hanno dietro il capo il nimbo o aureola.
Tale simbolo, presente anche nella figura di Costantino, colloca l’affresco intorno al VII-VIII sec., perché soltanto dopo tale epoca venne meno l’uso di decorare le immagini degli imperatori con l’aureola, riservata in seguito solo ai santi.
La presenza di Costantino Pogonato, poi, ci autorizza a credere che la pittura sia stata eseguita durante il suo impero (662/668- 685), e non più tardi, perché verso il 726 Pesaro, con la Pentapoli, si liberò dalla soggezione agli imperatori bizantini.
Questo chiaro documento è prova inoppugnabile che san Terenzio fu vescovo: non vi sarebbe stato alcun motivo di raffigurarlo insignito di questo sacro carattere.
Oltre all’Olivieri e al Passeri (studiosi del 1700), monsignor Wilpert, perito di arte catacombale, classificò l’affresco senza ombra di dubbio addirittura risalente al VII . A san Terenzio successero i vescovi san Fiorenzo (251-?) e san Decenzio (302-312), martirizzato quest’ultimo – assieme a suo fratello Germano, diacono – sotto l’imperatore Massenzio.
A custodia delle loro reliquie fu eretta una cella, detta martyrion, che poi divenne la cripta della basilica di San Decenzio, fatta edificare dal vescovo Eracliano (321?-359?) e ampliata, all’inizio del VI sec., dal vescovo Germano (496?-523?), che la considerò sua sede episcopale.
Intanto, dopo il 313, all’interno delle mura (intra moenia), veniva costruita su una domus ecclesiae romana del II . un’altra basilica – l’attuale cattedrale – con a fianco il battistero.
Di essa sono conservati due litostroti, tappeti pavimentali a mosaico, l’uno sovrapposto all’altro: l’inferiore del IV sec.; quello superiore, splendido e oggi visibile, del VI sec., steso dopo la guerra gotica (535-553).
Quando il vescovo Felice (578-600 e oltre) sentì l’esigenza di trasferire la cattedra episcopale all’interno della città a causa delle sempre più frequenti incursioni barbariche, i papi Pelagio II e Gregorio I, a difesa della popolazione rurale cui l’accesso alla città comportava inconvenienti giuridici e di carattere fiscale, vi si opposero fermamente.
Ma a metà del VII . o poco dopo i vescovi avevano la loro cattedra entro il perimetro urbano, precisamente nella basilica più prestigiosa della città, quella dotata del bel litostroto superiore; infatti una lapide, datata 647, attesta che ivi erano state traslate le reliquie di san Terenzio (cfr.
Appendice in Amatori-Simoncelli, La Chiesa pesarese dalle origini ai nostri giorni, Roma 2003).
Dei vescovi pesaresi del IV e V . sono noti soltanto sant’Eracliano (321?- 359?), uno di quei diciotto vescovi fedeli al cattolicesimo che parteciparono al concilio di Serdica (347) in difesa dell’arcivescovo di Alessandria, Atanasio, e san Germano (496?-523?), inviato dal papa a Costantinopoli per la cessazione dello scisma d’Oriente nel 497 e nel 519.
II - La cristianizzazione del territorio pesarese nell’alto Medioevo
Intanto, nell’VIII sec., la Chiesa pesarese tornò a dipendere direttamente da Roma, allorché il re dei franchi, Pipino, dopo aver tolto le città della pentapoli ai longobardi, le donò a papa Stefano III (756- 757).Tra i documenti più evidenti dell’evangelizzazione del territorio extraurbano annoveriamo le pievi, sorte fin dal VVI sec., e in gran numero sparse per tutto il territorio, attestando la cristianizzazione della popolazione rurale.
Esse, con il trascorrere dei secoli, persero la loro identità o perché assorbite dalle sopraggiunte abbazie benedettine, o perché non potevano più soddisfare le esigenze religiose della popolazione locale, tanto che iniziarono a sorgere, anche nelle zone isolate o addirittura sperdute, chiese minori più facilmente accessibili per l’ordinaria vita religiosa.
Tali chiese rurali, denominate ecclesiae o paroeciae, erano destinate al servizio dei fedeli ivi dimoranti o di quelli in transito.
Queste, a fine XIII sec., erano già numerose – una cinquantina nel territorio della nostra diocesi –, come ben si riscontra dall’elenco riportato nelle Rationes decimarum del 1290-1292, senza contare quelle all’interno della città, tra le quali vi era anche una diaconia intitolata a santo Stefano protomartire, menzionata dallo stesso papa Gregorio Magno nella lettera dell’anno 595 al notaio Castorio (per cui risulta la vicaria con citazione più antica dell’Occidente cristiano).
Questa aveva una propria personalità di diritto giuridico-canonico, distinta da quella del presbyter al quale era collegata e dal quale dipendeva.
Altri documenti paleocristiani di vitalità religiosa e, nello stesso tempo, di vivo interesse artistico sono, oltre all’affresco della cripta di san Decenzio di cui si è già detto, una pisside eburnea di forma cilindrica, alta 7,5 centimetri e larga 11, con coperchio di 1,3; diversi sarcofagi, di cui uno detto di Ginestreto o di san Terenzio e un secondo dei santi Decenzio e Germano, ambedue decorati con immagini sacre in bassorilievo e oggi conservati nel museo diocesano; una lastra tombale raffigurante il vescovo Raguele (853-861).
Nella stessa epoca si faceva sempre più fiorente la presenza dei benedettini: fin dalla seconda metà del VI . una loro comunità viveva nel monastero costruito sul fianco della basilica di San Decenzio, poi passato ai camaldolesi, mentre un’altra risiedeva nel cenobio di Sant’Eracliano sito nel centro storico, poi occupato dai cluniacensi.
Nello stesso periodo o nel secolo successivo – cioè al tempo della regina Teodolinda –, essi presero possesso, nell’entroterra pesarese lungo il Foglia, di un tempio pagano dedicato al dio Silvano e di lì portarono il cristianesimo alle genti rimaste ancora legate al paganesimo.
Pare che, solo negli anni 970-980, il tempio venisse affiancato da una vera abbazia detta di San Tommaso in Foglia, divenuta illustre dopo che vi sostò, dai primi giorni di aprile al 9 ottobre 1047, papa Clemente II, costretto a fermarvisi per motivi di salute; da qui governò la Chiesa e concesse privilegi all’abbazia; quindi, assistito dal vescovo di Pesaro, Pietro I (1047-1061), vi morì.
Gli stessi benedettini fondarono nel 998 un’altra abbazia a poca distanza dalla città, quella denominata di Santa Croce di Monte Favale, passata prima ai gerolimiti, poi ai cisterciensi che vi rimasero fino al XV sec., allorché passò in commenda ai vescovi di Pesaro.
III - Carità e santità della Chiesa pesarese dal Medioevo all’età moderna
Dal XIII . cominciarono a giungere nel territorio diocesano numerosi ordini religiosi, maschili e femminili, resi illustri dalla carità dei loro componenti.Essi ricevettero buona accoglienza e sostegno, oltre che dalla amministrazione civile, anche dalle dinastie signorili che si sono succedute: Malatesta (1285-1445), Sforza (1445-1513) e Della Rovere (1513-1631).
I più celebri personaggi di questi ordini sono i beati Francesco Zanferdino, noto come beato Cecco (1270-1350), francescano; Michelina Metelli (1300-1356), fondatrice con il beato Cecco della confraternita dell’Annunziata; Sante Brancorsini (1343-1394), francescano laico; Pietro Gualcerano (†1418), gerolimita; Felice Meda (1378-1444), clarissa; Serafina Sforza, già Sveva di Montefeltro (1434- 1478), clarissa dopo essere stata ripudiata dal signore della città, Alessandro Sforza; Tommaso Vitali da Endenna (1425-1490), servo di Maria; Paolo Bigoni da Chiari (1400-1498/1503), servo di Maria; Pietro Giacomo (1447-1496), agostiniano; Marco Scalabrini da Modena (†1498), domenicano; Giambattista Lucarelli (1540-1604), francescano conventuale; Ugolino Malatesta Delle Caminate (tra XIII e XIV sec.).
Generalmente i rapporti tra i signori di Pesaro e l’episcopato furono contrassegnati da fattiva collaborazione, pur non mancando a volte contrasti più personali che istituzionali, operando ciascuna istituzione in ambiti separati, ma spesso intrecciati, per il bene materiale e spirituale della popolazione.
Alla loro opera si associarono le innumerevoli confraternite, nate fin dal XIV . e diffusesi in gran numero in tutto il territorio, venendo a costruire dei veri centri di fede, di operosa carità e di cultura religiosa.
Importante per la diocesi fu la visita apostolica effettuata nel 1574, all’indomani della chiusura del concilio di Trento, dal cardinale Girolamo Ragazzoni, perché da essa si riscontra uno spaccato abbastanza chiaro, non solo circa la situazione religiosa ma anche sull’aspetto etico-sociale ed economico del nostro territorio, giudicati l’una e l’altro complessivamente buone, cioè «in condizioni non troppo lontane dai dettami conciliari».
La diocesi, suffraganea di quella di Urbino dal 1563, contava una popolazione di 20.552 unità, distribuita su meno di 280 chilometri quadrati; era divisa in otto parrocchie urbane e trenta nel contado.
Concluso il periodo delle signorie, il nostro territorio tornò in soggezione diretta allo Stato pontificio, sotto cui constatò una ripresa di vita e operosità più esteriore che reale.
Le difficoltà economiche della popolazione persistettero, perché i legati pontifici – più attenti a mantenere la calma che a risolvere i problemi – non avviarono mai un piano di sviluppo economico, convinti che la difficile situazione alimentare fosse una fatalità inalienabile (a essa cercarono di ovviare, invece, le varie confraternite religiose).
Pesaro veniva governata da un «cardinale legato», ovvero da un prelato con il titolo di presidente; talora veniva retta, per brevi periodi, anche da delegati pontifici; i governatori erano denominati principi.
Quindi, a partire dal 28 aprile 1631, le vicende storiche, politiche, civili, militari e sociali di Pesaro risultano compaginate nel più ampio quadro della vita dello Stato pontificio e ciò fino all’11 settembre 1860.
Nel Settecento emergono le figure dei vescovi Filippo Carlo Spada (1702-1738) e Umberto Radicati (1739-1773), durante l’episcopato dei quali il nostro territorio subì l’arrembaggio prepotente e dissolutore di truppe straniere, partecipanti alle guerre di successione.
Nel 1707 l’armata imperiale di Giuseppe I, in cammino verso Napoli, provocò danni così gravi da costringere papa Clemente XI, urbinate, ad abbonare alla comunità nel 1709 la somma di 13.000 scudi per tasse dovute; negli anni 1742-1744, al tempo della guerra di successione austriaca, soldati napoletani e spagnoli provocarono disastri ancora peggiori.
Al contrario, con il vescovo Gennaro Antonio De Simone (1775-1779) la diocesi ha goduto di un momento di prosperità per le molteplici attività socioculturali e pastorali.
Il capitolo riconobbe che il suo episcopato fu «un lampo per la sua brevità», ma «un tratto d’insigne beneficenza ».
IV - Vita e opere della Chiesa pesarese dall’Illuminismo alla seconda guerra mondiale
Ma già sulla nostra diocesi stavano incombendo tempi durissimi, dovuti ai soprusi dei cisalpini e dei loro collaboratori locali.I guai ebbero inizio nel 1797.
Era legato pontificio Fernando Maria Saluzzo e amministratore apostolico, in qualità di vescovo, Giuseppe Beni (1794- 1806), conte di Gubbio e già vescovo della città e diocesi francese di Carpentras, che aveva dovuto abbandonare precipitosamente nottetempo perché ricercato a morte dai giacobini.
Per rendersi ben edotti di quanto abbia pesato sulla diocesi e sul vescovo il governo franco-cisalpino durante i due periodi 1797-1799 e 1800-1801, basta tener conto delle irriverenti pubbliche oratorie di piazza recitate all’ombra dell’allestito «albero della libertà» il 21 gennaio 1798; della valanga di scritti, ingiusti e persecutori, inviati al vescovo – dal dicembre 1797 al luglio 1798 – dai municipalisti; delle prescrizioni nel settore costitutivo e operativo della Chiesa inviategli dai commissari del dipartimento del Rubicone; delle asportazioni di opere d’arte dalle diverse chiese; della invadenza, nella vita e nell’impegno ministeriale, degli ispettori della polizia; delle risposte del vescovo, fermo nel campo dogmatico e nei doveri pastorali, ma aperto ad accettare e a disporre i possibili adattamenti nel campo della vita diocesana.
Oltre a tutto ciò, furono indemaniati molti beni patrimoniali delle nostre comunità religiose, asportate innumerevoli opere pittoriche dagli edifici sacri e, addirittura, alcune chiese e conventi vennero indemaniati o soppressi.
Restaurato il governo pontificio, dopo la caduta di Napoleone, la nostra Chiesa poté recuperare solo alcuni dei suoi patrimoni sottratti, ma riuscì a rivivere i suoi momenti religiosi con una relativa serenità.
La situazione restò stabile fino al 1860, allorché il generale Enrico Cialdini occupava le Marche, sottoponendole alla monarchia dei Savoia.
Pesaro entrò così a far parte definitivamente del Regno d’Italia e, da allora, ne seguì le vicende.
L’amministrazione locale (sindaci e prefetti), dopo aver indemaniato conventi e monasteri maschili e femminili, i beni dei medesimi e delle confraternite, limitò anche l’esercizio cultuale, pastorale e amministrativo della Chiesa con divieti allo svolgimento delle processioni, censura alla stampa cattolica e alle scuole dirette da istituti religiosi; la stampa locale di indirizzo liberale e progressista rivolgeva al contrario pesanti accuse alla dottrina della Chiesa e all’insegnamento pontificio.
Tutto ciò, ovviamente, provocò reazione da parte del clero e dei cittadini fedeli alla Chiesa romana.
Clemente Fares, vescovo dal 1856 al 1896, usò la massima prudenza, ma rispose sempre con fermezza, servendosi anche della stampa, in particolare del periodico «L’Eco d’Isauro», battagliero settimanale uscito negli anni 1873-1876, di cui furono sequestrati diversi numeri.
Non appaiono migliori i rapporti tra Chiesa e amministrazione locale durante il primo ventennio del XX sec., e anche in questa circostanza la Chiesa si adoperò con la stampa a far sentire la sua voce con il settimanale diocesano «L’Idea», uscito dal 1903 al 1923, poi soppresso dal fascismo.
Nei decenni seguenti lavorò per la diffusione della fede tramite le istituzioni religiose, quali l’Azione cattolica – molto attiva e impegnata –, le Acli, il Cif, l’Onarmo, l’Oda; celebrò, inoltre, due congressi eucaristici (1923 e 1933) e, dopo la seconda guerra mondiale, si adoperò costantemente per la diffusione della cultura anche con un nuovo settimanale, «L’Amico », divenuto dal 1972 «Il Nuovo Amico », ancor oggi in eccellente attività.
V - Fioritura di istituti, associazioni e movimenti religiosi dal secondo dopoguerra ai nostri giorni
Il secondo conflitto mondiale lasciò l’Italia prostrata, e fu la Chiesa a impegnarsi in un’opera caritativa a vasto raggio.Il primo sacerdote a mettersi in evidenza fu padre Pietro Calvino Damiani (1910-1997), il quale fondò, nel 1945, il «collegio Zandonai», in cui raccolse bambini e ragazzi orfani di guerra, giunti soprattutto dalle zone di Trieste, Istria e Dalmazia.
L’opera «padre Damiani» diventò uno dei centri più importanti della nazione italiana nel sostegno ai fanciulli privi di genitori (nel 1950 contava 800 ragazzi permanenti) e si rese celebre per il grande contribuito dato alla formazione socio-culturale e cristiana di numerosissimi giovani.
Il cappuccino Giuseppe Bocci (1885-1974) fondava, nel 1945, un istituto di sorelle francescane della carità, il cui compito era di «favorire l’opera delle vocazioni per aiutare i chierici poveri, zelare e operare per le missioni, aiutare i bisognosi, visitare gli ammalati, specialmente quelli che erano mal sopportati dai familiari, aiutare ogni iniziativa di bene che ha bisogno di una caritatevole cooperazione».
L’istituto, nel 1969, «visto che tutta la sua attività era orientata verso le vocazioni», assunse la denominazione di «sorelle francescane delle vocazioni» e nel 1995 il vescovo Gaetano Michetti approvava il decreto di apertura del processo diocesano di beatificazione di padre Giuseppe Bocci, concluso solennemente dall’arcivescovo Bagnasco il 25 novembre 2000.
A queste opere si affiancò quella di madre Flora Pallotta (1916-2001) che, nel 1951, fondò l’istituto suore missionarie della fanciullezza, avente lo scopo di accogliere, proteggere ed educare l’infanzia bisognosa e abbandonata.
Sostenuta dai vescovi Bonaventura Porta e Luigi Carlo Borromeo, nei primi anni Cinquanta si adoperò a favore dei bimbi profughi dalla Dalmazia e dalla Venezia- Giulia.
La sua comunità crebbe e la casa di via Flaminia in Pesaro diventò il fulcro di tutta l’opera, che attivò asili, scuole elementari e convitti in diverse località italiane e addirittura varcò l’oceano, fino a giungere in Ecuador.
Anche monsignor Arturo Bacchiani va annoverato tra i principali servitori della carità in diocesi e nella regione Marche, tanto che l’amministrazione comunale di Pesaro gli dedicò una via con la seguente motivazione: «Negli anni della ricostruzione attivò 70 punti mensa per lavoratori e apprendisti, con una esemplare organizzazione di assistenza attiva con 14 assistenti sociali.
Fondò la mensa Onarmo per pasti di assistenza ai bisognosi, oggi ancora attiva come mensa Oda.
Si può ben affermare che a Pesaro realizzò per primo il principio di sussidiarietà».
Costruì per i giovani devianti un collegio al mare e acquistò una casa in montagna con l’intento di avviare i soggiorni all’accoglienza per nuclei familiari e porre l’attenzione verso i giovani.
Cresciuta l’industrializzazione, oltre agli effetti positivi si evidenziarono anche quelli negativi: il nostro ambiente venne a trovarsi quasi nella impossibilità di provvedere a quei casi profondi e distruttivi della personalità che presero a investire e a disgregare la nostra società: drogati, dimessi dal lavoro, malati di Aids, disoccupati, disabili...
divennero sempre più numerosi, e preoccuparono seriamente la comunità cristiana.
E fu ancora la Chiesa a impegnarsi per sollevare i sofferenti, adoperandosi sia con i propri mezzi sia con l’aiuto dei privati, a creare istituzioni e opere di recupero.
Basti pensare ai buoni risultati ottenuti a vantaggio di drogati, ragazzi devianti o diversamente abili, ex carcerati, dal medico e sacerdote don Gianfranco Gaudiano (1930-1993) con la sua ampia opera denominata «comunità di via del seminario», costituitasi nel 1972 e ormai distinta in diverse istituzioni, tra cui il centro accoglienza per extracomunitari e la casa accoglienza «Moscati » per malati terminali di Aids.
A ciò si deve aggiungere l’intensa opera svolta dai numerosi istituti, maschili e femminili, attivi in diocesi da tempo a favore dei bisognosi, dei fanciulli e dei ragazzi sia nel settore spirituale sia nel socio-economico, culturale e morale.
Infine, accennando ai restauri della cattedrale effettuati durante gli episcopati di Gaetano Michetti e di Angelo Bagnasco negli anni 1990-2000, si ricorda l’innalzamento della diocesi al grado di arcidiocesi, avvenuto in data 11 marzo 2000 per decreto del Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale, contemporaneamente, ha istituito la nuova provincia ecclesiastica, elevando il vescovo alla dignità di arcivescovo metropolita (titolo di cui fu ricoperto per primo Angelo Bagnasco, eletto, nel 2003, al grado di ordinario militare per l’Italia).
L’attuale arcivescovo, Piero Coccia, proveniente dal clero di Ascoli Piceno, consacrato nella sua cattedrale di origine il 24 aprile ed entrato nella nostra diocesi il 30 maggio 2004, è il 95° della serie dei vescovi diocesani a noi noti.
Bibliography
Manoscritti vari presenti nell’archivio storico diocesano di Pesaro (sinodi, visite pastorali, decreti e corrispondenza, manifesti, relazioni e verbali del capitolo…). Annuari e bollettini diocesani, dal 1918;A. Olivieri, Di San Terenzio principale protettore della città di Pesaro, Pesaro 1776;
A. Olivieri, Del monistero e della chiesa de’ Ss. Decenzio e Germano, Pesaro 1776;
A. Olivieri, Memorie della Badia di S. Tommaso in Foglia, Pesaro 1778;
A. Olivieri, Memorie per la storia della chiesa pesarese nel . XIII, Pesaro 1779;
C. Contini- R. Canestrari, Pesaro sacra - Memorie storiche, Pesaro 1953;
F. V. Lombardi, La pieve vecchia di Ginestreto, «Costellazione», 3, 1989;
S. Linfi, Pesaro nella rivoluzione francese, «Segnali», 1994;
F. V. Lombardi, La plebs civitatis nella Pentapoli-Decapoli secc. VI-XI, «Studia Picena », LIX, 1995;
F. V. Lombardi, La prima diaconia conosciuta nell’occidente cristiano: Pesaro, Anno 595 d.C., «Frammenti», 6, 2001;
serie completa della rivista edita dall’A.S.D. di Pesaro: «Frammenti» (dal n. 1 dell’anno 1994 al n. 9 del 2005);
pubblicazioni a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e del Comune di Pesaro: Pesaro nell’antichità;
Pesaro tra Medioevo e Rinascimento;
Pesaro nell’età dei Della Rovere, Venezia I 1984 e 1995, II 1989, III 1998.
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Chiesa di Santa Maria Assunta
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La facciata della cattedrale di Santa Maria Assunta a Pesaro -
Mosaici nella cattedrale Ultima specchiatura a sinistra della navata centrale, una delle più complesse e suggestive,... -
Veduta dell’aula dall’ingresso
Diocese
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.