Diocese of Lecce
HISTORY
I - Le origini
La diocesi, secondo la tradizione leccese, deve la sua origine, nel I sec., al santo patrono Oronzo, che sarebbe stato il primo vescovo e martire leccese.Sempre secondo la tradizione, sant’Oronzo avrebbe ricevuto la fede da san Giusto, discepolo di san Paolo e, in seguito, sarebbe stato martirizzato fuori dalla città.
La prima presenza cristiana è ricordata dal vescovo Paolino di Nola, nel IV . Il primo vescovo di cui si hanno notizie certe fu Venanzio, al tempo di papa Vigilio (537-555): sottoscrisse, infatti, il Costitutum del pontefice.
In virtù poi di numerose guerre e scorribande, Lecce venne quasi scomparendo.
Il secondo vescovo di cui si hanno notizie certe è Teodoro Bonsecolo (1062- 1113), il cui episcopato coincise con l’ascesa dei normanni al potere in Puglia; Teodoro Bonsecolo leccese fu consigliere di Roberto il Guiscardo, figlio di Tancredi d’Altavilla.
La cattedrale fu edificata dal successivo vescovo, Formoso Lubelli, di nobile famiglia leccese, il quale vi pose anche una torre campanaria, aiutato dal conte Goffredo di Lecce.
Nel 1133, il conte Accardo II fece fondare il monastero di San Giovanni Evangelista, ininterrottamente abitato fino a oggi dalle monache benedettine.
La prima abbadessa fu Agnese, sorella del conte.
Il monastero si arricchì rapidamente di numerose donazioni, tra le quali il casale di Draconem e di San Giorgio di Surbo.
Anche la Chiesa di Lecce ebbe in donazione alcuni feudi, tra i quali quello di San Pietro Vernotico.
Nel 1180, il conte Tancredi volle edificare la chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo, affidandola ai benedettini.
Nel XII sec., il vescovo di Lecce vantava diritti feudali su San Pietro Vernotico, Novoli, Carmiano, Magliano, Monteroni, San Pietro in Lama e Lequile, aveva giurisdizione civile e criminale su Lequile, Cavallino, Lizzanello, Vanze, Merine, Campi, Strudà, Melendugno, San Cassiano e Squinzano.
Esercitava giurisdizione episcopale anche su parte del feudo di Vernole.
Il XIII . fu arricchito dalla presenza dei francescani, che fondarono la chiesa di San Francesco d’Assisi o della Scarpa.
Sarebbe stato lo stesso santo a inviare alcuni frati a Lecce nel 1219; i frati, avendo successivamente ricevuto una casa, la trasformarono in convento nel 1273; la successiva chiesa fu consacrata nel 1330.
Il clero si organizzò attorno al capitolo della cattedrale, riedificata, nel 1230, dal vescovo Volturio.
Nel secolo seguente, si insediarono i celestini di Santa Croce, chiesa che, nell’attuale splendore, fu edificata solo tra il XVI e il XVII sec., e i domenicani, che arrivarono a Lecce nel 1388, per volere di alcuni leccesi, tra i quali Giovanni d’Aymo, a cui si deve l’erezione del primo loro convento; nel secolo seguente, tra i francescani, emerge il grande predicatore, fra Roberto Caracciolo.
II - L’epoca moderna tra XVI e XVII sec.
Già più importante a livello civile, la diocesi di Lecce, secondo il contemporaneo Giacomo Antonio Ferrari, giustamente pretese di divenire metropolia, in quanto superiore a tutte le diocesi di terra d’Otranto per cultura, storia, tradizione religiosa.Nel 1410 il vescovo Tomaso ottenne la dispensa dall’obbedienza al metropolita idruntino; tuttavia si trattò di un’esenzione limitata nel tempo e alla persona, visto che nel 1412 il nuovo vescovo Girello venne privato di tale privilegio.
I vescovi leccesi furono tutti di nomina papale e cercarono di attuare la riforma conciliare tridentina.
Braccio Martello fu il primo vescovo di Lecce che si recò a Trento.
Nobile fiorentino e canonico della metropolitana di Firenze, fu creato vescovo di Fiesole e nel 1552 fu trasferito a Lecce.
Suo successore, ma solo per un anno, fu il cardinale Giovanni Michele Saraceno, nominato il 13 settembre 1560: patrizio napoletano, coltissimo, rinunciò alla Chiesa salentina in favore del fratello Annibale Saraceno, che governò la diocesi per trent’anni, fino al 10 maggio 1591, fra alterne vicende e molti contrasti con il capitolo cattedrale della città, date le numerose richieste di denaro.
Venne perfino accusato di aver cagionato la morte del tesoriere del capitolo: avendolo messo in carcere perché non aveva assolto ad alcuni debiti contratti con il cardinale Saraceno, aveva proibito ai medici di visitare il detenuto e di soccorrerlo con le dovute cure.
La discussione sul caso Saraceno si svolse a Roma dal 1569 al 1571, quando il vescovo fu sospeso per sette anni.
Durante questo periodo, in cui il governo fu affidato a vicari provenienti da altre diocesi, fu celebrato a Lecce il primo sinodo dell’età moderna dal vicario Francesco Ulmo, nel 1563.
La celebrazione dei sinodi fu la prima, ma insufficiente risposta alla necessità di riforma proposta dal Tridentino.
Sotto il tormentato governo del Saraceno, giunsero a Lecce i primi grandi nuovi ordini religiosi.
La Compagnia di Gesù arrivò in città nel 1574, guidata da un santo della carità, san Bernardino Realino, fondatore del Collegio, punto di riferimento per gli studi non solo della gente nobile cittadina, ma anche dei dintorni.
Il santo, pur non esercitandosi molto nell’arte della predicazione, fu protagonista di numerosi miracoli, di predizioni di cose future e di guarigioni.
Uomo molto umile, fu nominato patrono della città di Lecce addirittura prima di morire, quando il sindaco della città gli conferì le chiavi.
Nel 1591 iniziò, invece, la costruzione della chiesa e della casa dei teatini, a opera dell’architetto teatino Francesco Grimaldi.
Un tentativo di rinnovamento, sulla linea del concilio di Trento, fu tentato da Scipione Spina (1591-1639), vescovo originario del napoletano.
Da un lato, però, egli dovette confrontarsi con la dirompente azione pastorale dei gesuiti e dei teatini, che non solo erano amati dalla popolazione locale, ma soprattutto stimati dalle autorità secolari, mentre, d’altra parte, era chiamato a confrontarsi con un clero secolare che, chiuso nell’oligarchia capitolare, era legato alle diverse famiglie aristocratiche leccesi, in conflitto tra loro.
A peggiorare la situazione, il sindaco accusò lo Spina di aver sottratto diecimila ducati all’ospedale cittadino dello Spirito Santo.
Nel settembre del 1596 lo Spina fu chiamato a Roma, dove fu rinchiuso nel carcere di Castel Sant’Angelo, in attesa della soluzione dell’inchiesta della Congregazione per i vescovi.
L’esito fu positivo per il vescovo, che però rientrò in diocesi solo nel 1600.
L’intervento di un visitatore apostolico consentì l’erezione, nel 1604, di tre altre parrocchie: Santa Maria della Luce, Santa Maria della Porta e Santa Maria delle Grazie.
L’aria cambiò radicalmente con il vescovo Luigi Pappacoda (1639-1670), napoletano dei marchesi di Pisciotta, che da uomo energico, ma conciliante, cercò di non porsi in contrasto con il capitolo, bensì di accaparrarsene la benevolenza.
Volle perfino una conciliazione con l’amministrazione civica e, con grande disinvoltura, celebrò sinodi, visitò le parrocchie e ottenne importanti risultati a vantaggio della Riforma.
Fu un vescovo forte, in grado di applicare il concilio.
Nel 1647, fu lui a domare la rivolta masanielliana contro il potere istituito degli spagnoli, garantendo pace e riconciliazione tra le nobili famiglie leccesi.
Perseguì il desiderio di selezionare in modo adeguato il clero, spesso pletorico e indisciplinato, mediante una riforma in materia beneficiaria e legataria.
Per vincere la rilassatezza dei costumi, il vescovo punì con sanzioni pecuniarie; infine, favorì l’istruzione cattolica e la gestione delle scuole di dottrina cristiana.
Sotto il suo episcopato venne edificata la nuova e solenne cattedrale con il grandioso campanile.
L’attuale piazza del duomo prese forma per opera di Giuseppe Zimbalo, che si mise al lavoro già a partire dal 1658.
Le ingenti spese per la cattedrale non consentirono al vescovo di realizzare il seminario, altro punto di forza della riforma tridentina.
Probabilmente il Pappacoda, vista la presenza qualificata degli ordini religiosi vecchi e nuovi, non considerò una priorità l’istituzione del seminario, che vide la luce solo successivamente, tra il 1694 e il 1709, ai tempi di Michele e Fabrizio Pignatelli.
Costoro succedettero ad Antonio Pignatelli, di Spinazzola, che governò la diocesi per dodici anni tramite un suo vicario e venne eletto papa con il nome di Innocenzo XII (12 luglio 1691).
In questi due secoli, si diffusero le confraternite, tra cui quelle del Santissimo Sacramento (in cattedrale) e l’arciconfraternita della Carità (1521), con la missione di assistere i condannati a morte, per non parlare delle congregazioni mariane presso i gesuiti.
Sorsero i monti di pietà.
Sotto la regola francescana, fu fondato un convento di donne con il titolo di Santa Maria degli Angelilli (1507), mentre le clarisse alloggiarono presso il monastero di Santa Chiara.
I frati minori osservanti vennero nel 1566 e ottennero la chiesa di Sant’Antonio da Padova; presso la chiesa di San Sebastiano fu eretto il monastero delle cappuccinelle, sotto la regola francescana (1639); i frati francescani nel 1534 alloggiarono presso la nuova chiesa di Santa Maria degli Angeli; i cappuccini, invece, trovarono dimora presso la chiesa di Santa Maria dell’Alto.
Nel 1546 arrivarono anche i carmelitani, accolti in uno splendido convento, e nel 1627 edificarono la chiesa di Santa Teresa.
Secondo stime attendibili, negli anni Trenta del Seicento i frati e i monaci dimoranti nelle sedici case maschili della città furono circa cinquecento, con un incremento, nell’arco di quarant’anni, del 50 per cento, mentre la popolazione femminile abitante in sette monasteri raggiunse le 593 unità.
I regolari censiti, allora, rappresentavano quasi l’8 per cento della popolazione leccese, che, unita a quella secolare, raggiungeva il 13 per cento.
Cresceva a dismisura anche il numero dei chierici, con l’obiettivo di ottenere privilegi sulle esenzioni dalle imposte.
Ciò fu causa indiretta dell’interdetto che colpì la città e la diocesi di Lecce.
Fabrizio Pignatelli, rappresentante della resistenza papale contro gli exequatur e le gabelle avverse ai chierici, non accettava le restrizioni in materia volute dall’amministrazione civica, la quale lamentava l’impossibilità di sopravvivenza, visto il numero di coloro che si ponevano sotto la tonaca per non pagare le tasse.
Essendo inutile ogni mediazione, il viceré decise l’allontanamento del vescovo dal regno, ma questi emanò l’interdetto (1711), approvato da Clemente XI, con cui vietava ogni funzione religiosa in diocesi.
Gravissimo fu il danno arrecato, fino alla sua conclusione del 1719, per la inattesa retromarcia del viceregno.
L’eresia non penetrò quasi per nulla nella diocesi, visto che i casi accertati furono molto rari.
Nel 1552 fu accusato di eresia calvinista Scipione Lentulo, altri sospetti si ebbero verso alcuni uomini di cultura come Matteo Tafuri oppure il leccese Donato Rullo, coinvolto, nel 1566, nel processo contro il Carnesecchi.
Il periodo si caratterizzò a Lecce e nei borghi limitrofi per il grande sfarzo barocco, che cambiò volto alla città capoluogo e proseguì anche per tutto il Settecento: al di là delle opere rinascimentali della chiesa del Gesù e dei teatini, che riflettono gli stili dei due ordini del Cinquecento e che furono opera degli architetti a essi appartenenti, le altre chiese leccesi vennero progettate da architetti locali, nell’inconfondibile barocco leccese: Giuseppe Zimbalo e il suo discepolo Giuseppe Cino resero la città sfarzosa e monumentale, edificando rispettivamente cattedrale-campanile e seminario- chiesa del Carmine-Alcantarine.
Il leccese Achille Carducci progettò, nella esaltazione della linea curva, la chiesa di San Matteo (1667).
All’interno, le tele furono opera di grandi maestri leccesi, tra i quali ricordiamo Oronzo Tiso (canonico leccese del XVII secolo), famoso per le Madonne, per l’accentuata policromia e per il trionfo della linea curva, Giovanni Andrea Coppola (XVII sec.) e Gino Domenico Catalano (XVIII sec.), pittori gallipolini.
Tra gli scultori basti citare Gabriele Riccardi e Nicola Fumo (XVII sec.), che lavorarono in cattedrale, oppure Mauro Manieri di Nardò (XVIII sec.), che scolpì la statua di sant’Irene.
La medesima situazione troviamo anche nei paesi della diocesi, che risentirono dell’influsso cittadino e costruirono le chiese principali secondo lo stile barocco, che consentì di elevare numerosi altari in pietra leccese, ornata con lamine d’oro.
III - Dal XVIII sec. a oggi
Il secolo dei lumi, nell’Italia meridionale, si aprì con l’avvento della dinastia borbonica anche in Terra d’Otranto.I leccesi acclamarono Filippo V e il suo figlio, Carlo III, il 25 maggio del 1734.
Carlo III, nel regolare le condizioni con gli ecclesiastici, stipulò un concordato con Benedetto XIV, nel 1741, secondo il quale gli ecclesiastici sarebbero stati tassati sui beni acquistati; il diritto d’asilo venne ristretto, così come si invitava a restringere il numero dei preti.
Nello stesso anno fu edificato un convento per i Padri di San Vincenzo de Paoli, giunti in città nel 1732.
Nonostante il Concordato che imponeva la presenza di un prete ogni cento abitanti, a Lecce non diminuì di molto il numero dei sacerdoti secolari.
Se diminuivano le ordinazioni, anche grazie all’impegno del presule Sersale (1744-1755), patrizio romano, il quale si prodigò per il seminario e ordinò solo chierici adeguatamente preparati, non diminuivano i sacerdoti, poiché molti furono i forestieri, provenienti dai paesi della diocesi o dalla provincia, per celebrare le messe di suffragio.
Il Settecento fu anche il secolo delle confraternite, tra le quali nacquero, nella chiesa dei teatini, sia l’oratorio del Crocifisso che la confraternita delle Anime del Purgatorio, composta da artisti.
Nella chiesa di San Francesco d’Assisi vi era la confraternita dei calzolai, sotto il titolo dell’Immacolata.
Altra figura importante di vescovo fu quella di Sozi-Carafa (1751-1783), napoletano della congregazione dei somaschi, che proseguì sulla scia delle visite e del governo pastorale, provvedendo a instaurare un clima di serenità tra gli ordini religiosi.
Il 21 settembre 1767 fu eseguita a Lecce l’espulsione dei gesuiti, furono venduti molti beni e l’antico collegio fu acquistato dai benedettini di Montescaglioso (detti cassinesi) che vi fecero ingresso nel 1778.
La fine del secolo vide la proclamazione della Repubblica napoletana, sotto l’influsso della Rivoluzione francese.
A Lecce, la repubblica fu osteggiata dai vecchi borbonici e dai preti, soprattutto quando fu issata la bandiera repubblicana, proprio vicino a piazza Sant’Oronzo.
La cittadinanza si ribellò e i giacobini furono scacciati.
Dopo alterne vicende, i francesi rivoluzionari si insediarono nel Regno delle Due Sicilie nel 1806, quando Giuseppe Napoleone entrò in Napoli.
Le nuove leggi prospettanti l’abolizione degli ordini religiosi comportarono la fine degli ordini regolari, esclusi gli ordini mendicanti: così furono trasformati i conventi dei carmelitani, di San Matteo, di Santa Teresa, dei celestini e dei teatini.
Con la fine dell’impero napoleonico e il ritorno dei Borbone, alcuni ordini regolari rientrarono.
I gesuiti giunsero nel 1830 e rifondarono il collegio; nel 1824 anche i redentoristi vennero chiamati a Lecce.
Fu, inoltre, affidato alle suore della carità un orfanotrofio.
Seppure con limitate risorse, ritornarono anche i teatini.
I vincenziani, che mai si erano allontanati, ma che avevano perso la casa, la riebbero nel 1816 e fu loro superiore, nel 1834, il santo Giustino De Iacobis (1800-1860).
Monsignor Caputo (1819-1862) cercò di ridare slancio e procedette, perciò, a ordinazioni di massa, che non corrispondevano ai desideri di Pio IX.
Tra il 1819 e il 1829 furono ben novantaquattro i nuovi ordinati per trenta parrocchie.
Il vescovo fu un sostenitore dei moti rivoluzionari, come attesta la benedizione del vessillo tricolore nella rivoluzione del 1848.
Ciò gli costò l’ira borbonica, tanto che nel 1856 fu invitato a recarsi a Capua, anche per l’accusa di alcuni vescovi.
Tornato indenne, nel 1860, insieme al capitolo, inviò un messaggio beneaugurale a Giuseppe Garibaldi.
Tra i vescovi salentini restò l’unico ad appoggiare apertamente il processo unitario.
Anche la diocesi di Lecce soffrì la nuova situazione.
Il vescovo principale del periodo fu Salvatore Luigi dei conti Zola (1877-1898).
Il suo episcopato si caratterizzò per lo spirito di preghiera, povertà personale e vicinanza al popolo.
Accolse il beato Filippo Smaldone, fondatore delle suore salesiane dei Sacri Cuori, un’opera che si prefigge, ancora oggi, l’educazione umana e cristiana dei sordomuti.
Egli riuscì a ottenere la restituzione del seminario, che con l’esproprio degli anni 1866-1867 era divenuto una caserma.
Il Novecento inizia con l’episcopato di Gennaro Trama (1901-1927), il quale combatté gli errori del modernismo, celebrò il congresso eucaristico del 1925 e provvide allo sviluppo della fede in tempi terribili (prima guerra mondiale): aiutò gli orfani di guerra con la diffusione di asili infantili e orfanotrofi, affidati a varie congregazioni religiose (suore del Sacro Costato, salesiane dei Sacri Cuori, stimatine ecc.).
Promosse l’associazionismo laicale con la nascita dell’Azione cattolica, dei terziari francescani, delle dame di Carità, delle diverse confraternite.
Promosse anche la nascita del Piccolo Credito Salentino, prima banca cattolica nel Salento.
Nel 1908 nacque il seminario regionale, retto dai gesuiti, ma l’edificio fu requisito nel 1915 a causa dello scoppio della prima guerra mondiale e trasformato in ospedale militare.
Il futuro seminario regionale fu aperto a Molfetta, presso il seminario vescovile, essendo primo rettore Raffaello Delle Nocchie, segretario di monsignor Trama.
Successore di Trama fu Alberto Costa, di cui rammentiamo l’amore per il seminario e l’impegno per le vocazioni sacerdotali e le confraternite.
Il vescovo Minerva (1950-1981) applicò il concilio Vaticano II trovando, a volte, ostacoli e resistenze, ma costruendo numerose nuove chiese e fondando diverse parrocchie in un periodo di forte espansione della città e della diocesi; ospitò, nel 1956, il congresso eucaristico nazionale, celebrò due congressi mariani e, nel 1980, divenne il primo arcivescovo metropolita, riuscendo a sopravanzare la diocesi idruntina.
Sotto il suo episcopato nacque il settimanale, tutt’oggi operante, dell’«Ora del Salento», retto per primo dall’avvocato Bellini di Monteroni (1963) e fu promosso l’Istituto di scienze religiose (1959), divenuto Istituto superiore una decina di anni dopo.
Dopo l’episcopato di Michele Mincuzzi, attualmente regge la diocesi Cosmo Francesco Ruppi, il quale ha dato grande impulso alla pastorale diocesana, attuando il concilio, celebrando un sinodo diocesano, costruendo un nuovo seminario e, soprattutto, facendo giungere a Lecce, per la prima volta nella storia, papa Giovanni Paolo II (17-18 settembre 1994).
In seguito ai numerosi sbarchi di extracomunitari nella terra del Salento, a partire dagli anni Novanta, egli ha organizzato la loro accoglienza, sollecitando la nascita della fondazione Regina Pacis e dando alla diocesi uno slancio missionario.
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Diocese of Lecce
Chiesa Maria Santissima assunta
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La cattedrale Santa Maria Assunta nella piazza del duomo a LECCE -
Il presbiterio -
L’ambone -
Il soffitto nella navata centrale
Diocese
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.