Diocesi di Rossano - Cariati
STORIA
I - Dalle origini alla fine del rito greco
L’abbandono della città di Copia-Thurii nel corso del VI . e la mancanza di successive notizie sulla vita della locale comunità cristiana che, tra V e VI sec., risulta già strutturata, lascia supporre che per motivi di sicurezza di fronte a rivolgimenti bellici il vescovo di Copia-Thurii, senza cambiar di titolo, si sia trasferito nella poco distante Rossano, conosciuta come principale, più importante e fortificato centro della zona (frourion).Un primo impianto della cattedrale, secondo recenti scavi, è evidenziato da un pavimento in opus sectile di fine VI-inizi VII . Ma, a fronte di embrionali, per quanto lacunose e contraddittorie liste episcopali, costruite da storici locali e regionali, la prima segnalazione di Rossano come sede vescovile si trova nelle Diatyposi Notitia III – Nea Taktikà di Leone VI del 901-902, dove compare tra le tredici suffraganee della metropolia di Reggio Calabria, insieme con le diocesi di Cassano e Bisignano; ciò che farebbe supporre essere stato il territorio di queste tre diocesi, tra loro confinanti, costituito con quello precedentemente appartenuto a Copia-Thurii.
Tale dipendenza da Reggio dovette essere di breve durata in quanto, trasferitosi per motivi di sicurezza l’apparato amministrativo dalla città dello stretto a Rossano, questa di fatto divenne sede arcivescovile autonoma.
Lascia intravedere questo fatto un passo del Bios di san Nilo (910-1004) quando riferisce che, morto l’arcivescovo di Rossano, per la fama e la stima che godeva presso i suoi concittadini gli abitanti lo avevano designato a succedergli senza, tuttavia, riuscire nel loro intento.
Fissando l’origine della diocesi al IX . e lasciando sullo sfondo le forti perplessità circa i nomi – ma non la presenza – dei vescovi nel frattempo succedutisi, la cronotassi sicura può partire proprio dal riferimento della Vita Nili e cioè dai primi decenni della seconda metà del X sec., pur restando dubbi sugli altri nomi tramandati per circa tutto un secolo.
La prima volta, infatti, che esplicitamente compare il nome di un vescovo è nel Cod. Vat. Gr. 2082, dove si ricorda che l’opera fu portata a termine mentre «Teotisto era vescovo di Rossano» (f. 162 v).
Gli immediati successori, Pentatene (1065?-1085?) e Romano (1087-1093), ambedue monaci greci, si trovano a fronteggiare con atteggiamenti ed esiti diversi la politica normanna nei confronti della Chiesa greca in Calabria.
Il primo fu cacciato da Rossano e trasferito a Lemnos nel 1087; il secondo si mosse con più aperta perspicacia, ammorbidendo l’ostilità normanna, che tuttavia riemerse alla sua morte quando il duca Ruggero, in continuità con una linea assunta con altre diocesi della Calabria, tentò l’imposizione di un vescovo latino, ma fallendo nel tentativo per la forte opposizione del clero e del popolo di Rossano.
Nella prima metà dell’XI . operano due figure di rilievo, anch’essi monaci e rossanesi: Nicola Malena (1103-1131) e Teofane Cerameo (1131-1143).
Il Malena, appartenente a una delle più influenti e aristocratiche famiglie di Rossano (alla quale si vuole appartenesse san Nilo) è noto per lo scontro avuto con san Bartolomeo di Simeri, fondatore dell’abbazia del Patìr, conclusosi con l’esenzione della giurisdizione episcopale concessa da Pasquale II a favore del giovane cenobio.
Teofane Cerameo fu oratore richiesto, apprezzato e fecondo, come dimostra la sua predicazione nelle principali città del regno (Taormina, Palermo, Messina, Reggio), a Cariati e nella sua diocesi, soprattutto, «dall’ambone dell’arcivescovato»: la raccolta di oltre cento omelie per le domeniche e feste dell’anno rappresenta la più ricca in merito per tutto il Medioevo.
Nel corso del XII . la diocesi godette di concessioni e privilegi da parte di sovrani normanni e svevi, regolarmente e periodicamente in seguito confermati.
Inconvenienti di natura morale – come la celebrazione di matrimoni tra consanguinei di primo, secondo e terzo grado in linea diretta, sia tra i fedeli, sia tra i membri del clero greco e latino, denunziati dal vescovo Pasquale (1192-1218) a Innocenzo III e riconfermati anni dopo dal successore Basilio (1218-1239) a Onorio III –, questioni relative alla regolarità circa la nomina dei vescovi dalla base, la difesa da parte di Angelo (1266-1286) per usurpazione delle decime presso il re Carlo d’Angiò nel 1269, nonché la richiesta al papa di essere esentato dal versamento della decima per le gravi difficoltà economiche in cui versava la diocesi, sono spiragli circa alcuni problemi ricorrenti nel corso del XIII sec., che si incontreranno anche in seguito.
Definito risulta anche l’insieme dei paesi appartenenti alla diocesi che, salvo integrazioni o sottrazioni posteriori, costituiranno una circoscrizione piuttosto compatta, compresa tra il mar Ionio e i monti della Sila e ben dislocata rispetto al centro vescovile di Rossano sia verso nord sia verso sud.
Ma l’epoca medievale è segnata in profondità dalla civiltà bizantina, che fa di Rossano uno dei centri di maggiore rilievo sotto il profilo spirituale, culturale e politico.
Lo testimoniano non solo il passaggio o la permanenza di personaggi e personalità del mondo politico – Ottone II e la sua corte – scientifico – come il celebre medico e scienziato ebreo Domnolo Shabattai – ecclesiale, come i metropoliti della Calabria, alti funzionari imperiali, ma anche un’affermata scuola calligrafica.
Si tratta di note che emergono soprattutto nelle vicende del Bios di san Nilo.
L’esperienza monastica, quella italo-greca, nella fase più alta tra IX e XI-XII . affiancata e/o sostituita dalla strategia politica normanno- sveva, ha il principale e più noto testimone nell’abbazia di Santa Maria Nuova Odigitria (o, più comunemente, del Patìr) fondata da san Bartolomeo di Simeri (†1130) negli ultimi decenni del XII . Dal suo scriptorium, nel periodo di più intenso fulgore e attività, sono usciti una serie di codici, sparsi nelle più prestigiose biblioteche d’Europa.
Ancora oggi la chiesa monumentale e l’ampio residuo mosaico pavimentale lasciano intuire l’ampiezza del cenobio e la sua ricchezza, che lentamente e inesorabilmente tuttavia andrà sempre più scemando nel tempo fino alla definitiva scomparsa.
In campo letterario reliquia preziosa, unica nel suo genere del periodo bizantino, resta a Rossano il Codex Purpureus, assegnato al V-VI sec., con quattordici miniature e il testo dei Vangeli di Matteo completo e di Marco (fino a 16,14), in maiuscola biblica, vergato con le iniziali in oro e il seguito in argento, mentre il piano architettonico e figurativo è rappresentato in cattedrale dall’icona su parete di un’Odigitria Achiropita, dagli Oratori di San Marco (X sec.) e della Panaghia (XII-XIII sec.), anch’essi con tracce di temi iconografici.
L’esperienza monastica, comunque, continuerà a svolgervi un ruolo di rilievo, con la presenza e fondazione in quasi tutti i paesi della diocesi, a partire dai primi e poi con i più noti ordini mendicanti dal Medioevo fino a tutta l’età moderna per lasciare in età contemporanea poche ma solide tracce.
La presenza dei religiosi nelle forme più vive del monachesimo latino (benedettino, florense) degli ordini mendicanti (francescani con le successive diramazioni – conventuali, osservanti, cappuccini; domenicani, minimi, ospedalieri) costituirà, tuttavia, lungo i secoli di loro maggiore affermazione un sostegno non solo per le esigenze spirituali.
Durante il XIV . la nomina e – più spesso – la scelta dei vescovi avviene per opera e all’interno del capitolo cattedrale, con successiva conferma papale.
Ma con Giovanni di Gallinara (14 marzo-15 maggio 1373) la tradizione si interrompe.
Alcune novità sono segno e preludio di un cambiamento di rotta in atto e in prospettiva: la sua nomina è fatta direttamente dal pontefice Gregorio XI, che già se l’era riservata, ancora vivente il predecessore Isaia o Isacco (1365-1373).
È francescano, è trasferito dalla Chiesa di Gravina ed è di rito latino: sono tre elementi significativi perché prima di lui nessun arcivescovo era venuto a Rossano da altra sede, né era stato di rito latino, né era appartenuto a un ordine mendicante, né tanto meno a ordine monastico latino.
L’iniziativa papale continuerà sia per gli arcivescovi «intrusi», nominati dagli antipapi Clemente VII e Benedetto XII, sia con i papi legittimi da Urbano VI in poi.
Un’altra novità interviene nel 1437 quando Cariati, una parrocchia della Chiesa rossanese, sotto il vescovo Antonio Roda da Rossano (1434-1442) viene eretta a diocesi, unita a Cerenzia, con annessione di territorio sottratto alla diocesi di Rossano.
La serie delle novità di rilievo può, per questo periodo, considerarsi chiusa con l’arcivescovo Matteo Saraceno (1460- 1481), di Reggio Calabria, figura di spicco tra gli osservanti calabresi del Quattrocento, già attivissimo e uomo di fiducia della Santa Sede.
Nei primi tempi del suo governo abolì (1461) il rito greco nella cattedrale, sostituendolo con il rito latino.
Si trattò di un gesto indubbiamente necessario per la sproporzione tra canonici appartenenti ai due riti (quattro greci e sette latini), ma che provocò vivaci reazioni in coloro che seguivano le tradizioni greche, nonostante gli avesse assegnato un’antica chiesa, sede della prima cattedrale.
Da allora un residuo segno è rimasto nella liturgia della Domenica delle Palme.
Con il successore di Saraceno (Nicola de Ippolitis, 1481-1493) e, salvo la parentesi di G. B. Lagni (1493-1507), a partire dallo spagnolo Caravajal (1508-1511), fino a P. E. Varallo per la diffusa prassi della commenda, (1551-1553) la diocesi resta priva della presenza dei vescovi nominati.
Efficace ma breve la dimora di Gianbattista Castagna, che pure mantenne a lungo la titolarità della sede (1553-1573) e che nel 1590 fu eletto papa: un pontificato di appena dodici giorni dal 15 al 27 settembre.
L’andazzo cessò con Lancellotto Lancellotti (1573-1580).
II - Dal concilio di Trento al Vaticano II
È il concilio di Trento che comincia a dare i suoi frutti.Conoscenza e cura diretta della diocesi vengono rilevate dai primi sinodi, celebrati dallo stesso Lancellotti nel 1574 – al quale si deve anche la consacrazione della cattedrale (1580) – e di L. Sanseverino (1592-1612) nel 1594.
L’analisi della realtà ecclesiale, affidata alle relationi ad limina, a partire dal 1591 da S. Floccari (1589-1592) e alle visite pastorali, l’interesse a favore del popolo e la difesa dei diritti della Chiesa, l’istituzione del seminario, i rilevanti interventi per l’impianto architettonico, l’ampliamento, il decoro liturgico della cattedrale, il favore accordato per l’introduzione in diocesi a vari ordini religiosi mendicanti (carmelitani, 1568; cappuccini e minori riformati a Corigliano; fatebenefratelli con l’ospedale di San Giovanni di Dio e cappuccini a Rossano; riformati a Terranova) sono i segnali di una progressiva vitalità.
Anche la riscoperta del culto verso il più illustre figlio di Rossano, il monaco Nilo (vi era nato nel 909, e dopo prolungata permanenza in Calabria e in Campania era morto a Grottaferrata nel 1004), nonostante il suo ricordo non fosse del tutto affievolito, conosce i primi efficaci segni che poi si sarebbero sviluppati in crescente continuità nel tempo.
Così nel 1618 la proclamazione a patrono della città e della diocesi di Rossano, nel 1620 la posa della prima pietra per l’erigenda chiesa parrocchiale intitolata a lui e al discepolo prediletto san Bartolomeo, a Rossano (Vaccaro, 1619-1624), l’erezione in cattedrale di un artistico altare in suo onore (G. Carafa, 1646-1664), l’ottenimento (1677) dell’ufficio proprio (A. Della Noce, 1671-1675).
Questa particolare attenzione al culto divino e alle necessità del popolo proseguì ininterrotto con tutti gli arcivescovi dall’epoca moderna in poi, distinguendosi, tra essi, più di uno per i segni duraturi e monumentali lasciati in città nella cattedrale e nell’episcopio a dimostrazione dell’importanza e del rilievo della sede: passarli in rassegna significa ripercorrere in nuce la storia della preghiera e dei sentimenti nel governo della diocesi.
A riconoscimento e quasi a suggello dello zelo profuso, l’apparizione documentata e inoppugnabile della Madonna Achiropita nel 1741, il 25 dicembre e nei giorni seguenti; un evento, da allora annualmente commemorato con la processione dell’imponente busto d’argento, fatto fondere a Napoli e benedetto il 7 agosto 1768, simbolo – accanto alla primitiva antica icona – della solidissima devozione mariana del popolo.
I venti della Rivoluzione francese e dell’ondata napoleonica, nonché i rivolgimenti che ne seguirono, fecero sentire anche in loco, e in forme talora pesanti, i contraccolpi; come ebbero a sperimentare, sia pure con peso diverso, all’indomani dei primi moti del 1799, l’arcivescovo Cardamone (1778-1800), diversi centri periferici durante il decennio francese (1806- 1815) e, nel passaggio dai Borbone ai Savoia e nei primi anni dell’unificazione politica dell’Italia, l’arcivescovo Pietro Cilento (1844-1887).
Una spiccata attenzione alla pratica della carità, come alla mai smessa attenzione per l’abbellimento e la dotazione liturgica della cattedrale, nonché delle parrocchie della diocesi, la particolare cura per la formazione del clero, l’incoraggiamento e i favori accordati alle nuove forme di pietà che andavano diffondendosi, caratterizzano in modo costante e progressivo l’operato dei pastori della prima metà del XIX . (S. Miceli, 1804- 1813; Carlo Puoti, 1818-1826; S. De Luca, 1827-1833; B. M. Tedeschi, 1835-1843) proseguito decisamente e con incisività nei decenni successivi a partire da Pietro Cilento.
Nel corso del suo episcopato – il più lungo nella storia della diocesi – la celebrazione di un sinodo diocesano (1859), l’appoggio dato alla nascente congregazione delle suore riparatrici del Sacro Cuore, a opera della nobile rossanese, la serva di Dio madre Isabella de Rosis (1842-1911), alla diffusione della devozione del Sacro Cuore e dell’apostolato della preghiera, in tutti i campi della vita sociale e religiosa segnano un’epoca, su cui si innesterà l’opera dei successori.
Un magistero alto di pensiero e di vita, infatti, e di forte incisività alimenterà la comunità ad opera di pastori che chiudono lOttocento e aprono la temperie del Novecento.
III - XIX e XX sec.
Si tratta di forti personalità, note anche fuori dell’ambito calabrese: Donato Dell’Olio (1891-1898), trasferito poi a Benevento e creato cardinale da Leone XIII (1901); Orazio Mazzella (1898-1917) – nipote del più noto tomista cardinale Camillo Mazzella – autore di apprezzate pubblicazioni sugli emergenti problemi sociali – la questione operaia, il divorzio, la scuola di religione, il libero pensiero, il terremoto calabro-siculo del 1908, la guerra – e per l’insegnamento teologico del tempo, la fondazione di istituzioni educative come il convitto arcivescovile.accorsato anche dalle regioni limitrofe.
La carica pastorale di Giovanni Scotti (1918-1930) è tutta tesa a favorire e diffondere le nuove forme associative di apostolato – casse rurali, circoli cattolici, istituzioni caritative, l’Azione cattolica, specialmente, con una particolare attenzione per la formazione di base e permanente del clero (ricostruzione di un grandioso seminario estivo, incontri periodici e annuali di studio e di esercizi spirituali).
Il nuovo favorevole, ma non facile, corso aperto con il concordato, le gravi difficoltà apportate dal secondo conflitto mondiale, il fervore della ripresa, seguito dall’assetto repubblicano, hanno comportato non solo un incremento di strutture con nuove parrocchie e centri pastorali, ma anche una progressiva, più convinta consapevolezza di un ministero sacerdotale all’altezza dei tempi, per i quali, se l’opera svolta dai seminari regionali nei decenni precedenti (il «Pio X» di Catanzaro: 1912-1941 e dal 1954 in poi; il «Pio XI» dal 1933) aveva posto solide basi, la lezione del concilio Vaticano II indicava le più appropriate traiettorie, efficacemente promosse e sostenute della mediazione di attenti e dinamici pastori: il siciliano Giovanni Rizzo (1949-1971), il lucano Antonio Cantisani (1972-1980), il calabrese Serafino Sprovieri (1980-1992).
Il corso impresso può essere idealmente racchiuso tra gli estremi di inizio e fine secolo con la celebrazione del sinodo Mazzella (1906) e di quello avviato e non concluso di monsignor Sprovieri (1989-1992).
L’incremento demografico, le moderne esigenze e i mutamenti sociali dovuti a particolari fattori (processi di modernizzazione nei paesi e urbanizzazione nelle aree rurali lungo la fascia costiera, più dignitoso tenore di vita per una disponibilità economica solida e continuativa, frutto del flusso migratorio in Europa) hanno richiesto l’istituzione di nuove parrocchie (fino a cinquantadue nel 2004), presso le quali – quasi tutte – lungo la seconda metà del Novecento, sostenute di volta in volta da politiche statali favorevoli, e per l’interessamento dei parroci, la cura dell’infanzia ha trovato per più anni capillare sostegno negli asili infantili, e quella per la gioventù nei maggiori centri urbani, anche per il munifico intervento di enti e privati, centri scolastici e formativi, veri punti di riferimento anche per la società civile (Istituzione Teresiana di san Pedro Poveda; Istituto magistrale e padri giuseppini del Murialdo con Scuola di arti e mestieri a Rossano; padri salesiani di don Bosco con Oratorio a Corigliano).
Il territorio diocesano, invece, è stato interessato da diversi cambiamenti: la sottrazione di cinque paesi albanofoni, di rito orientale, tradizione costantinopolitana o bizantina (non senza problemi di reciproca comprensione per le rispettive differenze sin dal loro sorgere nel XV sec.: San Cosmo Albanese, San Giorgio Albanese, Vaccarizzo, Macchia, e San Demetrio Corone), e l’assegnazione alla nuova eparchia di rito greco di Lungro (1919); l’aggregazione- unificazione di Cariati e di paesi a essa appartenenti (Scala Coeli, San Morello, Terravecchia nel 1979) a Rossano, dando così origine alla attuale denominazione di arcidiocesi di Rossano-Cariati; per ultimo il passaggio dalla metropolia di Reggio Calabria alla nuova metropolia di Cosenza-Bisignano (2001).
Bibliografia
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Diocesi di Rossano - Cariati
Chiesa di Maria Santissima Achiropita
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.