Diocesi di Parma
STORIA
I - Dalle origini alle lotte per le investiture
Una serie di frammenti documentari attesta l’esistenza della sede vescovile di Parma già nella seconda metà del IV sec., sotto la guida di Urbano, che venne deposto in quanto seguace dell’arianesimo.Probabilmente però, prima di lui, vi fu un altro vescovo di cui non si hanno notizie fondate.
È da ritenersi che, alla destituzione di Urbano, la sede episcopale, che dipendeva da Milano, venne spostata da Ambrogio a Brescello, appartenente al territorio della diocesi parmense, nella quale fu insediato Genesio.
La sede tornò definitivamente a Parma nel 497, dopo che la diocesi era stata resa suffraganea di Ravenna.
Il vuoto conoscitivo sugli sviluppi della storia della Chiesa locale e sulla serie dei vescovi si interrompe con Pietro, che resse la diocesi fino all’819.
Nei quattro secoli successivi, l’autorità vescovile, depositaria di un potere giuridico capace di imporsi alla frammentazione di una società fluida, conobbe un sensibile rafforzamento, grazie anche alla capacità di inserirsi nelle lotte per l’egemonia dell’Italia.
Sotto Vibodo (860-895), rimasto fedele a Carlomanno, figlio di Ludovico II il Germanico, nonostante l’intervento di papa Giovanni VIII in favore di Carlo il Calvo, iniziò la giurisdizione politica dei vescovi su Parma, formalizzata dalla donazione da parte del nuovo re d’Italia della corte regia all’interno della città e delle regalie connesse.
La fondazione del Collegio dei canonici della cattedrale si deve a Vibodo, il quale poi, dopo la deposizione di Carlo il Grosso, si schierò con Guido da Spoleto, riuscendo peraltro a ottenere dal re di Germania Arnolfo la conferma dei precedenti privilegi.
A riprova dell’influenza politica progressivamente acquisita, va rilevato come non pochi cancellieri imperiali si alternarono alla sede vescovile di Parma: Elbungo (896-915), Sigifredo I (926-945), Uberto (960-980).
Con Sigifredo II (981-1015), presente all’incoronazione imperiale di Enrico II il Santo, che gli ampliò i poteri sul contado, si ebbe la fondazione del monastero benedettino di San Giovanni Evangelista, nello spirito della riforma cluniacense.
Il processo di estensione della giurisdizione ecclesiastica si perfezionò dopo la morte dell’ultimo conte laico Bernardo, quando l’imperatore Corrado II il Salico concesse al vescovo Ugo (1027-1044) il contado con il relativo titolo nobiliare.
Il conflitto per le investiture apertosi tra l’autorità secolare e il papato interessò sensibilmente Parma, quando nel 1045, secondo uno schema consolidato, venne nominato vescovo il cancelliere imperiale Cadalo, sostenitore del principio della subordinazione della Chiesa all’impero, duramente censurato da Pier Damiani, che si era formato alla Scuola vescovile parmense, fondata agli inizi dell’XI sec., dove si era fermato poi a insegnarvi.
All’elezione nel 1061 di Alessandro II senza il consenso imperiale, Cadalo venne designato antipapa con il nome di Onorio II, cercando invano di spodestare il rivale, prima di ritirarsi definitivamente a Parma, dove morì nel 1072.
Sulla stessa linea, il successore Everardo sostenne l’antipapa Clemente III (Giberto della famiglia parmense dei Giberti) contro Gregorio VII.
II - Dall’alto Medioevo al concilio di Trento
La situazione si normalizzò solamente negli anni dell’episcopato di Bernardo degli Uberti (1106-1133), abate generale vallombrosano, che avvalendosi della protezione di Matilde di Canossa, di cui fu anche consigliere, ripristinò i diritti del papato, impose la disciplina ecclesiastica e favorì il radicamento della riforma gregoriana.Canonizzato dal successore Lanfranco, venne poi dichiarato patrono della diocesi.
La fazione favorevole all’impero ebbe, comunque, l’ultimo sussulto con Aicardo da Cornazzano (1162-1170), che appoggiò il sogno di restaurazione di Federico I Barbarossa, prima di essere deposto.
Sotto Obizzo Fieschi (1194-1224) sorse, peraltro, un conflitto giurisdizionale con il comune che diede forza al radicamento delle idee ghibelline fra i «non devoti e duri e crudeli» parmigiani, secondo l’aspro giudizio di fra Salimbene da Parma.
In questo clima, si può comprendere meglio da un lato la diffusione del francescanesimo – un discepolo del santo d’Assisi fu anche acclamato podestà –, dall’altro la presa delle correnti religiose riformatrici di stampo ereticale nel corso del XIII . Tra queste, conobbe una certa vivacità il movimento detto degli apostolici, guidato da Gherardino Segarelli, che venne arso vivo nell’anno santo 1300 e che ebbe in Dolcino da Novara l’ideale continuatore.
Nell’eclissi dello spirito comunale, la Chiesa si trovò pienamente coinvolta nell’estenuante lotta tra le signorie cittadine, simboleggiata dall’elezione a vescovo di Ugolino Rossi (1323-1377), appartenente a una delle famiglie parmensi più potenti, il cui governo rimase insuperato per durata temporale.
Analogamente, negli anni della dominazione esterna dei Visconti e degli Sforza su Parma, che si protrasse fino alla fine del XV sec., l’istituzione ecclesiastica locale non rimase immune dalle contese politiche.
Fu con papa Giulio II, il quale fece occupare Parma e Piacenza, che la Santa Sede riuscì a rivendicare il dominio sulla città.
Durante il pontificato di Leone X, a Parma fu anche commissario e governatore apostolico Francesco Guicciardini.
Per contro, quando Alessandro I Farnese, che era stato amministratore perpetuo della Chiesa di Parma dal 1509 al 1534, fu eletto papa con il nome di Paolo III, il Ducato dell’Emilia occidentale venne affidato al figlio Pier Luigi, che in precedenza era stato nominato gonfaloniere della Chiesa.
In tal modo, autorità religiosa e potere civile trovavano una saldatura senza precedenti.
III - Da Trento al periodo napoleonico
Nel periodo del concilio di Trento la diocesi fu retta da Guido Ascanio Sforza (1535-1560) e da suo fratello Alessandro Sforza (1560-1573).Quest’ultimo istituì nel 1566 il seminario.
L’applicazione della riforma ebbe un impulso decisivo con la visita apostolica del 1578-1579 compiuta dal vescovo di Rimini Giovanni Battista Castelli, preceduta e seguita idealmente dai tre sinodi cosiddetti farnesiani, celebrati nel 1575, nel 1581 e nel 1583 da Ferdinando Farnese (1573-1606).
Nel 1582 la diocesi divenne suffraganea di Bologna.
Al lento processo di secolarizzazione del ducato dalla sfera di influenza religiosa, si accompagnò la stabilizzazione più compiuta del dettato conciliare nel corso del XVII sec., quando la pratica delle visite pastorali si impose durante gli episcopati di Carlo Nembrini (1652-1677), Tomaso Saladini (1681-1694), Giuseppe Olgiati (1694-1711).
In questo periodo, la diocesi tenne anche diversi sinodi (1602, 1621, 1659, 1674, 1691).
Va, inoltre, sottolineato che in virtù della spinta post-tridentina cominciarono a porsi le premesse per realizzare un collegamento meno aleatorio tra la città e i villaggi della campagna, reso sempre problematico nella diocesi di Parma dalle tensioni politiche che ne avevano segnato le vicende nei secoli precedenti.
Non di meno autorità spirituale e potere politico trovarono più sofisticate forme di convergenza, testimoniate dalla presenza ininterrotta nel secolo dei lumi di vescovi «nobili» ai vertici della Chiesa parmense: Camillo Marazzani (1711-1760) e Francesco Pettorelli-Lalatta (1760-1788).
Questa tendenza si invertì con il cappuccino Adeodato Turchi (1788-1803), che diede un’interpretazione estensiva del modello episcopale tracciato a Trento.
Alla visita pastorale che inaugurò l’episcopato, fece seguito una fitta serie di interventi pastorali, nei quali, come reazione al trauma della rivoluzione del 1789 e ai contraccolpi prodotti dalla campagna napoleonica, non mancò di sottolineare insistentemente la derivazione divina delle istituzioni politiche.
Il passaggio del ducato alla Francia segnò il riallineamento di questa sensibilità: alla morte del religioso «antifrancese» a Parma venne designato il cardinale «napoleonista» Carlo Francesco Caselli (1804-1828), che era stato tra i fautori del concordato del 1801.
Il servita, attraverso i Te Deum che accompagnavano le imprese militari di Bonaparte, assecondò il nuovo corso della politica ecclesiastica, procedendo al riordinamento delle parrocchie cittadine, riformando il calendario delle feste, promulgando il decreto imperiale per le fabbricerie, adottando il catechismo napoleonico.
Nel 1806 la diocesi venne assoggettata a Genova.
La salvaguardia di spazi di autonomia nell’ambito dell’istruzione religiosa e della formazione dei chierici consentì alla Chiesa parmense, che nel 1818 fu posta alle dipendenze dirette della Santa Sede, di inserirsi senza scossoni destabilizzanti nel clima della restaurazione, segnato dal governo di Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, protrattosi fino al 1847, quando il ducato passò ai Borbone di Lucca.
IV - L’età contemporanea
Il mutato clima politico e culturale non segnò una cesura netta nella storia della Chiesa di Parma.La continuità negli orientamenti pastorali di fondo fu garantita da Vitale Loschi (1831-1842), già vicario di Caselli, che sollecitò la diffusione dell’insegnamento della dottrina cristiana e aprì il seminario di Berceto destinato ai chierici dell’Appennino.
L’insediamento, su sollecitazione di Maria Luisa, di un «vescovo austriaco», come venne ribattezzato l’ungherese Giovanni Neuschel (1843-1852), al governo della diocesi innescò uno strisciante clima di ostilità nel clero locale, culminato nei moti del 1848, quando il presule fu indotto ad abbandonare la città, mentre Giovanni Carletti, tra i più influenti sacerdoti parmensi, veniva eletto nel governo provvisorio insediatosi dopo la destituzione dei Borbone.
Il passaggio dalla «seconda» restaurazione del potere ducale all’unità nazionale venne gestito dal cappuccino Felice Cantimorri (1854-1870), il primo vescovo nominato da papa Pio IX, il cui approccio pastorale trovò localmente una mediazione rigorosamente fedele.
Nel conflitto tra Stato e Chiesa, infatti, si aprì a Parma una crepa vistosa, paradigmaticamente restituita dagli avvenimenti del 1866: dopo l’invio in domicilio coatto del vescovo e dei suoi più diretti collaboratori, il capitolo della cattedrale levò un proclama in appoggio alla terza guerra d’indipendenza.
Le divisioni nel tessuto ecclesiale resero più difficile l’applicazione del programma pastorale del presule, volto soprattutto alla cura spirituale del clero e alla riorganizzazione del seminario.
Al concilio Vaticano I egli si associò alla maggioranza infallibilista con interventi che monsignor Giulio Arrigoni bollò impietosamente come «cinguettii ».
Le tensioni insorte vennero progressivamente riassorbendosi negli anni dell’episcopato di Domenico Maria Villa (1872- 1882), il quale, spronando clero e fedeli a essere integralmente cattolici «senza epiteti », rimase fermo nella convinzione che «non la Chiesa con la Civiltà, ma la Civiltà deve conciliarsi con la Chiesa, ritornando ai principi dell’autorità e della giustizia ».
Il netto intransigentismo in campo dottrinale, solidamente radicato, secondo gli impulsi di Leone XIII, al rilancio del tomismo, che ebbe una traduzione immediata con l’istituzione dell’accademia filosofica di San Tommaso d’Aquino, venne mitigato nell’azione di governo, contrassegnata dalla celebrazione di un sinodo e dall’indizione di due visite pastorali.
Tra i frutti più fecondi di questo impegno, vanno annoverati il profondo rinnovamento del seminario, la sensibilità per una purificazione delle pratiche sacramentali e devozionali, la viva attenzione per l’istruzione catechistica.
Parimenti vanno ricordati il sostegno offerto alle prime forme di associazionismo laicale inquadrate nell’Opera dei congressi e alle opere caritative, che ebbero in suor Anna Maria Adorni, fondatrice nel 1855 dell’istituto del Buon Pastore (eretto in congregazione nel 1876), e in don Agostino Chieppi, fondatore nel 1865 delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori, l’espressione più incisiva.
Vicino alle correnti conciliatoriste, Giovanni Andrea Miotti (1883-1893) lasciò cadere i motivi di opposizione polemica allo Stato liberale, proseguendo peraltro nel solco aperto dal predecessore per quanto concerneva il rilancio della catechesi (attraverso la creazione della prima scuola di religione in Italia) e la diffusione del movimento cattolico (con istituzioni di carattere economico e sociale).
In questo, si avvalse particolarmente di alcune congregazioni religiose come gli stimmatini o i salesiani, giunti a Parma rispettivamente nel 1876 e nel 1888.
Sotto il successore Francesco Magani (1893-1907) la Chiesa di Parma conobbe un periodo ininterrotto di lacerazioni interne, originate da un contrasto su un’eredità, che poi finì per non lasciare immune praticamente nessun settore pastorale.
Al conflitto con una parte della curia e del clero, il presule di origine pavese vide, infatti, sommarsi i contrasti con il laicato più attivo raccolto attorno alla personalità emergente di Giuseppe Micheli, che toccavano la presenza nella società di opere volte a fronteggiare l’avanzata del socialismo, l’impegno cattolico nelle amministrazioni comunali, sullo sfondo di visioni ecclesiologiche affatto collimanti.
Le tensioni si acuirono in corrispondenza della crisi dell’Opera dei congressi nel recupero «moderato» dei fermenti murriani.
Toccò a Guido Maria Conforti (1907- 1931), già vicario generale nella parabola iniziale dell’episcopato di Magani e fondatore in diocesi dell’Istituto per le missioni estere intitolato a san Francesco Saverio, impegnato nel rilanciare l’evangelizzazione della Cina, venire a capo delle «condizioni eccezionalmente lagrimevoli di questa Diocesi».
All’atteggiamento prudente tenuto nella temperie modernista, corrisposero le pressanti sollecitazioni per la formazione spirituale e culturale del clero, l’incoraggiamento al rinnovamento della parrocchia, una più matura distinzione tra piano religioso e sfera politica nella missione della Chiesa, la promozione del movimento liturgico, la maturazione di una visione «moderna» della collaborazione laicale.
Alieno da prese di posizione nei confronti dell’autorità costituita, non esitò tuttavia a denunciare le violenze dello squadrismo fascista.
I densi stimoli pastorali trovarono un compendio nei due sinodi celebrati (1914 e 1930) e nelle cinque visite pastorali promosse.
Nel 1996 fu proclamato beato da Giovanni Paolo II.
Il lungo episcopato di Evasio Colli (1932-1971) fu segnato dal notevole impulso dato al laicato organizzato, in particolare dell’Azione cattolica (fu anche segretario della commissione cardinalizia preposta alla direzione del centro nazionale nella congiuntura bellica), e dall’incessante attenzione rivolta alla qualificazione del clero (anche attraverso l’incremento delle vocazioni).
Sostenitore di un lealismo lontano da pieghe nazionalistiche, negli anni della guerra civile Colli si adoperò attivamente per far ritrovare la «concordia di animi», prodigandosi come mediatore nello scambio di prigionieri tra le parti in conflitto.
Ancorato a una visione di Chiesa portata a sottolineare il ruolo «docente» del vescovo (di qui l’indizione di una specifica giornata annuale), si trovò spiazzato dalle novità del concilio Vaticano II, durante il quale tenne un profilo defilato, vedendosi poi affiancare nel 1966 un amministratore apostolico sede plena.
I fermenti postconciliari ebbero un momento di acuta tensione con l’occupazione della cattedrale nel 1968, trovando poi una non piatta opera di decantazione prima e di rilancio nella recezione dello spirito del Vaticano II poi da parte di Amilcare Pasini (1971-1982) e di Benito Cocchi (1982-1996).
Nel 1976 la diocesi divenne suffraganea della sede metropolitana di Modena.
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Diocesi di Parma
Chiesa di Santa Maria Assunta
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La facciata della cattedrale di Santa Maria Assunta a Parma con il Battistero di San Giovanni Battista sul lato su... -
Veduta dall’aula dall’ingresso -
Veduta dall'aula dal presbiterio -
Bassorilievo di B. Antelami, Deposizione, 1178 -
Il fonte battesimale nell'adiacente Battistero
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.