Diocesi di Ravenna - Cervia
STORIA
Non sappiamo quando il messaggio evangelico sia comparso a Ravenna, ma tutto fa supporre una presenza nella primissima ora, per i componenti siri della flotta romana.Quando il numero dei fedeli cominciò ad avere consistenza, giunse Apollinare.
La tradizione ci mostra un vescovo itinerante, un Isapostolo, il cui territorio di predicazione abbracciava non solo l’Adriatico, ma anche la parte orientale dell’impero romano, quella che noi oggi indichiamo come Balkania.
Egli visse con ogni probabilità nei primi anni trenta del II . e da lui prese origine la successione episcopale ravennate.
Apollinare è certamente la presenza pontificale più antica nell’Italia settentrionale e nello stesso nord dell’Europa.
Poco sappiamo dei vescovi dopo di lui, morto martire per un linciaggio, ma abbiamo la significativa presenza a Serdica nel 342-343 dell’undicesimo suo successore: Severo (308 ca-346), il quale sottoscrisse gli atti di quel concilio, terzo per anzianità.
Severo è certamente colui che ha istituzionalizzato la Chiesa di Ravenna dopo la pace costantiniana.
Poche sono le notizie che noi possediamo relative al IV sec., ma è nel 402 che un avvenimento di natura civile coinvolse anche la Chiesa della città: la sede imperiale fu trasferita da Milano a Ravenna.
Era vescovo Orso (399 ca-426 ca) che provvide a edificare, entro le mura e con il concorso quasi certo della corte, la grande cattedrale che dedicò alla Aghìa Anàstasis, con il relativo battistero.
Durante il suo lungo episcopato la Chiesa di Ravenna visse un contatto molto intenso con le altre Chiese dell’ecumene romana per l’andirivieni di papi e di vescovi a corte.
Al vescovo Orso successe uno dei più grandi presuli del V sec.: Pietro, soprannominato Crisologo.
Diciassettesimo dopo Apollinare, egli fu vescovo in un periodo difficile, ma estremamente positivo per la cristianità ravennate.
Nel 430 papa Celestino e l’augusto Valentiniano III eressero la metropolia di Ravenna stornando sei diocesi emiliane al metropolita di Milano; la Flaminia, eccetto Ravenna, restava dipendente dalla metropolia romana.
Le diocesi che entrarono nella nuova metropoli furono Forum Livii, Faventia, Forum Cornelii, Bononia, Mutina e Vicohabentia.
Con il Crisologo era attiva l’augusta Galla Placidia, che di fatto e fino alla morte detenne il potere supremo.
Presenze monastiche significative, presenze etniche diverse, resero la città e la sua Chiesa un ricco mondo cosmopolita.
Man mano che l’autorità civile veniva meno, la Chiesa di Ravenna si trovò a essere l’unico punto di riferimento sicuro nel territorio.
Non fu certamente solo spettatrice alla caduta del potere imperiale in Occidente nel 476, quando era metropolita Esuperanzio; come non stette inerte, alla venuta del re Teoderico.
Il grande metropolita Giovanni Angelopte mediò fra i due re, Odoacre e Teoderico, un accordo per alleviare, dopo tre anni di assedio, le sofferenze della città, ottenendo garanzie di sicurezza per la popolazione cattolica.
L’evolversi della situazione politica non arrestò l’espansione edilizia della Chiesa ravennate, non solo nella sede metropolitana, ma anche nel suo territorio.
Alla caduta del regno goto, nel 540 Ravenna rientrò nell’orbe romano e divenne sede dell’esarca bizantino.
In quegli anni, morto il metropolita Vittore (†15 febbraio 545), l’augusto Giustiniano impose alla sede di Ravenna un diacono di Pola: Massimiano, che il 14 ottobre 546 fece ordinare vescovo a Patrasso, sulla tomba di sant’Andrea apostolo, dal papa Vigilio.
Il nuovo metropolita non fu accolto in città con grande entusiasmo, ma lentamente fu apprezzato dal clero e dal popolo per la sua ricca e forte personalità.
Egli fu uno dei più grandi vescovi ravennati: durante il suo episcopato furono costruite o terminate basiliche insigni, giunte fino a noi: Sant’Apollinare in Classe e San Vitale.
Altre purtroppo conobbero distruzione e rovina, quali San Michele in Africisco.
Massimiano fu insignito del potere di arcivescovo, ossia vicario papale per le metropolie dell’Italia settentrionale: Milano, Aquileia e Ravenna, al pari dei metropoliti di Tessalonica, Giustiniana Prima e Cartagine.
Quando morì, il 22 febbraio 556, l’importanza della Chiesa di Ravenna era talmente consolidata che la stessa Chiesa di Roma doveva spesso chiedere i suoi buoni uffici presso l’esarca.
Spesso fra le due Chiese si ebbero dispute giurisdizionali, specialmente al tempo di papa Gregorio il Grande (590-604); ciò nonostante fu lo stesso Gregorio che «commendò», a causa delle incursioni dei longobardi, i vescovi della Flaminia, dipendenti sempre da Roma, alla metropoli ravennate.
Il trentaquattresimo successore dell’Isapostolo, Mauro (642-671), ottenne dall’augusto Costante II, il 1° marzo 666, il tomos di autocefalia della Chiesa di Ravenna.
L’atto, pienamente legale perché ottemperava al canone XVII del IV sinodo ecumenico, non fu mai accolto, per ovvie ragioni di politica ecclesiastica, dalla Sede romana, ma lo fu dalle altre Chiese; Ravenna ai sinodi generali firmava all’ottavo posto.
Caduto il potere esarcale nel 742, questo, di fatto, fu esercitato dall’arcivescovo fin dal tempo di Sergio (744-769) che fu di forte e perseverante carattere, anche di fronte alle proteste dei papi che, in base alla Donatio Carisiaca, esigevano il dominio sull’esarcato.
Sergio fu il vero esarca e tale potere, con alterne fortune, rimase in mano ai suoi successori fino all’arcivescovo Simeone (1217-1228); con tale titolo ancora oggi viene salutato il successore di sant’Apollinare.
Lo scorrere faticoso e difficile dei tempi non arrestò lo sviluppo della Chiesa di Ravenna.
All’inizio del VII sec., stornando territori vallivi della diocesi arcivescovile, furono erette le diocesi di Adria e di Comacchio, avamposti contro Aquileia e Milano nella lotta teologica tricapitolina.
Gli enormi possedimenti terrieri venivano concessi a enfiteusi con grande equilibrio distributivo, che comportava per la Chiesa di Ravenna un cespite notevole di entrate, anche dopo la perdita del Patrimonium Siciliense nel VII . Il X sec., epoca degli Ottoni, fu per Ravenna un periodo di grande fiorire che si protrasse almeno per duecento anni.
A metà del secolo nacquero il grande Romualdo dal Duca Sergio, Guido, futuro abate di Pomposa e Giovanni, abate di Fécamp, nipote di san Guglielmo di Volpiano, considerato il più grande scrittore di spiritualità del suo tempo.
Nel secolo successivo nacque Pietro Damiani, il massimo teologo del suo tempo, eremita, vescovo, cardinale e fecondo scrittore.
Gli stessi arcivescovi san Giovanni di Besate (983-998 morto eremita il 12 gennaio 1000); Gerberto d’Aurillac (998-999) divenuto papa Silvestro II; Leone (999- 1001, †14 luglio 1005) amico di sant’Adalberto di Praga e di san Nilo di Grottaferrata, illustrano la città, insieme all’augusta Teofano, madre di Ottone III, che vi soggiornava lungamente e spesso con il figlio.
In quel periodo la Chiesa ravennate giunse al massimo della sua espansione con le seguenti diocesi suffraganee: Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Adria, Voghenza, Comacchio, Imola, Faenza, Forlì, Forlimpopoli, Cervia, Cesena, Sarsina, Rimini e Montefeltro; la diocesi di Brescello, distrutta nel VII sec., era del tutto scomparsa.
Nell’XI . il beato Pietro Peccatore fondò o riformò presso Santa Maria in Porto la canonica con i suoi presbiteri e portò da Costantinopoli (20 aprile 1096) la veneratissima immagine della Madonna Greca.
Ravenna in quel passaggio di millennio ospitava inviati dei sovrani polacchi, russi, ungheresi; fu transito verso Roma dei pellegrini provenienti dalle nazioni entrate da poco nella cristianità, per i quali furono costruiti ospizi e relative chiese.
Anche a sì degni personaggi si dovette l’elevato grado culturale del momento, che trovò non solo nella teologia con Pietro Damiani, ma anche nella musica, altissima espressione nel monaco Guido di Pomposa che, ad Arezzo, con il vescovo Teodaldo di Canossa, formalizzò per iscritto il nuovo sistema pentagrammatico.
L’XI . trovò presenti in città una serie di vescovi di origine tedesca, imposti dall’autorità imperiale, alcuni dei quali indubbiamente degni di menzione.
L’arcivescovo Etelberto (1004-1014), espressione della realtà ecclesiale locale, dovette cedere il posto al fratello dell’imperatore Enrico II, Arnoldo di Sassonia (1014-1019); eletto senza il consenso della corte, ma sostenuto dall’episcopato emiliano e romagnolo, fu trasferito ad Arezzo dove fu uno dei più grandi vescovi di quella Chiesa illustre, smentendo il giudizio dell’imperatore che lo voleva deporre.
Arcivescovo insigne fu Gebeardo di Eichstätt (1027- 1044), che ordinò presbitero Pietro Damiani e fu intimo di Guido, abate di Pomposa.
I suoi successori si distinsero quasi sempre per essere servili con gli imperatori e quindi, a seconda della politica imperiale, per essere con o contro il papa di Roma.
Questa alterna vicenda raggiunse il suo culmine con l’arcivescovo Wiberto (1072-1100) che usurpò, quale antipapa, con il nome di Clemente III (1080-1100), la cattedra di San Pietro.
Abbiamo anche successivamente significative presenze, quali quelle di Mosè (1144-1154) e Anselmo da Havelberg (1155-1158), Tederico (1228-1249) che presenziò, quale metropolita, alla elevatio reliquiarum di san Domenico a Bologna, Bonifacio Fieschi (1275-1294) e Rainaldo da Concorrezzo (1303-1321).
Questo lungo spazio di tempo aveva dato luogo a un susseguirsi di cambiamenti politici nel territorio passando dal comune, sotto l’alto dominio dell’arcivescovo, alle signorie dei Traversari prima e dei Polenta poi.
In un periodo pur critico, che vide molti arcivescovi interessati a occupare la sede di Ravenna più per le sue ricchezze che per spirito evangelico, abbiamo tuttavia una precoce presenza francescana, domenicana e servita che si associava a quella tradizionale benedettina e canonicale.
Soltanto nel periodo in cui la città fu sottomessa a Venezia (1441-1509) iniziò un risveglio religioso dovuto a un laicato sensibile e a un clero più conscio della propria vocazione, significativamente sostenuto dalla grande abbazia canonicale di Santa Maria in Porto.
Le beate Margherita Molli (1442-1505) e Gentile Giusti (1471-1530), laiche, proposero ai ravennati un modello di vita che le associava a quel tipo di spiritualità che fu di Angela Merici (1474-1540) e di altre notevoli figure femminili, che quasi sempre accompagnarono i fondatori dei nuovi ordini clericali.
Da esse nacque, per opera del presbitero diocesano Girolamo Maluselli, la congregazione dei preti del Buon Gesù, che acquisì grandi meriti a Ravenna e in Romagna, sia per il rinnovamento spirituale che quello culturale.
Nel XVI . operarono in Ravenna l’abbadessa Felicia Rasponi (1522-1579), il sommo storico Girolamo Rossi (1539- 1607), archiatra di Clemente VIII e nipote del padre Giovanni Battista Rossi (†1578) che, quale generale dei carmelitani, permise alla grande Teresa d’Avila la riforma dell’ordine.
Sempre in quel secolo si distinse per cultura il vescovo di Lavello, il ravennate Giovan Pietro Ferretti (1482-1557), da annoverarsi tra coloro che propagarono la riforma tridentina e una più rigida vita ecclesiastica.
Altro storico e uomo di lettere fu Vincenzo Carrari (1539-1596), parroco di Santa Maria in Coelos eo.
Il XVII . espresse, nel presbiterio ravennate, uomini di grande spessore culturale: don Francesco Negri (1623-1698), esploratore e scrittore; il protonotaro Girolamo Fabri (1627-1679), il più importante storico ravennate dopo il Rossi; monsignor Francesco Ingoli (1578-1649), dotto giurista e primo segretario della Congregazione per la propagazione della fede; il canonico portuense don Serafino Pasolini (1645-1715).
Il 10 dicembre 1582 il bolognese papa Gregorio XIII Boncompagni, con motu proprio e senza aver udito nessuno, elevò a sede metropolitana la sua città natale e le sottopose le diocesi di Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Imola e Cervia sottraendole all’antica metropolia ravennate.
Vane furono le proteste della città e dei suoi maggiorenti, compreso l’arcivescovo Cristoforo che, nipote del papa, si trovò in una situazione imbarazzante anche perché, mentre lo zio aveva elevato al cardinalato il vescovo Paleotti di Bologna, l’arcivescovo di Ravenna, uomo assai degno, si trovò a essere tra i successori di sant’Apollinare di quel periodo unico a non essere insignito della porpora.
Questo avvenimento indebolì la Chiesa di Ravenna, anche se continuò a essere uno dei grandi proprietari degli Stati della Chiesa.
Nel 1744 fu abbattuta l’antica basilica metropolitana della Aghìa Anàstasis e fu costruita l’attuale, consacrata il 13 aprile 1749 dal ravennate Ferdinando Romualdo Guiccioli, arcivescovo della città (1745- 1763).
Alla fine del secolo sedette sulla cattedra di sant’Apollinare un grande arcivescovo: Antonio Codronchi (1785-1826).
Il suo lunghissimo episcopato fu segnato dalla Rivoluzione francese, da Napoleone I, di cui fu grande elemosiniere del nuovo Regno d’Italia, e di nuovo dalla Restaurazione pontificia.
Il suo agire fu spesso non compreso, ma egli operò con grande equilibrio e salvò la città dalla distruzione, intervenendo con il suo patrimonio personale, con il quale fondò e dotò l’ospedale di Santa Maria delle Croci, tuttora esistente.
Anche la pastorale diocesana fu da lui rinnovata in risposta al tumultuoso mutare dei tempi.
Suo successore fu il cardinale Chiarissimo Falconieri (1826-1859) il cui episcopato fu segnato da un profondo senso pastorale e dalla sua santità personale.
La seconda metà del XIX . visse con difficoltà il problema della caduta dello Stato pontificio, che causò una profonda divisione nel clero ravennate.
La metropolia ravennate intanto mutava continuamente a seconda delle situazioni politiche e non solo.
Dopo l’erezione di Bologna come metropoli e l’elevazione di Urbino che si portò quale suffraganea la diocesi monsferetrana nel 1563, nel 1735 Ferrara fu elevata ad arcidiocesi immediatamente soggetta, ma è proprio nel XIX . che vennero tolte a Ravenna la diocesi di Adria nel 1819, perché l’imperatore non voleva ingerenze straniere nei suoi territori, e le diocesi di Faenza e Imola sottoposte a Bologna trovatasi senza suffraganee con l’erezione a metropoli di Modena nel 1855.
Il secolo successivo si aprì con l’arcivescovo cardinale Agostino Gaetano Riboldi (1901-1902), il cui breve pontificato aprì al sociale la diocesi; dopo di lui emerse una serie di uomini di grande levatura: Giovanni Genocchi (1860-1926), Giulio Morelli (1868-1951), Angelo Lolli (1880-1958), Giovanni Minzoni (1885-1923), Giovanni Mesini (1879-1969), Mario Mazzotti (1907- 1985), Renato Casadio (1901-1985), per ricordarne alcuni che sia per la santità, la carità e la cultura hanno illustrato non solo la Chiesa ravennate, ma anche la città e la Romagna intera.
Per quanto riguarda gli arcivescovi del secolo scorso è ormai compito degli storici analizzare l’opera di Guido Conforti (1902-1904), Pasquale Morganti (1904- 1921), Antonio Lega (1921-1946), Giacomo Lercaro (1947-1952), Egidio Negrin (1952-1956), Salvatore Baldassarri (1956- 1975) e dei viventi cardinale Ersilio Tonini (1975-1990), Luigi Amaducci (1990-2000), Giuseppe Verucchi (2000).
Pur nella diversità dei caratteri e delle attitudini pastorali essi seppero reggere, nella difficoltà di quel difficile secolo, la cattedra di sant’Apollinare con zelo illuminato e grande respiro ecclesiale.
Nel secolo passato, dalla morte nel 1909 dell’ultimo vescovo di Cervia monsignor Foschi, la diocesi fu unita a Ravenna in persona episcopi fino a che nel 1947 venne fusa con la diocesi metropolitana, stornato a favore di Comacchio il territorio del ducato cervese che comprendeva Fiscaglia e Massafiscaglia.
Durante l’episcopato dell’arcivescovo Lega, Comacchio era stata data in amministrazione a Ravenna e si venne così a creare un territorio omogeneo dal punto di vista pastorale e una continuità territoriale che partiva dal Po e giungeva a tutto il territorio del comune di Cervia.
Rinominato il vescovo a Comacchio, si ritornò alla situazione precedente con le aggregazioni al territorio comacchiese di quanto detto sopra.
Nel 1966 fu ceduta alla diocesi di Ferrara la cosiddetta Pentapoli, parte distaccata della diocesi di Ravenna che aveva però dato sempre vocazioni al clero e uomini notevoli.
Nel 1986, con la revisione del concordato Lateranense, fu creata la diocesi di Ravenna-Cervia con suffraganee Forlì-Bertinoro, Cesena-Sarsina, Rimini, San Marino- Montefeltro.
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Diocesi di Ravenna - Cervia
Chiesa della Resurrezione
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.