Diocesi di Forlì - Bertinoro
STORIA
La configurazione odierna della diocesi risale agli accorpamenti effettuati nel 1986 delle due diocesi di Forlì e di Bertinoro, il cui territorio si estendeva dalla periferia della città di Ravenna a nord fino allo spartiacque dell’Appennino toscoromagnolo a sud, comprendendo le valli del Bidente, Rabbi e Montone.Il territorio diocesano forlivese non è stato mai molto vasto, a differenza di quello di Bertinoro, comprendendo il capoluogo e poca parte del circondario.
La diocesi di Forlì viene fatta risalire ai primi decenni del V sec., quando la metropoli ravennate si organizzò e favorì l’erezione di sedi suffraganee; la prima documentazione scritta è del VII . Protovescovo viene considerato san Mercuriale di cui non si possiedono notizie certe.
Sulla fine del IX . (894) è documentato un monastero a lui intitolato, ubicato fuori delle mura cittadine verso est, a lato della via Emilia, costruito pochi decenni avanti a custodia del sacello sepolcrale del santo e dei vescovi liviensi.
Verso il Mille cominciano le chiese a lui dedicate nell’ambito forlivese e oltre.
Il materiale biografico che lo riguarda è composto di un nucleo leggendario elaborato nell’XI . da uno scrittore di passaggio, che opera su pitture, già illeggibili al suo tempo, ubicate nell’abside della chiesa.
Negli ultimi secoli del Medioevo il materiale leggendario è aumentato, senza nulla aggiungere alla conoscenza storica del personaggio.
Questo accrescimento ha portato alla costruzione di opinioni per nulla suffragate da dati sicuri: che la chiesa monastica di San Mercuriale sia stata costruita sull’antica cattedrale intitolata a santo Stefano, che il santo abbia partecipato al concilio di Rimini (359); che abbia liberato dalla schiavitù africana – del re Alarico – migliaia di prigionieri forlivesi; che abbia liberato (in collaborazione con san Rufillo di Forlimpopoli) le campagne prossime alla città da un drago pestilenziale ecc.
Il monastero, che custodiva le reliquie del protovescovo, divenne il santuario cittadino e in esso fiorì una forte devozione verso il santo patrono.
Nel X sec., ora i dati sono più sicuri, il vescovo cittadino era ormai inserito nelle lotte per la preminenza politica nella regione romagnola.
Si ebbe anche il suo ridimensionamento, operato dai sovrani sassoni, con la contemporanea crescita della potenza economica e politica del monastero di San Mercuriale che, sulla fine del XII . (1160-1170, periodo in cui entrò nella congregazione vallombrosana), si tramutò in potenza concorrente a quella dello stesso episcopato.
La ricostruzione del monastero, fine XII-inizio XIII sec., con l’imponente campanile, posto sulla nuova piazza centrale della città, ratificò la sua volontà di potenza.
Nel ristretto territorio diocesano emerse anche il protagonismo del monastero di Santa Maria di Fiumana che però, con l’aggregazione a Vallombrosa, di fatto diventò una dipendenza di San Mercuriale.
Anche i camaldolesi furono presenti nella parte sud della città (Santa Maria del Camaldolino e poi San Salvatore).
Il basso Medioevo, con la nascita del comune cittadino, assistette a nuove forme di presenza, come quella dei frati mendicanti (francescani, convento e chiesa di San Francesco, e domenicani, San Giacomo); essi, nonostante l’opposizione del vescovo, sulla metà del XIII . erano sicuramente radicati nella vita cittadina.
Da Forlì sant’Antonio da Padova (1222 ca) iniziò il suo apostolato italiano; fra i primi frati dell’ordine dei Servi di Maria vi fu il forlivese san Pellegrino Laziosi (1265-1345 ca), grande taumaturgo; il domenicano beato Marcolini Amanni (1317 ca-1397) costituì l’esempio del frate «osservante» del XV . L’inurbamento delle comunità agostiniane si pone all’inizio del XIV . (Sant’Agostino in città) così come alla metà di quel secolo vi è l’insediamento carmelitano (Santa Maria).
Le diverse denominazioni francescane erano presenti con gli osservanti (San Girolamo), i terziari (Santa Maria in Valverde), e poi i cappuccini (San Giovanni in Faliceto).
Anche le monache e suore ebbero presenza in città soprattutto secondo le regole dei francescani, domenicani e camaldolesi.
Nella notte fra il 4 e il 5 febbraio 1428 vi fu l’evento prodigioso che originò il culto alla Beata Vergine del Fuoco, proclamata patrona della città (un’immagine cartacea fu rinvenuta integra fra le ceneri di un incendio che aveva distrutto una scuola).
La decadenza della vita morale di certa parte della Chiesa cittadina fu riscattata dalla creatività di alcuni ambienti di vita conventuale oltre che eremitica (Pietro Bianco da Durazzo, morto nel 1477) e da esperienze di organizzazione confraternale laicale di impronta penitenziale.
In numero di sei avevano il nome di Battuti (con la specifica di un colore: bianchi, rossi, neri, verdi, bigi, celestini), oltre al perseguimento della santificazione personale esercitavano la carità, l’assistenza e l’ospitalità.
L’appartenenza, anche se solo nominale (prima del 1504 e poi effettiva), allo Stato pontificio favorì la qualità della vita cristiana privata e pubblica.
I gradi alti della gerarchia cittadina, almeno fino al concilio di Trento, parteciparono alla secolarizzazione e all’assenteismo pastorale ben noto (la sede episcopale per tutta la prima metà del Cinquecento fu appannaggio della famiglia fiorentina dei Medici e dei loro clienti) se non che anche a Forlì, pur senza personalità di spicco, si ebbe nella seconda metà del XVI . quella ricostituzione del tessuto ecclesiale che portò a una pastoralità più efficace.
Sinodi e visite pastorali (effettuate dal vescovo Antonio Giannotti già dal 1564) furono svolti con regolarità.
In quest’opera furono affiancati dalle nuove comunità clericali: i gesuiti (1559, al Gesù, di cui non resta alcuna traccia), i padri dell’oratorio (in San Filippo), i minimi (in San Francesco di Paola), i preti della missione, i ministri degli infermi di san Camillo de Lellis (chiesa della Pace).
L’epoca tridentina, vissuta ormai pacificamente dentro lo spazio dello Stato pontificio, vide l’esplosione delle devozioni, quella mariana in primo luogo.
Nel XVII . si ebbe la costruzione, e ricostruzione, di un gran numero di chiese e santuari; prima per importanza, tanto artistica che devozionale, la cappella della Madonna del Fuoco in cattedrale.
Le congregazioni religiose di stampo post-tridentino elevarono splendide chiese, punto di riferimento per una vita spirituale di ottimo livello.
L’invasione francese, fra le altre cose, cambiò, con le note soppressioni, il volto «cristiano» della città (nonostante che nel territorio diocesano vi siano state le prime esperienze di «insorgenze» antifrancesi).
La risposta ambivalente dei cattolici alle novità francesi (la fedeltà alla tradizione dell’anziano vescovo Mercuriale Prati e la fedeltà napoleonica di Andrea Bratti) traghettò la comunità agli anni della Restaurazione che, fra le sommosse dell’incipiente Risorgimento italiano, vide vescovi fedeli al governo pontificio (il vescovo «reazionario» Vincenzo Tomba fu costretto al trasferimento per incompatibilità ambientale).
Il Risorgimento vide l’attiva partecipazione dei forlivesi alla lotta di emancipazione contro il potere pontificio (Aurelio Saffi, il mazziniano triumviro romano) e ciò contribuì alla emarginazione dei cattolici dalla vita pubblica e sociale allorché si costituì il Regno d’Italia.
Nei decenni successivi fu sempre più forte la componente anticristiana e anticlericale, con la borghesia radicale (Alessandro Fortis); le forze repubblicane e socialiste non furono aliene da atteggiamenti palesemente e pesantemente persecutori che si protrassero fino al primo dopoguerra e influirono pesantemente sul comportamento dei cattolici.
Essi furono rinchiusi (e si rinchiusero) negli spazi ristretti del culto dentro le chiese.
Con l’ultimo decennio del secolo (mentre era vescovo Domenico Svampa, 1887- 1895, poi cardinale arcivescovo di Bologna), poco dopo la pubblicazione della Rerum novarum, il mondo cattolico forlivese si riorganizzò soprattutto sotto l’egida delle proposte rinnovatrici della Democrazia cristiana di Romolo Murri.
A Forlì questo movimento, pur nella sua breve esistenza, fu intenso, ricco di opere culturali e sociali, sostenuto dal vescovo Raimondo Jaffei (1895-1932), e animato soprattutto da don Adamo Pasini, con il sostegno di tanti altri sacerdoti (fra di essi don Tommaso Nediani) e di laici.
L’educazione della gioventù, nell’oratorio-ricreatorio-laboratorio «S.
Luigi» fu la lungimirante opzione che caratterizzò questo periodo.
Il ripiegamento seguito alla repressione antimodernista fu superato con il primo dopoguerra e l’entusiasta partecipazione di tanti cattolici all’esperienza del Partito popolare; essi trovarono un leader locale in Giovanni Braschi, uomo politico di valore e nella guida morale e spirituale di don Giuseppe Prati (popolarmente detto don Pippo) educatore di generazione di giovani cattolici, fra i quali si distinse Diego Fabbri.
La risposta al fascismo fu complessa in una situazione ove vivo era il ricordo delle persecuzioni socialiste e repubblicane e forte la sirena del «concittadino» Benito Mussolini.
Nel complesso però la guida decisa del vescovo Giuseppe Rolla (1933-1950) indirizzò le forze cattoliche a un forte impegno nell’Azione cattolica, così che dopo la guerra e la lotta di liberazione (cui i cristiani parteciparono con l’originalità della propria ispirazione, si vedano i sacerdoti Mario Vasumi e Gaetano Lugaresi) furono in grado di riprendere una presenza sociale significativa e una concreta opera di ricristianizzazione (Peregrinatio Mariae, 1949-1950).
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Diocesi di Forlì - Bertinoro
Chiesa della Santa Croce
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.