Diocesi di Viterbo
STORIA
I - Le origini
La presenza del cristianesimo in quest’area è attestata sin dai primi secoli e la storia delle diocesi scomparse (Ferento, Polimarzo, Marturano, Bisenzio, Blera) e di quelle che hanno segnato i primi due millenni di cristianesimo (Bagnoregio, Tuscania, Castro) lo confermano.Le testimonianze della più antica evangelizzazione del territorio fanno riferimento a Ferento e a Bagnoregio, tra il Tevere e il lago di Bolsena, e la datano nel periodo delle persecuzioni di Diocleziano, anche se le reliquie dei patroni Secondiano, Veriano e Marcellino (a Tuscania), Eutizio, Gratiliano, Felicissima (a Ferento), Tolomeo e Romano (a Nepi) e Felice (a Sutri) lasciano ipotizzare la presenza di comunità di cristiani già al tempo di Valeriano e di Aureliano.
Del periodo delle persecuzioni di Diocleziano è il martirio di Ilario e Valentino (poi protettori di Viterbo), di Cristina (venerata a Bolsena) e di Fermina (patrona di Civitavecchia).
I primi vescovi nel territorio viterbese compaiono nel V . (Ferento, Blera).
Tra la fine del VI e il VII . anche tutte le altre diocesi hanno la memoria di un loro vescovo.
Più recenti sono, invece, quelle di Viterbo (1192), Montefiascone (1369) e Acquapendente (1649).
Tuscania era diocesi già nel VI . con giurisdizione, consolidatasi nel tempo, che andava dal mar Tirreno ai laghi di Bolsena e Vico; nell’XI . assorbì le diocesi di Bieda-Blera e di Centocelle-Civitavecchia.
A partire dall’VIII . fu sempre più evidente il ruolo politico, culturale, religioso ed economico dell’abbazia di Farfa nella Tuscia meridionale, tra il Tevere e il mare, mentre nella parte settentrionale si faceva sentire l’influenza del monastero di San Salvatore del Monte Amiata.
Quei monasteri, grazie anche all’appoggio dei longobardi prima e dei franchi poi, svolsero un controllo del territorio che finì per mettere in ombra la posizione dei vescovi.
E fu solo quando Farfa entrerà in crisi che le diocesi nell’alto Lazio ripresero nuova vita: in questa fase si colloca la creazione della diocesi di Viterbo.
La città già nel IX . era capoluogo di un distretto civile e fu tra le prime della Tuscia a costituirsi in governo autonomo riconosciuto da Enrico V che, secondo la tradizione, ne riconobbe le istituzioni comunali (1118); ebbe il titolo di città probabilmente nel 1164 e nel 1192 venne istituita da Celestino III la cattedra vescovile: fu il vescovo di Tuscania Giovanni a fregiarsi per primo del titolo di Episcopus Viterbensis et Tuscanensis.
La supremazia di Viterbo e la sua erezione in sede vescovile fu agevolata dal fatto che tra il 1170 e il 1172 Ferento, distante pochi chilometri dalla città, fu attaccata e distrutta dai viterbesi.
Negli stessi anni passavano sotto il controllo di Viterbo una serie di castelli e di territori e questo consentì alla città di presentarsi come sede di un potere che si estendeva su un territorio ampio, dai monti Cimini al mare.
Era naturale a questo punto che la città diventasse anche sede di un vescovo.
La storia dei due secoli successivi fu, per Viterbo, la cronaca del consolidamento di questo potere che fu prima evidente nei fatti per la frequente residenza dei papi e della curia e lo svolgimento di importanti assemblee e poi, gradualmente, trovò la consacrazione ufficiale con l’individuazione di Viterbo per sede definitiva del governo della provincia del Patrimonio di San Pietro in Tuscia dalla metà del XIV sec., governo affidato a un legato di dignità cardinalizia per tutto il Cinquecento e i primi decenni del Seicento, a un governatore prelato di curia a partire dalla metà del Seicento e fino all’unità d’Italia.
II - Dal Medioevo all’età contemporanea
La storia di Viterbo e la storia della diocesi si intrecciarono nei primi secoli di vita, alla ricerca della definizione dei territori e degli ambiti nei quali poter esercitare la rispettiva giurisdizione in campo fiscale, giudiziario e di governo.Il tenimentum Viterbii si allargò e si ridusse in relazione allo stato dei rapporti tra imperatore e pontefice e poi in seguito all’aumentato potere della curia pontificia sull’intero Stato della Chiesa.
Se in alcuni momenti di massima espansione l’autorità delle magistrature cittadine sembrò estendersi su gran parte delle città del Patrimonio, nel XV . essa era limitata ai castelli di Canepina, Celleno, Bagnaia e Sipicciano.
Gli statuti comunali di Viterbo del 1237-1238, 1251-1252, le disposizioni del 1356, lo statuto del 1469 confermano questa oscillazione che trovò il suo punto di quiete dopo l’insediamento del governo della provincia del Patrimonio.
Mentre il comune e il governo della provincia erano alla ricerca del loro territorio, quello affidato al vescovo andava progressivamente assumendo quei caratteri che ne consentiranno l’identificazione come diocesi di Viterbo e Toscanella.
Il passaggio fondamentale, che segna l’avvio di questo processo di assunzione del governo effettivo del territorio diocesano, lo si può scorgere già nei testi sinodali di età medievale.
Nella diocesi di Viterbo si ricordano le più antiche costituzioni pubblicate dal vescovo Alferio, il 18 ottobre 1254, presumibilmente a seguito di un sinodo diocesano.
Poi i quattro sinodi che si sono svolti nel secolo successivo: tre celebrati da A.
Tignosi nel 1320, 1323 e 1339 (dei quali ci rimane solo qualche frammento) e uno del vescovo Nicola o Nicolò di Paolo de Vetulis, celebrato a Montalto nel 1356, di cui ci sono giunti gli atti quasi al completo.
In occasione della pubblicazione del sinodo celebrato nel 1921 dal vescovo Emidio Trenta, nell’appendice fu inserita la «Series Chronologica Synodorum Viterbiensium et Tuscanensium ».
All’indomani della conclusione del concilio di Trento si tenne a Viterbo un sinodo diocesano convocato dal vescovo S.
Gualterio che integrava una serie di disposizioni emanate negli anni precedenti, che riguardavano tra l’altro la riorganizzazione delle parrocchie.
Pochi anni più tardi, ancora a Viterbo, Giovanni Francesco Gambara convocava un sinodo che si svolse nella chiesa cattedrale (25-30 novembre 1573): il testo non è conosciuto, pur se alcune delle costituzioni sono state citate più volte negli anni successivi.
Non passarono dieci anni che un nuovo sinodo, poi stampato, si svolse per iniziativa di C.
Montigli.
La prima metà del XVII . è caratterizzata dalla celebrazione di ben dieci sinodi, otto dei quali da parte del cardinale Francesco Maria Brancaccio e gli altri due dal vescovo Tiberio Muti (1614 e 1624).
Non vi fu stagione di produzione e revisione di norme nella Chiesa diocesana così ricca come quella che si sviluppò tra la seconda metà del XVI e la fine del XVII . A Viterbo la produzione sinodale proseguì con un sinodo celebrato nel 1694, quattro nel XVIII . (1724, 1742, 1762 e 1764), nessuno nel XIX sec., tre nel XX (1921, 1937, 1995).
III - L’organizzazione ecclesiastica
Le visite episcopali e i sinodi aprono grandi affreschi sulla vita religiosa dell’intera diocesi.Le più antiche fonti sono ricche di informazioni sulle chiese, a cominciare dalla cattedrale dedicata a San Lorenzo e poi la chiesa di San Sisto, forse la più antica e certo la più ricca collegiata viterbese; la collegiata di Sant’Angelo, quella di Santa Maria Nuova, quella dei Santi Faustino e Giovita e quella di Santo Stefano; vi sono poi le altre chiese parrocchiali nella città e le chiese collegiate e parrocchiali del resto della diocesi.
Prima della visita apostolica di A.
Binarino (1573-1574) sono state contate fino a trentacinque parrocchie cittadine (molte delle quali già allora scomparse o accorpate); nel corso di quella visita le chiese collegiate, parrocchiali, di confraternite e di monasteri (compresi quelli maschili) che egli descrive sono 171 ma solo 19 erano qualificate collegiate e parrocchiali.
Nel censimento del 1639, ordinato da Brancaccio, le parrocchie della città erano diciassette, con una popolazione di 11.671 anime; nel resto della diocesi vi erano probabilmente altre sedici chiese parrocchiali oltre a un centinaio di chiese di monasteri e luoghi pii.
E in tutto questo elenco non venivano menzionate le chiese annesse ai conventi degli ordini religiosi maschili sui quali i vescovi non avevano giurisdizione e che allora non visitavano.
Il fatto è che in tutte le visite che i vescovi compirono in questi secoli (e fino a Ottocento inoltrato) fatta eccezione per la cattedrale e le collegiate, tutte le altre chiese finivano in un unico grande elenco; ciò significa che non vi fu per tutta l’età moderna un ruolo preminente (dal punto di vista giuridico, economico e liturgico) della parrocchia sugli altri luoghi di culto, l’unica distinzione rimanendo quella della presenza nella parrocchia del fonte battesimale e quindi dell’obbligo della tenuta dei registri sacramentali.
I dati sulla popolazione diocesana sono disponibili a partire dal 1700: all’inizio del secolo la popolazione era di 31.365 abitanti, salita a 41.804 alla fine del secolo.
I luoghi abitati sono dieci: Viterbo e Bagnaia, che faceva parte del territorio comunale, Vetralla, Blera, San Giovanni in Tuscia, Civitella Cesi, Barbarano, Oriolo, Veiano, Tuscania, Civitavecchia e Montalto di Castro.
All’inizio del Settecento fu persa Montalto e acquisita Canepina.
All’inizio dell’Ottocento Civitavecchia fu eretta in diocesi e unita prima a Porto e Santa Rufina e poi a Corneto (Tarquinia).
All’indomani dell’unità la diocesi contava trentuno parrocchie (tredici in città e diciotto nel territorio); il comune di Viterbo aveva una popolazione di poco più di 20.000 abitanti (censimento del 1871), l’intera diocesi circa 47.000.
Accanto al clero secolare, era ampia la presenza del clero regolare e dei monasteri femminili.
In città tra i conventi maschili spiccavano quelli domenicani di Santa Maria della Quercia e di Santa Maria in Gradi, della Santissima Trinità degli agostiniani, di San Francesco dei conventuali, di Santa Maria del Paradiso dei minori osservanti, di San Paolo e di Sant’Antonio dei cappuccini, dei Santi Giuseppe e Teresa e di San Giovanni Battista dei carmelitani, di Santa Maria della Verità dei servi di Maria.
E tra i monasteri femminili quello di Santa Rosa, di San Bernardino e dei Santi Simone e Giuda (clarisse), della Visitazione (cisterciensi), di Santa Maria della Pace (servite), di Sant’Agostino (agostiniane), di Maria Santissima Assunta (francescane), del Buon Pastore, di San Domenico e di Santa Caterina (domenicane).
Altre case religiose femminili poi erano presenti in diocesi.
Di particolare rilievo la presenza e l’azione delle Maestre pie Venerini.
Numerosissime poi le associazioni pie: da quelle che regolavano la vita delle professioni cittadine (le arti e corporazioni sono giunte a essere oltre quaranta nel capoluogo) alle confraternite che gestivano i numerosi ospedali, il più famoso dei quali è stato l’ospedale grande degli Infermi di Viterbo.
Altre iniziative di organizzazione del laicato invece portarono, tra Ottocento e Novecento, alla creazione di circoli, associazioni e movimenti attivi nel campo dell’istruzione religiosa e delle pratiche di pietà.
IV - La vita religiosa
Tra XIII e XV . si sviluppò la devozione per il Cristo Salvatore (una sua immagine, trovata alla fine del XIII . nelle campagne di Viterbo, fu trasportata nella chiesa di Santa Maria Nuova dov’è tutt’ora conservata).Accanto a questa devozione si colloca, cinquant’anni più tardi, quella per la Madonna Liberatrice (la cui immagine è venerata nella chiesa degli agostiniani della Santissima Trinità).
Nella prima metà del XV . infine prese avvio la devozione alla Madonna della Quercia che, dai primi anni del 1500, fu venerata nella chiesa di Santa Maria della Quercia, a pochi chilometri da Viterbo.
A queste devozioni medievali si affiancò, dapprima a livello popolare e poi con riconoscimenti ufficiali, la devozione per santa Rosa che, dall’inizio del Seicento, assunse un ruolo importante per l’attenzione che le dedicarono le istituzioni cittadine, testimoniata ancora oggi dall’impegno degli enti locali e di molte associazioni nell’organizzazione del trasporto della «Macchina di santa Rosa», una sorta di campanile che, nel tempo, è diventato alto trentatré metri e pesante circa cinquanta quintali, che attraversa la città nella sera del 3 settembre di ogni anno.
Vi sono diversi santi e beati nati o vissuti a Viterbo in età moderna (santa Giacinta Marescotti, san Crispino da Viterbo, beata Rosa Venerini, beato Domenico Barberi) ma nessuno ha fatto breccia nei cuori dei viterbesi al punto da suscitare una devozione confrontabile a quella che si indirizza alla Madonna della Quercia o a santa Rosa.
Il culto più diffuso in tutta la diocesi è quello mariano: più di un terzo delle parrocchie è intitolato a Maria nelle sue diverse denominazioni e raffigurazioni e la Madonna della Quercia nel 1987 è stata proclamata patrona della nuova diocesi.
La nascita della Facoltà di conservazione dei beni culturali a Viterbo nel 1990 ha significato l’avvio di una nuova corrente di studi nel settore dei beni archeologici, storico- artistici, archivistici e biblioteconomici, che si è tradotta già in alcune centinaia di tesi che riguardano il patrimonio storicoculturale della attuale diocesi di Viterbo.
Questo processo si è giovato di un contemporaneo intervento di recupero, ordinamento e inventariazione degli archivi ecclesiastici del territorio.
Si deve a questo intervento la possibilità di condurre studi originali sulla storia religiosa e delle istituzioni ecclesiastiche del Lazio settentrionale.
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.