Diocesi di Genova
STORIA
I - Dalle origini al XV sec.
La presenza del suo vescovo Diogene al concilio di Aquileia del 381, a fianco di Ambrogio in posizione contraria all’arianesimo, indica per Genova una realtà cristiana diffusa, istituzionalizzata, partecipe delle vicende coeve in armonia con la grande sede milanese.Restano in ombra i tratti precedenti, velati da temi leggendari molto tardivi; si può genericamente intuire che l’antico oppido dei liguri, porto-emporio divenuto municipio romano e inserito nell’amministrazione imperiale, abbia recepito la nuova religione già prima dei tempi di Costantino (editto di Milano: febbraio 313), sull’onda di contatti marittimi e terrestri in particolare con le Gallie e con Milano.
L’esistenza e l’opera di alcuni protovescovi è ugualmente oscura, persino nella cronologia; spicca Siro, allora venerato quale patrono della cattedra.
L’ampiezza di rapporti duraturi lascia cogliere la vivacità dell’ambiente cristiano genovese: nel V . due presbiteri locali corrispondevano con Prospero di Aquitania sul tema della grazia; il vescovo Pascasio fu a Milano, partecipe di un concilio in cui ancora si dibattevano argomenti dottrinali (451).
La marginalità politica e geografica consentì ai luoghi costieri sommessa e tranquilla esistenza rispetto alle vicende che coinvolsero la penisola; il rilievo marittimo determinò, entro il persistente legame con Bisanzio, una crescita di importanza strategica e organizzativa dopo l’ingresso dei longobardi in Italia (568).
In questo contesto l’arcivescovo di Milano Onorato, accompagnato da chierici della cattedrale e da laici di rango, si rifugiò a Genova (569); i successori rientrarono in sede solo dopo la conquista longobarda della fascia costiera (643).
La lunga permanenza del vertice ecclesiastico del Nord-ovest italico determinò reciproche influenze (il clero milanese acquisì elementi liturgici orientali mediati dalla presenza bizantina) e, per la città ospite, intensificazione di contatti in particolare con Roma e arricchimento di impianti ecclesiastici.
L’integrazione nel mondo longobardo si dipanò su linee consuete anche ad altre zone: l’attività monastica promossa da grandi centri esterni, in particolare da Bobbio, trasmise organizzazione, cura e forse vera e propria missione alle popolazioni delle campagne; il presule genovese non si esimette dal recarsi a Roma nel 680, al fianco di altri omologhi suffraganei di Milano inquadrati nel regno e tutti pronti a sottoscrivere l’adesione alle posizioni papali di fronte a nuove questioni dottrinarie da dibattere a Costantinopoli.
In età carolingia i vescovi locali emersero con particolare vigore.
Pietro era a Milano nell’864 a un sinodo in cui furono fissate norme per le chiese rurali, la cura d’anime, la disciplina ecclesiastica, la gestione del patrimonio.
Sabatino, documentato dagli anni Settanta alla fine del IX . o poco oltre, fu partecipe di grandi vicende politiche ed ecclesiastiche a fianco di altri «ottimati del regno italico», era in relazione con sovrani e in stretti rapporti con Giovanni VIII che accolse a Genova nella primavera dell’878 quando, in fuga dai pericoli dell’Italia centrale, il papa navigava in direzione della Francia.
In sede, una sua iniziativa per il recupero di reliquie – collocate là dove oggi è Sanremo e rimaste senza culto a seguito delle scorrerie saracene – coagulò la popolazione in una felice spedizione via mare: compare per la prima volta la comunità genovese, «clero e popolo… con le vele al vento», sotto la guida del vescovo.
Il dinamico presule era anche persona di cultura, in armonia con un atteggiamento intellettuale mai trascurato dagli ecclesiastici locali, almeno per ciò che le avare fonti lasciano intuire.
Con il X . il quadro si fa più chiaro e articolato.
Il sacco di Genova perpetrato da corsari fatimiti nel 934-935 fu seguito da una vigorosa ripresa in cui fu protagonista il vescovo.
Teodolfo (945-981 ca) restaurò chiese; riorganizzò il patrimonio della propria mensa tenendo d’occhio anche i settori interni che si inerpicavano sull’Appennino; sostenne economicamente il gruppo di chierici «cardinali» che lo coadiuvavano nella cura d’anime, dai quali in breve derivò il capitolo cattedrale, e ne stimolò la collaborazione; appoggiò (probabilmente fondò) Santo Stefano, il primo monastero benedettino situato nel Genovesato di cui si abbia notizia certa.
Il mondo ecclesiastico manifestava sfaccettature diverse avviate ad acquisire in breve identità e funzioni proprie.
In parallelo gli «abitatori della città di Genova» ricevettero dai sovrani il riconoscimento di alcune consuetudini e autonomie, con precocità peculiare (è il 958) e con distacco dall’episcopio insolito rispetto ad altre città italiche, che sovente si muovevano e crescevano all’ombra della cattedra; il distacco fu favorito dall’assenza da parte del vescovo di capacità temporali tali da influenzare le vicende urbane.
Si annunciava una tendenza di lunga durata, secondo cui autorità civile ed ecclesiastica avrebbero potuto interagire e magari collaborare in reciproca indipendenza, in quanto ciascuna avrebbe operato prevalentemente in un settore specifico; già si intravede il singolare carattere «laico» sviluppato dal futuro comune (in elaborazione tra XI e XII sec.), nel rispetto di radicate convinzioni religiose e di un forte legame con la Sede romana.
È probabile che l’affermazione sancita nel 958 abbia stimolato lo spostamento della cattedrale dalla periferica San Siro a San Lorenzo, collocata entro le mura della civitas e destinata a essere riferimento, gloria ed espressione della comunità urbana.
In più settori si colgono i segni di una società in espansione.
Il vescovo Landolfo (1019-1034 circa) consolidò la propria sede nella sacralità del protovescovo Siro, di cui trasferì parte delle reliquie in San Lorenzo e cui dedicò un nuovo centro monastico; il successore Oberto a metà secolo riuscì a tutelare i beni ecclesiastici di fronte ad altri forti interessi.
I benedettini, sostenuti da laici di nobile estrazione e anche da quei professionisti del diritto che hanno larga parte nello sviluppo urbano, proiettarono l’attività sia sulla città sia sulle proprie dipendenze site nelle Riviere e nel basso Piemonte.
Anche le donne si erano organizzate con almeno un cenobio; ma probabilmente avevano già preso vita entrambe le abbazie femminili di Sant’Andrea della Porta e di San Tommaso che, scaglionate con San Siro e Santo Stefano alle estremità orientale e occidentale di Genova, assieme a queste furono riferimento spirituale e materiale per i borghi che da loro presero nome.
Intanto la capacità marittima e militare della città si consolidava attraverso affermazioni contro il mondo islamico a fianco di Pisa, per poi entrare in piena luce con la partecipazione alla prima crociata (1097-1099).
Sempre sullo scorcio di questa età si sperimentarono le prime forme comunali in mezzo a non nuovi e persistenti travagli interni; di questi è stato componente e segno il tenace schieramento dei vescovi sul fronte filoimperiale nel contesto della lotta per le investiture, mentre parte del clero – tra cui i canonici – ha militato sul fronte opposto.
La progressiva pacificazione si dipanò nella laboriosa successione di presuli allineati con le posizioni romane; si accompagnò a una robusta crescita istituzionale, navale, commerciale, militare del comune, in breve gratificata dal sigillo ecclesiastico.
Nel 1118 Gelasio II consacrò la cattedrale in fase di rinnovamento.
Nel 1133 Innocenzo II staccò la diocesi di Genova da Milano e la eresse in arcidiocesi, sottomettendole tre vescovati in Corsica (Nebbio, Mariana, Accia) e due in terraferma (Bobbio e Brugnato).
L’evento era frutto di una fase di generale riorganizzazione delle strutture diocesane, di un difficile contesto ecclesiastico politico e militare (lo scisma travagliava il vertice romano e anche quello imperiale), di una pronta comprensione da parte del papa della potenzialità insita nei grandi centri marittimi.
Nel 1162 il recente arcivescovo ricevette da Alessandro III il titolo di «legato transmarino », riconoscimento di capacità della sua gente e investitura per un auspicato lavoro in mezzo a latini d’Oltremare, scismatici, non cristiani.
Tra XII e XIII . anche Albenga fu staccata da Milano e sottoposta alla sede metropolitana ligure.
Lo stesso avvenne nel 1239 per il piccolo vescovato di Noli, da poco istituito smembrandolo da Savona.
Il primo arcivescovo si chiamava Siro, unico nella serie dei presuli locali a ripetere il nome del patrono; persona di fiducia di Innocenzo II, era probabilmente forestiero, al di sopra dei contrasti locali; lo stesso nome con cui è noto potrebbe essere una scelta programmatica.
Fatto sta che quest’uomo fu attivo in campo spirituale, pastorale, amministrativo: ricorse alla collaborazione di gruppi religiosi riformati, in particolare canonici regolari, che introdusse con la fattiva collaborazione dei laici; assestò enti ecclesiastici e patrimoni; fece redigere, con buona precocità nel panorama italico, un «libro dei diritti» della sua Chiesa.
Genova visse una rara stagione di fervore, coesione interna, orgoglio civico.
Sul nuovo sigillo comunale, immediatamente successivo al marzo 1133, spiccava l’immagine di san Siro (non del Siro al momento in cattedra) circondata dalle parole Ianuensis archiepiscopus.
L’equivoco era voluto: la nuova posizione ecclesiastica era motivo di vanto e supporto per le aspirazioni territoriali della Dominante, mentre il presule non deteneva capacità pubbliche, se non un eventuale compito di rappresentanza e di supremo, astratto controllo del buon funzionamento interno.
Un pegno di concordia era nelle ceneri di san Giovanni Battista, predate a Mira nella parte sud-occidentale della penisola anatolica da un gruppo di mercanti-uomini d’arme reduci dalla presa di Antiochia e depositate in cattedrale nel 1099.
Alla stessa chiesa fu dedicato il recipiente ritenuto di smeraldo, bottino del sacco di Cesarea del 1101, per il momento privo di qualunque alone sacro (solo nel secolo successivo la diffusione di una letteratura di successo spingerà a identificarlo con il Graal) e offerto per il suo valore inestimabile.
Insomma, San Lorenzo – oggetto di una lunga e preziosa ricostruzione pagata a spese pubbliche – era lo «specchio della città»; negli anni venti del Duecento un grifo, simbolo di Genova, venne fuso in bronzo per essere collocato sulla facciata.
Il volto umano, liturgico e quotidiano di una cattedrale che era anche chiesa di comune era costituito dal capitolo dei canonici.
Questo traeva linfa dal rapporto con la città, tanto da giungere a costituire nel XIII . un’autorità concorrente con l’arcivescovo; d’altra parte la competenza nella nomina dei presuli, stabilita dalla normativa generale nel 1215, contribuiva a rafforzarne la condizione.
Proprio l’applicazione dei canoni lateranensi del 1215 fu l’occasione per la convocazione nel 1216 del primo sinodo di cui si abbia memoria.
Al di là dei contenuti precisi oggi sfuggenti (come avviene per analoghi eventi successivi), resta evidente l’importanza dell’iniziativa, che aveva carattere provinciale.
D’altra parte era ormai chiaro che il territorio diocesano era inquadrato in un sistema di pievi e di cappelle da queste dipendenti; molte pievi erano governate da un capitolo di chierici che sovente curava un ospizio; alcune cappelle stavano evolvendo verso la condizione parrocchiale, secondo una tendenza già messa in atto dalle maggiori chiese urbane.
Nel corso del Trecento le pievi erano trentatré.
Il mondo laico – come dovunque in Europa – puntava ad approfondire l’esperienza religiosa permanendo nel proprio stato.
Le aspirazioni spirituali trovarono applicazione concreta nelle opere caritative, in particolare accoglienza di elementi deboli (come invalidi, forestieri e pellegrini), redenzione di prostitute, cura di esposti e orfani, riscatto di prigionieri; si tradussero nel supporto a nuovi stili di vita regolare giudicati coerenti con le aspettative di una religiosità più interiorizzata ed esigente; cercarono una guida proprio in questi nuovi religiosi.
Nel XII e XIII . comparvero e prosperarono istituti cisterciensi, francescani, domenicani, giovanniti; e si ricordano solo i maggiori.
Le donne erano quanto mai dinamiche nel supporto materiale e nella dedizione personale, che a volte pareva quasi costituire strumento di autoaffermazione; prediligevano lo stile cisterciense che inquadrava enti femminili singolarmente numerosi e popolati, ben inseriti nel tessuto sociale circostante, spesso incaricati del reggimento di ospizi; tali scelte furono modello religioso e persino edilizio per realtà femminili di aree esterne.
Mentre la città cresceva nella popolazione e nella dimensione, l’ambito ecclesiastico contribuiva a mutarne il volto: vecchie chiese furono rifatte, nuove furono costruite, alcune divennero poli inediti di gravitazione urbanistica; nelle campagne comparvero strutture monastiche e centri di accoglienza.
Genova mise a segno grandi successi nella costruzione del dominio, nell’espansione marittima, nella salvaguardia dell’autonomia e degli spazi politici ed economici contro l’impero, nel contenimento delle rivali Pisa e Venezia.
Il punto fragile stava nella mancata coesione interna.
La parossistica faziosità, collegata agli interessi di un formidabile impero commerciale e alle sintonie tra le grandi famiglie più che a orientamenti ideologici, finì con il coinvolgere la cattedra arcivescovile e il capitolo di San Lorenzo.
Nel corso del Duecento le spaccature entro il corpo canonicale riflettevano quelle della città, potevano impedire la scelta del nuovo arcivescovo e quindi provocare interventi da parte di Roma.
La prima volta capitò nel 1252-1253, con una scelta da parte di Innocenzo IV (il genovese Sinibaldo Fieschi), che pose in cattedra un uomo molto vicino a sé e alla propria casata.
Le successioni videro sempre più spesso l’intervento papale per effetto dell’incapacità locale di trovare accordo e a volte (ad esempio con Bonifacio VIII) per inclinazione romana a controllare il vertice ecclesiastico della potente città marittima.
L’arcivescovo non era più l’immediato rappresentante del mondo che si trovava a governare; nello stesso tempo la sua designazione sfuggiva a un ambito di crescente angustia per prendere fiato in più ampi collegamenti.
Nemmeno un personaggio della levatura di Iacopo da Varazze trovò un’elezione se non unanime, almeno di discreta concordia; egli fu posto in cattedra da Niccolò IV e vi restò dal 1292 al 1298.
In lui Genova trovò il domenicano dotto (nel medesimo convento locale, fornito di importante scuola, Giovanni Balbi produsse un ricco glossario notissimo agli studiosi, da Petrarca e Boccaccio agli umanisti), il religioso tanto coerente da essere ricordato quale «beato », il predicatore efficace, l’agiografo autore di modelli letterari e iconografici di grande e duraturo successo, il saggista attento alla storia passata e alla società coeva, persino il cittadino legatissimo alla patria; ma egli, per quanto si battesse per la pace interna, non riuscì a fissare una ragionevole tregua.
Per buona parte del Trecento si successero presuli forestieri: nella loro designazione pesavano i noti motivi e lo sforzo di dirigere – tramite elementi sciolti da inestricabili rapporti preesistenti – il sistema ecclesiastico locale in senso piramidale, contenendo il vigore del capitolo che vanamente tentava di far valere la capacità di elezione, che rivendicava autonomie nel governo del proprio collegio e in quello della cattedrale.
Una riorganizzazione venne tentata con esito relativo da Guido Sette (1358-1368).
Quest’uomo colto, amico del Petrarca con cui aveva corrispondenza epistolare, è ricordato nell’attenta storiografia locale quale «pastore diligente ...
e difensore ...
e guida severa del suo clero».
È anche fondatore di San Gerolamo della Cervara, cenobio benedettino di rapida fama, il cui priore, già in contatto con Caterina da Siena, accolse Gregorio XI durante l’avventuroso viaggio di rientro della curia papale da Avignone a Roma, durato dal 13 settembre 1376 al 17 gennaio 1377.
La forza del nuovo centro consisteva nei caratteri contemplativi, ascetici e culturali, di gran richiamo per un’attiva élite di intensa sensibilità religiosa; fu volano di rinnovamento entro il mondo monastico toccato da pesante crisi.
Del resto tutto l’ambito ecclesiastico risentiva di difficoltà generalizzate, appesantite dalla peste di metà XIV sec.; a Genova si cumulavano temi specifici, che portarono all’istituzione del dogato nel 1339 senza conseguire maggiore stabilità e che richiesero consolidamenti del debito pubblico duri per gli investitori, tra cui non mancavano gli enti ecclesiastici.
L’arcivescovo Andrea Della Torre (1368-1377) fu protagonista di una riorganizzazione attraverso un sinodo di larghissima portata – dai temi sacramentali, a questioni morali come l’usura, a pratiche paraliturgiche –, sintesi normativa di grande durata.
La crisi del grande scisma iniziato nel 1378 coinvolse Genova più volte.
La lealtà filoromana (Urbano VI in fuga dal Mezzogiorno soggiornò nella locale commenda di San Giovanni di Pré per quindici mesi tra il 1385 e il 1386) fu compromessa dalla sottomissione della città alla Francia (1396- 1409), che sosteneva la linea contraria, al momento impersonata da Benedetto XIII; questi soggiornò a Genova; vi predicò in suo favore Vincenzo Ferrer.
Il contrasto politico-ecclesiastico creò buone sponde per il consolidamento dei diversi interessi; ne fece le spese l’arcivescovo Pileo de Marini (1400-1429), tiepidamente aderente a Benedetto XIII, facilmente contrastato in maniera strumentale dal capitolo.
Il progetto di Pileo per un governo centralizzato e riformatore non poté avere seguito nemmeno dopo la fine del governo francese, per debolezza del supporto papale e per totale assenza di collegamento con l’ambiente su cui avrebbe voluto agire; pesarono molto anche nuove implicazioni politiche, dato che il preparato e deciso presule non era ben visto da Filippo Maria Visconti, dal 1421 nuovo signore in Liguria.
La Chiesa locale, come molte altre, era debole di fronte al mondo politico mentre questo puntava a pilotare la vita ecclesiastica e prima di tutto la scelta degli arcivescovi; quando si delineava un avvicendamento, vigorose pressioni erano esercitate su Roma, qualunque fosse la potestà al momento a capo della turbolenta e fragile cosa pubblica genovese.
Il caso più vistoso, anche per la durata degli effetti, si accompagnò alla vacanza di sede verificatasi nel 1452.
Era doge Pietro Campofregoso, il cui casato da tempo aveva delineato un disegno principesco (non riuscito, ma tenacemente perseguito); egli ottenne per il nipote Paolo dapprima l’amministrazione e poi la cattedra, a dispetto della giovane età e degli studi ancora incompiuti.
Paolo Campofregoso iniziò una carriera lunghissima (morì nel 1498) e poliedrica.
Doge tre volte (una a danno di un parente), ammiraglio della flotta armata contro i turchi che avevano occupato Otranto, pirata a danno della patria quando era in disgrazia politica, cardinale, spregiudicato collezionista di benefici, non alieno da brillanti iniziative di intelligenza amministrativa e di cultura (monte di pietà, scuola musicale in cattedrale), la sua attività ecclesiastica ricalcò aspetti noti in prelati dall’accentuata caratterizzazione dinastica, enfatizzati dalla sua partecipazione alla vita politica in prima persona.
Mentre i laici manifestavano esigenze di adeguamento a una società in trasformazione, il governo diocesano condotto da vicari – pur capaci, ma in grado di garantire solo una corretta ordinaria amministrazione – restava lontano da riorganizzazioni e riforme.
Per il territorio vi sono ben poche informazioni, in assenza di sinodi e di visite pastorali.
Il quadro persiste con l’arcivescovo Giovanni Maria Sforza (1499- 1520), uscito dalla famiglia ducale milanese che al momento della nomina governava in Liguria, poco amato e sempre lontano, anche perché in tempi brevissimi la situazione politica si ribaltò.
Le novità maturavano in altri ambienti, come del resto avveniva in più luoghi d’Europa.
A Genova i vertici pubblici di qualunque colore erano attentissimi agli aspetti spirituali ed ecclesiastici per effettivo interesse e per ragioni di «buon governo»; nello stesso tempo mantenevano sistematiche relazioni con Roma.
I laici di rango, sovente coincidenti con persone politiche di peso o a esse vicini, erano ugualmente interessati e apertissimi a esperienze esterne.
Tutto ciò fu favorito da situazioni contingenti.
Genova, forte di antica consuetudine e di radicati interessi con il Mediterraneo orientale e il mar Nero, nel 1438 ebbe parte determinante nel viaggio dei prelati armeni verso l’Italia per partecipare al concilio in cui si trattava la fine dello scisma tra cristianità occidentale e orientali; nel 1439 mantenne importanti contatti con coloro che a Firenze formalizzarono l’unione tra le Chiese, effettiva anche se di breve durata; nel complesso stabilì un ottimo rapporto con Eugenio IV.
Successivamente, tra XV e XVI sec., ben quattro papi liguri (Niccolò V, 1447-1454; Sisto IV, 1471- 1484; Innocenzo VIII, 1484-1492; Giulio II, 1503-1513) consentirono, pur tra varie sfumature, legami non comuni.
Molte iniziative partirono dai laici e si consolidarono scavalcando la gerarchia d’ordine; erano tutte tali da favorire l’inserimento di nuclei regolari recenti, austeri, preparati, aperti al laicato anche attraverso la predicazione.
Con grande precocità giunsero i chierici di San Giorgio in Alga di Venezia e i monaci di Santa Giustina di Padova (il monastero di San Niccolò del Boschetto, sito poco a ovest di Genova, è il primo della loro congregazione esterno al Veneto: forse le novità viaggiavano su canali colti di cui era fulcro l’università di Padova).
Arrivarono francescani e domenicani dell’osservanza, questi ultimi scatenando la violentissima reazione dell’arcivescovo e del clero per l’inserimento presso l’antica collegiata e parrocchia urbana di Santa Maria di Castello.
Comunità femminili rigorose ebbero forte richiamo e posero le basi di una trasformazione radicale entro la vita regolare delle donne, avvenuta tra XV e soprattutto XVI . Localmente presero vita altri movimenti osservanti, sostenuti dalle autorità e amati dai fedeli.
La società genovese era attraversata da profonda inquietudine, in parte connessa con la perdita delle colonie orientali a seguito dell’avanzata ottomana (Costantinopoli è presa nel 1453; Pera, sita sull’altra riva del Corno d’Oro, e le basi del mar Nero vanno incontro a un progressivo soffocamento), con la contrazione dei commerci, con l’uso dei capitali in lussi ostentati o in nuove attività finanziarie sospette di usura; sorsero quesiti etici per i quali il tradizionale impianto ecclesiastico non si dimostrò sufficiente.
Una risposta fu cercata dagli stessi organi di governo: ci si rivolse a esperti del diritto e della morale, i secondi identificati in religiosi delle osservanze, in particolare francescani.
A loro furono affidate fresche iniziative a sfondo sociale, come il monte di pietà (1483) o il grande ospedale di Pammatone, controllato dalla cosa pubblica in un curioso intreccio di laico e di religioso, sottratto con l’autorizzazione di Sisto IV (1471) all’autorità dell’ordinario, del tutto sovvenzionato dai privati.
I laici persistevano nell’apertura caritativa, in taluni ambienti non disgiunta da esperienze interiori di tensione mistica.
Caterina Fieschi Adorno (poi santa Caterina da Genova) era a contatto con un gruppo di chierici e soprattutto di laici (personalità trainante era il notaio Ettore Vernazza) che diede vita al sodalizio del «Divino Amore» (1497), motore di intraprese caritative variate e originalissime, destinato a rapida diffusione in gran parte d’Italia sia per esperienze spirituali sia per effetti pratici.
Da un lato vivacità spirituale di religiosi regolari e di laici sostenuta da manifestazioni di grande concretezza («imitare il nostro capitano Giesù Christo, il quale prima cominciò a fare e poi a dire»), dall’altro una sorta di sordo conservatorismo condizionato da vincoli politici e da privilegi: così la diocesi di Genova si inoltrò nel Cinquecento, età in cui tensioni e soluzioni raggiungeranno un livello ben più alto e generalizzato.
L’estensione della diocesi resta a lungo ignota.
In età alto-medievale si può presumere un’ampiezza non lontana da quella rilevabile nel XII sec.: il fronte costiero era limitato a ovest dal torrente Lerone che marcava il limite con la giurisdizione di Vado (poi Savona); a est incontrava quella di Luni all’altezza di Anzo (Framura.
La diocesi di Chiavari, che oggi limita a est quella genovese, fu istituita nel 1892); verso l’interno il confine tendeva ad attestarsi sullo spartiacque appenninico.
Poteva tuttavia inserirsi la presenza di altre autorità: come il vescovo di Genova aveva antichi diritti non solo economici in zone distaccate (Sanremo e Taggia), così l’arcivescovo di Milano e il cenobio di Bobbio erano presenti in singoli punti del Levante ligure; l’azione monastica era tanto radicata da generare la presenza di isole diocesane bobbiesi entro il territorio genovese, una volta istituito il vescovato di Bobbio nell’XI . Nel 1133 Innocenzo II sottopose al presule genovese il monastero di San Venerio del Tino.
Dopo il 1133 cinque chiese della val Petronio, tra cui la pieve di Castiglione, e quattro dell’alta val di Vara passarono alla diocesi di Brugnato.
Nel 1162 Alessandro III sottopose a Genova le chiese di Portovenere, tolte a Luni, e il monastero dei Santi Maria e Martino della Gallinaria, tolto ad Albenga.
Probabilmente già alla fine del XII . Bonifacio – colonia genovese sulla punta meridionale della Corsica – passò sotto il controllo dell’arcivescovo ligure, controllo effettivo e duraturo anche se mai sancito formalmente; e lo stesso avvenne per le vicine isole di Sant’Amanza, Lavezzi, Budelli.
Nel 1248 Innocenzo IV assegnò a Genova le pievi di Montoggio, Gavi, Voltaggio, Pastorana, Borgofornari, tolte a Tortona.
Intorno al 1430 fu la volta dell’isola di Capraia.
La Chiesa genovese aveva qualche capacità anche su alcuni istituti di un oltremare più remoto, in condizioni diverse a seconda della qualità dell’insediamento.
In un semplice stabilimento commerciale, come a Tiro, il luogo di culto dei genovesi riceveva la nomina del cappellano dal capitolo di San Lorenzo ma restò nella giurisdizione locale.
Dove vi erano basi territoriali, come a Caffa, sorse un vescovato latino con forti aspettative missionarie, il cui titolare era designato da Roma sovente su indicazione del governo genovese, e che apparteneva all’arcidiocesi di Pechino.
II - Dal XVI al XX sec.
La Chiesa genovese non conobbe problemi legati alla diffusione delle Riforme protestanti, infatti queste ebbero poche adesioni tra alcuni nobili, mercanti e i soldati della milizia germanica al servizio del Doge.Tuttavia la reformatio tam in capite quam in membris era necessaria, anche se non erano mancati fermenti di rinnovamento.
Vivo era il ricordo di Caterina Fieschi Adorno.
Gli arcivescovi che avevano governato la diocesi tra Quattro e Cinquecento non se ne erano generalmente occupati.
Innocenzo Cibo, arcivescovo dal 1520 al 1550, fu al contempo per diversi anni vescovo di Torino e di altre sedi vescovili brillando per assenza e disinteresse.
Gli arcivescovi Gerolamo Sauli (1550-1559) e Agostino Maria Salvago (1559-1567) iniziarono timidamente e gradualmente l’opera di riforma ecclesiale con un nuovo stile di presenza episcopale e con una più accurata formazione del clero in cura d’anime.
Un aspetto che condizionò pesantemente, per tutto il tempo dell’ancien régime, fu il rapporto con le autorità della Repubblica, che esercitava una politica di controllo esasperato e fortemente giurisdizionalista, mentre da parte ecclesiale puntigliosa era la rivendicazione delle immunità.
Va sottolineato che mai, nemmeno nei momenti di scontro più duro, fu messa in discussione l’adesione alla fede cattolica.
Queste tensioni indussero alcuni arcivescovi a rinunziare alla sede, tra cui nel Cinquecento Antonio Sauli e Alessandro Centurione.
Il risultato di questi rapporti lacerati fu il turbamento delle coscienze.
Con l’arcivescovo Cipriano Pallavicini si tenne all’inizio del 1574 un sinodo provinciale con l’intento di assicurare una normativa valida per tutto la provincia ecclesiastica, si combatterono la superstizione e il malcostume.
Nel 1582 Gregorio XIII inviò il vescovo di Novara Francesco Bossio a compiere la visita apostolica alla diocesi, che fu molto accurata ed evidenziò carenze e disfunzioni.
Tra Cinque e Seicento si tennero alcuni sinodi diocesani (nel 1588 Antonio Sauli [1586-1591], nel 1604 Orazio Spinola e nel 1619 Domenico De Marini).
Pilastro importante per la riforma cattolica, come stava avvenendo in tutta la Chiesa, fu il rinnovamento degli antichi ordini e l’introduzione delle nuove comunità nate negli anni immediatamente antecedenti o susseguenti la riforma tridentina: cappuccini (1530), gesuiti (1554), somaschi (1575), teatini (1572), barnabiti (1606), san Camillo de Lellis e san Giuseppe Calasanzio avevano aperto personalmente le case delle loro congregazioni in Genova.
La vita religiosa femminile vide l’introduzione delle carmelitane riformate di Teresa d’Avila, tra cui si distinse Paola Maria di Gesù.
Maria Vittoria Fornari Strata fondò le Annunciate celesti dette anche turchine, Medea Ghiglino Patellani istituì la congregazione delle Sorelle di San Giovanni Battista e Santa Caterina da Siena dette «Maestre medee».
Con il Seicento si ebbe un salto di qualità nella cura pastorale con gli arcivescovi Orazio Spinola e Domenico De Marini, ma soprattutto con il lungo, travagliato e operoso servizio episcopale del cardinale Stefano Durazzo (1635-1664), la cui opera verteva sostanzialmente su quattro punti: l’evangelizzazione della città, dei borghi rivieraschi e dell’entroterra; la riforma del clero e del seminario; l’azione caritativoassistenziale soprattutto nel periodo della peste; l’incremento e l’educazione della pietà popolare con il tentativo di regolamentare l’attività delle confraternite.
Il Durazzo, uomo zelante e di pietà viva, ma al tempo stesso austero ed esigente, compì due volte la visita pastorale a tutta la diocesi, la prima tra il 1638 e il 1647 e la seconda tra il 1650 e il 1654.
Nel 1637 vi fu la proclamazione della Beata Vergine Maria quale Regina e Imperatrice della Repubblica e della città di Genova, volendo affermare la sovranità della Repubblica nei riguardi dell’Impero.
Nel 1643 fondò i missionari urbani che pose sotto la protezione di san Carlo Borromeo.
Nel 1643 tenne un sinodo che sulla questione dei terratici lo mise in contrasto con le autorità della Repubblica.
Liberò il seminario dall’ingerenza del magistrato civile e ne edificò uno nuovo dalle fondamenta nel 1656, curandone la formazione e l’insegnamento.
Si adoperò per avere a servizio della diocesi gli oratoriani di Filippo Neri (1644) e i preti della missione di Vincenzo de’ Paoli (1645), questi ultimi in particolare per le missioni parrocchiali e la formazione dei candidati al sacerdozio.
Fondò trentaquattro nuove parrocchie che cercò di dotare convenientemente.
Due figure rappresentative di questo periodo furono Virginia Centurione Bracelli, fondatrice delle Figlie di Monte Calvario, e il munifico laico Emanuele Brignole.
Nel 1664 rinunciò al governo pastorale della diocesi perdurando gravi contrasti con la Repubblica e per motivi di salute.
Anche l’arcivescovo Giovanni Battista Spinola dovette rinunciare al suo ufficio nel 1681, a lui succedette Giulio Vincenzo Gentile che celebrò il sinodo diocesano nel 1683; l’anno seguente si adoperò per il soccorso alla città dopo il bombardamento navale voluto da Luigi XIV per umiliare la Repubblica di Genova.
Alla fine del Seicento la diocesi aveva trecento parrocchie di cui tre non legate al territorio: Portovenere, Bonifacio in Corsica e Tabarca, colonia genovese in Nord Africa.
La prima metà del Settecento si svolse sotto gli episcopati del cardinal Lorenzo Fieschi (1705-1726) e del domenicano Nicolò De Franchi (1726-1746).
Va ricordato che nel 1737 ci fu la canonizzazione di Caterina Fieschi Adorno: solennissimi furono i festeggiamenti che si tennero dappertutto e molto sentiti da parte dei fedeli.
L’episcopato più significativo fu indubbiamente quello di Giuseppe Maria Saporiti (1746-1767), già dal 1743 coadiutore del De Franchi.
Fu il primo a scrivere delle lettere pastorali e si preoccupò della formazione del clero mutuando dalla spiritualità sacerdotale francese del Seicento.
Esortava i fedeli a vivere la vita cristiana con la preghiera e i sacramenti, in modo particolare la confessione.
Curò l’insegnamento della catechesi e diede alle stampe il primo catechismo genovese: Dottrina cristiana data alle stampe da Monsignor Arcivescovo G.
Saporiti ad uso della città e Diocesi di Genova.
Dal punto di vista spirituale figura notevole fu Giovanna Battista Solimani, fondatrice delle romite battistine.
Vanno inoltre ricordati Domenico Francesco Olivieri e Francesco Maria Ferralasco che nel 1713 fondarono la congregazione dei missionari rurali.
Nel 1749 l’Olivieri, con l’influsso della Solimani, fondava i missionari di san Giovanni Battista detti battistini.
Altre personalità di spicco furono Paolo Gerolamo Franzone che istituì gli Operai evangelici e le Madri pie franzoniane; Lorenzo Garaventa si dedicò all’educazione dei fanciulli fondando le scuole di carità.
Nel 1760 la Repubblica di Genova ricevette l’interdetto da Clemente XIII per aver impedito la visita apostolica in Corsica.
A partire dalla metà del Settecento si erano andate diffondendo negli ambienti nobili e alto borghesi e presso alcune comunità religiose le idee gianseniste che ebbero larga parte negli avvenimenti a cavallo tra XVIII e XIX . Dal 1767 al 1802 fu arcivescovo Giovanni Lercari, moderato e irresoluto, che cercò finché poté una posizione di equidistanza tra le diverse fazioni del clero e in particolare tra giansenisti, filogesuiti e antigiansenisti.
La soppressione della Compagnia di Gesù fu un duro colpo per l’ambiente culturale e lasciò campo libero ai giansenisti.
Con gli avvenimenti legati all’occupazione francese e alla Repubblica ligure i giansenisti liguri Giovanni Battista Molinelli, Vincenzo Palmieri, Ottavio Assarotti, Eustachio Degola che erano in contatto con i portorealisti d’Oltralpe e in particolare con Henri Grégoire, cercarono di condizionare in tutti i modi la situazione influendo sulle autorità.
Tentarono di indurre l’arcivescovo ad atteggiamenti di rottura con Roma, fecero allontanare il vicario generale Antonio Luigi Schiaffino e Giovanni Battista Lambruschini prevosto delle Vigne, che era il sacerdote più influente del momento, e costrinsero l’arcivescovo a scegliere Giovanni Battista Moscini quale vicario.
In seguito esiliarono lo stesso arcivescovo e gli impedirono di agire liberamente; infatti speravano di piegarlo a consacrare vescovo, senza mandato apostolico, Gian Felice Calleri.
Quando tutto sembrava pronto, il progetto sfumò.
Tra alterne vicende il Lambruschini divenne per pochi mesi vicario generale, nell’estate 1800 fu consacrato vescovo e coadiutore con diritto di successione del Lercari, ma ritornati i francesi andò nuovamente esule a Roma.
Nel 1802 veniva nominato arcivescovo il cardinale Giuseppe Spina, che aveva assistito fino alla morte Pio VI e aveva collaborato alla trattativa per il concordato napoleonico del 1801.
Amabile e cordiale diplomatico, non esasperò la frattura con i giansenisti e, ritenuto eccessivamente condiscendente nei riguardi di Napoleone, era comunque uomo di sicura dottrina e di fedeltà alla Chiesa e alla Sede apostolica.
Della troppa disponibilità «all’usurpatore» dovette fare pubblica ammenda in San Lorenzo l’8 dicembre 1814, come altri vescovi ritenuti filo bonapartisti.
Riprese le visite pastorali ed ebbe cura del seminario.
Allo Spina succedette il barnabita Luigi Lambruschini, che tenne la cattedra di san Siro dal 1819 al 1829, quando fu nominato nunzio a Parigi.
L’arcivescovo si dedicò con cura al rinnovamento spirituale della diocesi con le visite pastorali, le missioni parrocchiali, gli esercizi spirituali, la catechesi.
Si adoperò per avere un clero ben formato; tra i sacerdoti spiccano Antonio Maria Gianelli, poi vescovo di Bobbio, e Giuseppe Frassinetti, propugnatore della morale di sant’Alfonso Maria de Liguori e fondatore dei Figli di Maria Immacolata.
Cercò di dare nuovo slancio alla vita religiosa femminile: francescane, domenicane, visitandine, agostiniane ripresero la vita regolare.
Pur essendo conservatore e legittimista era attento ai problemi delle classi più povere.
Dopo il breve episcopato di Giuseppe Vincenzo Airenti (1830- 1831), giunse a Genova monsignor Placido Maria Tadini (1832-1847): furono anni di grandi fermenti tra il clero e i fedeli, mentre particolarmente attive erano le società segrete e si diffondevano gli scritti di Balbo e Gioberti.
L’arcivescovo avanti negli anni non aveva la forza di contrastare, tenere a bada e indirizzare le idee e le situazioni emergenti.
Fece un’accurata visita pastorale e celebrò il sinodo diocesano nel 1838.
Alla sua morte la sede rimase vacante per cinque anni, in una situazione di forte tensione; sfumata la candidatura dell’abate Ferrante Aporti, si giunse nel settembre 1852 alla nomina di Andrea Charvaz.
La lunga vacanza della sede aveva aggravato la situazione religiosa e pastorale; Charvaz, di origine savoiarda e legato a casa Savoia, manteneva buoni rapporti con la corte di Torino, ma cercava anche di evitare grosse fratture, e prese le distanze dall’intransigente giornale «Il Cattolico» fondato nel 1849, riuscendo a smorzare i toni aspramente polemici tra clericali e anticlericali.
Occorre dire che «gli aspetti politici hanno finito col porre in ombra l’attività pastorale che è di gran rilievo e non ha nulla a che fare col preteso liberalismo».
Infatti accolse la Quanta Cura e il Sillabo.
Si diffuse maggiormente l’opera della Propagazione della Fede.
Nel 1855 si apriva il collegio Brignole Sale Negroni per le missioni estere, affidato ai missionari vincenziani di Fassolo.
Durante questo episcopato furono promosse innumerevoli opere per l’educazione dei bambini, scuole di avviamento professionale, il soccorso delle famiglie, dei poveri e dei malati.
Fin dal 1846 era nata la prima conferenza di san Vincenzo promossa in Francia dal beato Ozanam; nel 1854 nasceva la prima società di mutuo soccorso di san Giovanni Battista.
Il clero, religiosi e religiose e il laicato genovesi erano molto attivi e in maniera sensibile e generosa operavano all’interno della Chiesa e della società, lasciando un solco profondo; il movimento cattolico ebbe a Genova rappresentanti significativi.
Figure di rilievo furono Antonio Brignole Sale, Benedetta Cambiaggio Frassinello, Agostino Roscelli, Francesco Montebruno, Gaetano Alimonda, Rosa Gattorno, Eugenia Ravasco, Maria Francesca Rubatto.
Non si può dimenticare il cappuccino Francesco Maria da Camporosso, detto «il Padre Santo».
Si insediarono le Piccole sorelle dei poveri di Jeanne Jugan e san Giovanni Bosco portò i salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice a Genova.
La pietà popolare, e in particolare quella mariana sempre viva e sentita, ebbe un forte incremento.
L’ultimo trentennio dell’Ottocento vide due grandi arcivescovi: Salvatore Magnasco (1871-1892) e il beato Tommaso Reggio (1892-1901).
Il Magnasco era stato negli ultimi anni ausiliare di Charvaz e aveva partecipato al Vaticano I distinguendosi per il suo intervento in favore dell’infallibilità.
Assunse una linea intransigente e dovette fronteggiare un crescente anticlericalismo che ebbe molteplici manifestazioni di sfida, come in occasione dell’inaugurazione del monumento a Mazzini.
Il 9 giugno 1872 vi fu la consacrazione della diocesi al Sacro Cuore e l’anno seguente si pubblicava un Catechismo per i fanciulli contenente i dogmi dell’Immacolata e dell’infallibilità.
Fatti che, oltre a creare difficoltà localmente, ebbero strascichi polemici anche nel parlamento nazionale.
Magnasco istituì nel 1875 l’accademia di san Tommaso d’Aquino.
Pur curando la formazione dei candidati al sacerdozio, i primi anni del suo episcopato videro una diminuzione delle ordinazioni sacerdotali, con una buona ripresa in seguito.
Magnasco favorì molto la stampa cattolica con l’intento di preservare la fede e la morale nell’ambiente cattolico: nel 1874 nasceva il giornale «Il Cittadino» e numerosi altri bollettini molto combattivi.
Fece ricostruire il santuario della Guardia.
Alla morte di Salvatore Magnasco, avvenuta il 12 gennaio 1892, venne trasferito dalla sede di Ventimiglia monsignor Tommaso Reggio, che colse l’occasione delle celebrazioni colombiane per dare un’impronta religiosa ai festeggiamenti, assumendo un atteggiamento più conciliante nei confronti dello Stato unitario e dei suoi rappresentanti.
Da giovane prete era stato direttore del quotidiano genovese «Lo Stendardo Cattolico», mostrandosi favorevole alla partecipazione dei singoli cattolici alla vita politica e all’impegno dei cattolici nella società.
I buoni rapporti con la casa reale (presiedette le esequie di Umberto I) e con le autorità locali gli guadagnarono la possibilità, dopo anni, di tenere la processione del Corpus Domini, ma anche di prendere provvedimenti per la vita diocesana.
Infatti nel 1899 costituì una nuova serie di parrocchie, con il relativo riconoscimento civile, e promosse lavori di restauro in San Lorenzo.
Una serie di iniziative diedero maggior vitalità alla vita ecclesiale: la visita pastorale dal 1893 al 1896, il sinodo diocesano nel novembre 1896, l’incoronazione della Madonna della Guardia nel 1894; si ebbero anche le celebrazioni per l’ottavo centenario dell’arrivo a Genova delle ceneri di san Giovanni Battista.
A succedere al Reggio fu chiamato il vescovo di Novara Edoardo Pulciano (1901-1911): furono anni complessi per la questione modernista e la presenza del barnabita Giovanni Semeria ingiustamente tacciato di modernismo.
Lo stesso arcivescovo fu accusato di aver agito debolmente e con ritardo contro i modernisti.
Pulciano era uomo esemplare per stile di vita e zelo pastorale, ma austero ed esigente, e per questo si creò un clima di diffidenza; infatti certe riforme e provvedimenti da lui presi sembravano inopportuni.
Nel 1905 ebbe luogo la visita apostolica di padre Emilio Parodi alla diocesi e in seguito quella di monsignor Pietro La Fontaine al seminario.
Il nuovo arcivescovo favorì il rinnovamento degli studi, compì la visita pastorale nel 1903 e 1910, celebrò il sinodo nel 1909, promosse la costruzione di chiese nei nuovi quartieri, si interessò di arte sacra e fondò la «Rivista Diocesana».
Alla morte repentina di Pulciano si aprì una dolorosa crisi nella vita diocesana con riflessi politici e sociali non indifferenti.
Pio X nel 1912 nominò monsignor Andrea Caron, cui però fu negato il regio exequatur.
Questione modernista e rifiuto dell’exequatur si intrecciarono.
Va detto che a Genova non si ebbe uno scontro vero e proprio tra modernisti e antimodernisti, ma questi ultimi in nome della tradizione combattevano ogni elemento di novità all’interno della Chiesa.
Oggetto di un’ingiusta gazzarra fu il Semeria, apprezzato per la sua predicazione e per l’attività caritativa.
La nomina del Caron era in chiave antimodernista e mirava a porre un argine «alla supposta debolezza» di Pulciano.
Contro questa nomina si erano mobilitati il mondo laico e una parte dei cattolici più aperti.
Il caso divenne nazionale e diede la stura a polemiche e interpellanze parlamentari.
Nel novembre 1912 venne notificato a Giacomo De Amicis, vicario capitolare, l’interdetto su tutta la diocesi di amministrare le cresime e conferire gli ordini sacri.
Per tre anni la sede rimase vacante: solo con l’elezione di Benedetto XV, genovese, e a seguito di trattative, ci fu la concessione dell’exequatur da parte del governo a monsignor Caron, il quale rinunciò e subito fu nominato Ludovico Gavotti, il cui servizio episcopale si svolse durante gli anni della prima guerra mondiale.
Questi si interessò del mondo operaio e delle famiglie, sostenne l’opera delle società di mutuo soccorso e delle conferenze di san Vincenzo.
Sacerdoti quali Giacomo Moglia, fondatore dell’apostolato liturgico, Mario Righetti, Amedeo Lercaro e l’abate Pier Francesco Casaretto, studiarono e approfondirono la storia e lo sviluppo della liturgia.
Tra il 1919 e il 1924 si ebbero brevi episcopati.
Tommaso Pio Boggiani fu un intransigente sfavorevole alla nascita del Partito popolare, che vedendo sgradito il suo orientamento pastorale rinunciò e tornò a Roma.
Seguì Giosué Signori; si tenne in questo periodo il VII congresso eucaristico nazionale, con notevole solennità e concorso di popolo, momento forte di riconciliazione dei cattolici italiani.
Dopo i pochi mesi di presenza di Francesco Sidoli, Pio XI trasferì da Crema Carlo Dalmazio Minoretti (1925-1938), che aveva esperienza e capacità maturate negli anni, e trovava una diocesi sufficientemente ricca di clero: parrocchie con più sacerdoti, oratori e confraternite con un loro assistente spirituale.
La vita religiosa era fervente e impegnata in scuole, ospedali e case dediti a vari servizi caritativi.
Accanto alle grandi comunità, vi erano diverse piccole congregazioni di diritto diocesano che operavano capillarmente sul territorio.
Il laicato cattolico aveva varie espressioni, ma era soprattutto l’Azione cattolica, dai fanciulli agli universitari (Fuci), agli uomini e alle donne, che trovò spazio a vari livelli: era la punta di diamante e in quegli anni diventò «la forma privilegiata e raccomandata della partecipazione dei laici alla vita della Chiesa, ma anche il seminario della loro spiritualità».
Minoretti riordinò le parrocchie a partire dal centro storico, favorì l’insediamento di nuove parrocchie, cercò di distribuire meglio il clero, favorì la funzione sociale e aggregante della parrocchia con cinema, teatri, ricreatori, circoli, ma anche aiuto ai bisognosi, ricerca di lavoro e abitazione.
Era considerato «vescovo sociale e antifascista».
Grande fu la tensione per le sorti dell’Azione cattolica e di altre associazioni nel 1931, quando ci fu lo scontro tra Chiesa e fascismo.
Scritte ingiuriose, devastazioni di sedi e circoli, polemiche giornalistiche.
L’arcivescovo protestò presso Mussolini, venne inviata una lettera collettiva dell’episcopato ligure a Pio XI, si cancellarono tutte le processioni in segno di protesta.
Intanto si formavano ed emergevano giovani sacerdoti teologicamente preparati, docenti di discipline ecclesiastiche, pastoralmente e spiritualmente validi quali: Giacomo Lercaro, Emilio Guano, Giuseppe Siri, Franco Costa, Luigi Pelloux, destinati a svolgere un ruolo importante nella vita ecclesiale tra il 1950 e il 1980.
Nel 1933 si celebrò l’anno giubilare e i settecento anni di Genova come sede arcivescovile; l’anno seguente ci fu il primo congresso di spiritualità liturgica.
Il 12 marzo del 1938 moriva Minoretti e insolitamente due giorni dopo veniva nominato il cardinale Pietro Boetto, già provinciale dei gesuiti.
Prima dello scoppio della guerra la stampa diocesana prese decise e forti distanze dalle leggi razziali e poi condannò l’intervento.
L’episcopato di Boetto si dipanò negli anni della seconda guerra mondiale.
Soprattutto con la caduta del fascismo comprese l’esigenza di far sentire l’azione della Chiesa in quei frangenti, a sostegno dei lavoratori.
Venne fondata nel 1943 l’Onarmo (Opera nazionale per l’assistenza religiosa e morale degli operai).
Con la sua presenza, l’azione caritativa, l’aiuto dato agli ebrei e ad altri ricercati – soprattutto verso la fine del conflitto –, con l’aiuto dell’ausiliare Giuseppe Siri, l’arcivescovo si adoperò per la salvezza del porto e la resa delle truppe tedesche di stanza in città e nel Genovesato.
Nel novembre 1945 il consiglio comunale riconobbe a Boetto il titolo di «defensor civitatis»; due mesi dopo l’arcivescovo moriva (31 gennaio 1946).
Il 16 maggio 1946 Pio XII nominava arcivescovo Giuseppe Siri (1906-1989).
Nei primi anni del suo episcopato fu sobrio negli interventi e il suo interesse era soprattutto proteso a ricostruire materialmente e spiritualmente le chiese e la Chiesa.
Attento alla realtà sociale, invitò e spronò alla giustizia sociale e combatté il materialismo marxista, ma stimolò anche gli imprenditori cattolici a una visione cristiana dell’economia; fu dal 1949 e per moltissimi anni presidente delle settimane sociali.
Nel 1947 fondò l’Auxilium come comitato caritativo arcivescovile.
Nel 1950 tenne il concilio provinciale ligure, nel concistoro del 1953 fu promosso cardinale, nel 1956 si celebrò il sinodo diocesano.
Terminata la guerra ci fu la Peregrinatio Mariae per tutte le parrocchie e nel 1952 venne rinnovata la consacrazione a Maria.
Nel 1959 fu nominato primo presidente della Conferenza episcopale italiana.
Partecipò al concilio Vaticano II, astenendosi dalla firma della Lumen Gentium, non condividendo altri aspetti e la riforma liturgica che ne era derivata.
Dovette affrontare il problema della contestazione, il cui caso più clamoroso fu a Genova quello di Oregina.
La forte personalità del cardinale caratterizzò la vita diocesana: egli sentiva di dover difendere la fede, la morale, la tradizione ecclesiastica e gli usi liturgici dalle novità che, a suo avviso, la minacciavano, senza timore di perdere in popolarità.
In quest’ottica venne fondata nel 1966 la rivista «Renovatio».
Nel periodo che va dal 1934 al 1978 le parrocchie passarono da 212 a 274, i sacerdoti diocesani da 638 a 531 mentre la popolazione era salita da 705.191 a 1.009.058, a cui si aggiungevano nel 1978 503 religiosi.
Nel 1965 inaugurò la nuova sede del seminario maggiore sulla collina di Righi.
La diocesi ricevette in due occasioni – 1985 e 1990 – per il V centenario delle apparizioni della Madonna della Guardia la visita del papa Giovanni Paolo II.
Al quarantennale episcopato di Siri, dimessosi, con rammarico, per limiti di età, subentrò nel 1987 Giovanni Canestri, che ebbe il merito di traghettare senza creare fratture il dopo Siri con l’amabilità e la capacità d’incontro.
La visita pastorale e la formazione dei giovani sacerdoti hanno contraddistinto il suo episcopato.
Per il V centenario della scoperta dell’America si ebbe l’apertura della missione diocesana a Santo Domingo.
Nel giugno 1995 venne nominato Dionigi Tettamanzi, già arcivescovo di Ancona e poi segretario generale della Conferenza episcopale italiana.
Il suo servizio si è caratterizzato per una ricca e incisiva attività magisteriale, in particolare in preparazione al Giubileo del 2000; il desiderio di ricentrare il cammino di vita cristiana intorno alle parrocchie legate tra loro nei vicariati (in quest’ottica fu fatta la visita pastorale) a cui va aggiunta la valorizzazione degli organismi diocesani; l’attenzione al dialogo con le diverse realtà.
Nel luglio 2002 il cardinal Tettamanzi veniva da Giovanni Paolo II nominato arcivescovo di Milano e gli succedeva Tarcisio Bertone, che ricevette la porpora cardinalizia nel 2003.
Al cardinal Bertone, chiamato da Benedetto XVI alla carica di segretario di Stato, è succeduto nel settembre 2006 monsignor Angelo Bagnasco, che dal 7 marzo 2007 è presidente della Cei.
Bibliografia
Dalle origini al XV sec.Un volume discretamente recente è dedicato alle vicende della Chiesa genovese, trattate da specialisti dei diversi periodi. Il riferimento di base e cronologicamente più arretrato è a quest’opera e all’ampia bibliografia che ne correda ogni parte: Il cammino della Chiesa genovese dalle origini ai nostri giorni, a c. di D. Puncuh, Genova 1999. Per l’età medievale si veda: V. Polonio, Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002. Utile per l’inquadramento risulta un’altra recente opera complessiva e a più mani: Storia di Genova. Mediterraneo Europa Atlantico, a c. di D. Puncuh, Genova 2003. Per argomenti specifici si segnalano: V. Polonio, L’arrivo delle ceneri del Precursore e il culto del Santo a Genova e nel Genovesato in età medioevale, in San Giovanni Battista nella vita sociale e religiosa a Genova e in Liguria tra medioevo ed età contemporanea, Atti del convegno di studi, Genova 16-17 giugno 1999, a c. di C. Paolocci, Genova 2000, 35- 65;
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C. Paolocci, La Consortia di San Giovanni Battista nella cattedrale di Genova: appunti per una storia, in ivi, 165-194;
F. Fabbri, La Compagnia genovese della Misericordia sotto il titolo di San Giovanni Decollato: l’assistenza e il conforto per i condannati a morte, ivi, 195-230;
V. Polonio, Devozioni di lungo corso: lo scalo genovese, in Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, Atti del convegno internazionale di studi, Genova-Venezia 10-14 marzo 2000, a c. di G. Ortalli-D. Puncuh, Genova 2001, 349-394;
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M. Doldi, Giuseppe Siri. Il Pastore 1946-1987, Città del Vaticano 2006.
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Diocesi di Genova
Chiesa di San Lorenzo Martire
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.