Diocesi di Lodi
STORIA
I - Le origini e il territorio
Le notizie su Vittore, Nàbore e Felice, martirizzati a Laus durante la persecuzione di Diocleziano (inizio IV sec.), provengono da un inno ambrosiano; al cessare dell’ondata persecutoria in Occidente, i loro corpi furono traslati a Milano.Tale vicenda porta a ipotizzare che esistesse già, all’inizio del IV sec., una comunità di cristiani a Laus, dipendente però dal vescovo di Milano.
Il primo vescovo accertato di Laus è Bassiano, la cui data di consacrazione è quasi certamente il 19 gennaio 374.
L’esistenza di una chiesa con proprio vescovo a Laus è precedente all’azione di Ambrogio, vescovo a Milano, solo alla fine dello stesso 374.
Fede ortodossa e stretta amicizia con Ambrogio sono tra le poche certezze sul protovescovo, tra i partecipanti al sinodo antiariano di Aquileia del 381 e al sinodo di Milano (attorno al 391) contro l’eretico Gioviniano; probabilmente nel 387 era stata consacrata la chiesa extramurana dedicata agli apostoli (odierna basilica di San Bassiano a Lodi Vecchio).
Ritroviamo Bassiano accanto ad Ambrogio morente nel 397.
Bassiano muore nel 409.
Restano poi pochi ricordi di tre vescovi del V sec.: Giuliano (427-445), Ciriaco (451) e Tiziano (474-476).
Stupisce la quasi completa assenza di notizie fino alla prima metà del IX sec., forse anche per le vicissitudini seguite all’invasione longobarda e alla fuga a Genova del metropolita di Milano.
Il primo vescovo con nome germanico, Erimperto, tra l’827 e l’842, inaugura una serie più continua di vescovi laudensi.
Si può ipotizzare che il territorio su cui si estendeva la giurisdizione del vescovo di Laus non fosse molto differente dall’attuale ambito della diocesi di Lodi, segnato dal corso di tre fiumi (Lambro a occidente, Adda a oriente, Po a mezzogiorno) e da un altro corso d’acqua (Addetta o Addella) verso Milano.
Bisogna però ricordare che l’alveo dell’Adda si è spostato verso occidente, mentre il Po si portò sempre più a sud e interagì in vari modi con il Lambro.
II - L’alto Medioevo fino alla distruzione di Laus (1158)
I documenti superstiti attestano due fenomeni: il sorgere e il diffondersi degli insediamenti monastici e il moltiplicarsi di luoghi di culto in centri della campagna.In particolare la presenza cisterciense (Cerreto, Santo Stefano al Corno, San Vito di Camairago) fu un fattore determinante nella strutturazione dell’economia agricola del Lodigiano.
Il cosiddetto sistema pievano sembra invece stabilizzarsi più lentamente: la prima attestazione di una ecclesia definibile come plebs è del 1022.
Verso la fine del X . si deve collocare la redazione della Vita Sancti Bassiani, che si inserisce nella tendenza comune alle città dell’Italia settentrionale a ricollegarsi alle figure dei protovescovi di età tardoromana.
Nel periodo successivo si evidenzia l’inserimento dell’episcopato e della città laudense nello scacchiere padano: l’arcivescovo milanese Ariberto d’Intimiano ottenne da Corrado II il diritto di investitura temporale del vescovo di Laus.
Il diritto successivamente decadrà, ma non le mire di Milano sul controllo della via d’acqua del Lambro.
Il clero mostrava i segni di cedimento a simonia e concubinato: ne parla Pier Damiani, che transitò per Lodi mentre era legato papale a Milano, e che poi ebbe come discepolo e collaboratore un lodigiano, Giovanni, in seguito vescovo di Gubbio (†1105).
Successivamente, si può identificare una tensione tra il gruppo sociale dei capitanei – l’alta nobiltà legata a Milano – e i valvassori; al primo gruppo si appoggiava il vescovo Arderico da Vignate (1103-1127), che fu cacciato da Lodi provocando la distruzione, da parte dei milanesi, delle difese e del centro più antico di Laus (1111) di cui sopravvissero i borghi.
La città cercò di riprendere il suo processo di sviluppo, provocando nuovamente la guerra con Milano.
Il vescovo Lanfranco (1143-1158) ebbe forse un ruolo di mediazione con i potenti vicini, ma non riuscì a evitare la definitiva distruzione di Laus nell’aprile 1158.
III - Dalla fondazione della nuova Lodi all’età rinascimentale
Sempre nel 1158 una delegazione di profughi lodigiani chiese a Federico I Barbarossa di consentire alla fondazione di una nuova Lodi, in una località distante alcune miglia verso est rispetto a Laus.La scelta del luogo si configurava come una resa alle pretese milanesi di controllo del Lambro.
L’imperatore svevo, con il papa imperiale Vittore IV, accompagnò le reliquie del protovescovo, traslate nella nuova cattedrale non ancora terminata (1163).
Il passaggio di Lodi alla lega lombarda comportò la rimozione del successore di Lanfranco e l’elezione di un nuovo vescovo, Alberto Quadrelli da Rivolta (1168-1173).
Solo a seguito di questo atto, Alessandro III diede sanzione canonica al trasferimento della sede episcopale (1177).
Le successive vicende mostrano i segni della diffusa tendenza all’emancipazione del potere laico dalla tutela vescovile, anche in alcuni centri minori.
Si delineano i due gruppi dei ghibellini e dei guelfi; il potere in città era generalmente gestito dal gruppo guelfo, che mirava però a sfruttare le risorse economiche episcopali.
Nel 1237 la città cadeva sotto il controllo di Federico II: le violenze connesse a questo cambio di potere spinsero Gregorio IX a privare Lodi della dignità episcopale, a decorrere dalla morte del vescovo in carica (1243-1252).
Cacciati i ghibellini nel 1251, venne ripristinata la sede vescovile.
Pare che il complotto che portò all’omicidio di Pietro da Verona, domenicano impegnato nella lotta contro gli albigesi, ucciso in un agguato nei dintorni di Seveso (1252), fosse stato ordito con l’appoggio di gruppi ereticali di Lodi.
Le lotte tra città padane e il sorgere dello stato regionale visconteo portarono a una lunga fase di tensioni politiche e di violenze, che coinvolsero la diocesi: già alla fine del XIII . l’elezione episcopale richiese un intervento di Bonifacio VIII.
Nel XIV . si registra uno scisma episcopale (1312-1318), un vescovo in esilio (dal 1318 al 1335) e il successore, un francescano, imposto da Clemente VI nel 1343 contro il candidato visconteo eletto dal capitolo.
All’inizio del XV . Lodi era una sede vescovile di scarse entrate economiche.
Tanto più che nel Lodigiano, in questo periodo, si assiste al decollo di un’agricoltura innovativa, che richiedeva competenze e investimenti che i proprietari ecclesiastici non potevano assicurare.
Le scelte dei duchi di Milano portarono a Lodi figure di vescovi di rilievo.
Giacomo Arrigoni (1407-1419), domenicano, rettore a Bologna e vescovo successivamente di Urbino e Trieste, era una delle menti pensanti della teologia del tempo del grande scisma.
Al suo ruolo e all’ospitalità di Giovanni Vignati, signore di Lodi, in un periodo di autonomia rispetto a Milano, si deve l’incontro del 1413 tra Giovanni XXIII di obbedienza pisana e Sigismondo di Lussemburgo, che portò all’emanazione della bolla Ad pacem per la convocazione del concilio di Costanza, dove Arrigoni svolse un ruolo notevole (cfr.
i discorsi per l’inizio del conclave che portò all’elezione di Martino V e per il rogo di Jan Hus).
Il successore fu Gerardo Landriani (1419- 1437), umanista e diplomatico impegnato nel raccordo tra Santa Sede e ducato; fu ritrovato da lui, in città, un antichissimo codice ciceroniano.
Come legato a latere, Landriani continuò ad avere un importante influsso riformatore su Lodi anche durante il governo di Antonio Bernieri (1437- 1456), rettore dell’università parmense; l’impegno di riforma del capitolo, con una forte attenzione alla cultura e alla liturgia, di appoggio alle congregazioni riformate e ad alcune confraternite fu condotto avanti da Carlo Pallavicino (1456-1497), di una potente famiglia legata agli Sforza.
Lodi fu poi affidata a Ottaviano Maria Sforza, che si dedicò alla lotta politica e militare della sua famiglia, nel momento in cui la penisola entrava nella fase delle guerre di predominio.
IV - La riforma tridentina
Un quarantennio di instabilità politica ed ecclesiale, aggiunto allo stato economico già precario, portò la diocesi di Lodi a una condizione pastoralmente disastrosa.Dopo i primi timidi accenni riformisti dei vescovi contemporanei al concilio tridentino (amministratore apostolico fu anche, per un anno, il cardinale Giacomo Simonetta, che fu presidente al concilio) fu vescovo Antonio Scarampo (1569-1576), che si impegnò nell’attuazione della riforma tridentina secondo le linee di Carlo Borromeo: sinodo (il primo della serie), visita pastorale, fondazione del seminario; dal 1569 al 1702 si collocano i primi sei sinodi (su tredici finora enumerati), almeno undici visite pastorali, oltre a una visita apostolica (1584), la diffusione delle confraternite della dottrina cristiana e del Santissimo Sacramento.
Tra i vescovi si possono ricordare Ludovico Taverna (1579- 1616), nunzio a Venezia e giudice nel processo veneziano a Giordano Bruno (1592), Michelangelo Seghizzi (1616-1625), domenicano di origine lodigiana, già commissario generale del Sant’Uffizio e implicato nel primo processo a Galileo, e Pietro Vidoni (1644-1669), cardinale e nunzio in Polonia.
La Chiesa laudense vide un ricupero discreto in termini di stabilità economica, e un decollo della presenza sul territorio del clero secolare, che arrivò a contare 516 sacerdoti nel 1690 (un sacerdote ogni 191 abitanti) e 810 attorno al 1750 (un sacerdote ogni 153 abitanti).
Si diffusero anche le chiese di campagna, nelle frazioni e nelle cascine maggiori.
Nel XVIII . lo slancio tridentino sembrava esaurito.
Notevole invece era l’impegno edilizio, soprattutto nell’episcopato di Carlo Ambrogio Mezzabarba, di origine pavese (1725-1741), già legato pontificio per la questione dei riti cinesi.
Negli ultimi decenni del Settecento Lodi, con tutto il Ducato di Milano, incorporato nell’impero asburgico, divenne banco di prova per le riforme teresiano-giuseppine (riduzione delle parrocchie della città, inserimento dei chierici nel seminario generale di Pavia); la vittima più illustre delle riforme fu la realtà monastica, che però aveva probabilmente già esaurito la sua forza propulsiva interna.
V - Dalla Rivoluzione ai giorni nostri
Lodi vide le vicende di spogliazioni di chiese, clero giacobino e insorgenze popolari, come in altre diocesi italiane.Il vescovo Giovanni Antonio Della Beretta (1785-1816) si allontanò dalla diocesi a seguito di un caso di elezione di un parroco da parte degli elettori civili.
Nell’età della Restaurazione la diocesi incorporò alcune parrocchie che geograficamente erano in territorio lodigiano ma appartenevano ad altre giurisdizioni: quattro comunità oltre Adda ma enclave pavese, e diverse parrocchie di qua dal Po, fino allora piacentine.
Salvo qualche altro ritocco, il territorio diocesano assunse i confini odierni, che comprendono tutta la provincia di Lodi, di recente istituzione (1992), nonché comuni appartenenti alle province di Milano, Pavia e Cremona.
I fermenti risorgimentali tra il clero originarono una frattura tra intransigenti e simpatizzanti di Rosmini, che percorse la seconda metà dell’Ottocento.
Il clero intransigente ebbe il sopravvento, e al suo interno la giovane generazione spiccava per sensibilità sociale; superata la crisi modernista, i «preti sociali» furono lucidamente antifascisti.
Gli anni del trionfo del regime furono anche gli anni dell’episcopato del milanese Pietro Calchi Novati (1927-1952), che celebrò tre sinodi e due congressi eucaristici.
Nella prima metà del Novecento praticamente tutte le parrocchie fondarono un oratorio per i ragazzi e i giovani.
Dopo la seconda guerra mondiale, il Lodigiano vide un impegno capillare ed efficace delle parrocchie e delle associazioni nel campo sociale e politico.
Il postconcilio Vaticano II fu un tempo di acute tensioni, avviate a soluzione dal breve ma intenso episcopato di Giulio Oggioni (1972-1977), poi trasferito a Bergamo.
Nel 1992 ci fu la prima visita di un papa, Giovanni Paolo II.
Bibliografia
L. Samarati, I vescovi di Lodi, Milano 1965;San Bassiano Vescovo di Lodi. Studi nel XVI centenario della ordinazione episcopale 374-1974, Lodi 1974;
A. Zambarbieri, Terra uomini religione nella pianura lombarda. Il Lodigiano nell’età delle riforme asburgiche, Roma-Vicenza [1983];
Diocesi di Lodi, a c. di A. Caprioli-A. Rimoldi- L. Vaccaro, Brescia 1989;
Lodi. La storia, a c. di A. Bassi, 3 voll., Lodi 1989;
A. Caretta, Andreas piissimus praesul, Lodi 1994;
L’oro e la porpora. Le arti a Lodi nel tempo del vescovo Pallavicino (1456-1497), a c. di M. Marubbi, s. l. 1998;
vedere anche le annate dell’«Archivio Storico Lodigiano», iniziato nel 1881 e che è giunto finora all’anno CXXIV (2005).
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.