Diocesi di Aosta
STORIA
I - Dalle origini all’XI sec
La diocesi di Aosta occupa l’angolo nordoccidentale dell’Italia.Non ha subito smembramenti o modifiche di confine, se si eccettua la parentesi napoleonica, quando fu unita alla diocesi di Ivrea.
Corrisponde alla Regione Autonoma, eccetto una porzione del comune di Pont-St.
Martin che è parte della diocesi di Ivrea.
Verso la Francia, con la rettifica del confine dopo la guerra, l’ospizio del Piccolo San Bernardo è in diocesi di Aosta, ma in territorio francese.
La tradizione attiribuisce a sant’Eusebio di Vercelli (†371) la fondazione della diocesi di Aosta, ma il primo documento sulla diocesi è la sottoscrizione del presbitero Grato al sinodo di Milano nell’agosto del 451, in preparazione del concilio di Calcedonia.
Grato firma in nome del suo vescovo Eustasio, che è pertanto il primo vescovo conosciuto.
Gli scavi sotto la cattedrale hanno messo in luce i resti della primitiva chiesa della fine del IV sec., che lascia intravedere tracce di un precedente edificio di culto cristiano sin dai primi anni dell’impero di Costantino, indizio della presenza cristiana.
L’ampliamento e l’adattamento dell’edificio alla fine del IV . sono dettati dalle esigenze dell’accresciuta comunità.
Risale forse a quegli anni l’esistenza di un primo vescovo di Aosta? Lo si può pensare, data l’imponenza della primitiva cattedrale e la presenza del battistero.
Inoltre, nei primi anni del . V, viene costruito in una zona cimiteriale a levante della città un altro edificio cristiano, a pianta cruciforme che ricorda l’architettura ecclesiastica milanese, indizio della dipendenza da Milano.
Succede a Eustasio colui che lo aveva rappresentato a Milano, cioè san Grato.
Egli muore nel mese di settembre di un anno imprecisato, in quanto la pietra tombale recita soltanto «d(e)po(situs) su(b) d(ie) VII id(us) septemb(ris)».
È venerato appunto il 7 settembre, come patrono della diocesi.
Invocato contro i fulmini, le punture di insetti e le malattie del bestiame, è protagonista della «magna legenda Sancti Grati», priva di qualsiasi fondamento storico.
Nel VI . sono citati quattro o forse cinque vescovi; poi gli scarsi documenti diventano ancora più frammentari.
Alla fine del regno ostrogoto a opera dei bizantini (553), la regione entrò nell’orbita del regno dei franchi: nel 575 i longobardi sconfitti dai franchi furono costretti a fissare i loro confini occidentali alle porte della Valle d’Aosta e della valle di Susa.
A partire da quella data, la diocesi entrò nell’area culturale e linguistica che con il tempo diventerà francofona.
La liturgia stessa avrà delle peculiarità proprie con il cosiddetto «rito gallicano », abolito solo nel 1829.
Alla dissoluzione dell’impero carolingio, la diocesi faceva parte del Regno di Borgogna.
Per quanto riguarda l’organizzazione ecclesiastica, continuava a essere collegata con Milano, nonostante l’istituzione dell’arcidiocesi di Tarantasia ai tempi di Carlo Magno.
Infatti i pochi vescovi che emergono dall’oblio della storia sono conosciuti perché parteciparono a sinodi in città dell’Italia settentrionale.
Solo alla fine del X . il nome di un vescovo di Aosta, Anselmo, appare in sinodi d’Oltralpe, e da allora fino al 1802 Aosta è suffraganea dell’arcivescovo di Tarantasia in Savoia.
Il vescovo Ratborno era presente a Pavia nell’876 per l’elezione di Carlo il Calvo a re d’Italia, e l’anno dopo lo si trova a Ravenna; il vescovo Liutfredo partecipò al sinodo di Milano del 969; il vescovo Ploceano ci è noto attraverso la Vita beati Ursi, sant’Orso, sacerdote vissuto ad Aosta tra il VI e l’VIII sec., cui è dedicata la storica chiesa e relativa collegiata a levante della città.
II - Dall’XI al XVI sec.
Agli inizi del secondo millennio la diocesi partecipò al grande rinnovamento dell’Europa.Situata sulla direttrice che collegava l’Europa nord-occidentale con Roma, diventò un luogo di passaggio, non solo geografico ma religioso, culturale e sociale.
La cosiddetta via Francigena, itinerario da Canterbury a Roma, l’attraversava a partire dal passo del Gran San Bernardo (2474 s.l.m.) fino allo sbocco nella pianura del Po, a Ivrea.
Il vescovo Anselmo (994-1026) fu il promotore dello sviluppo edilizio della città, con la ricostruzione della cattedrale di Santa Maria e della chiesa di Sant’Orso; san Bernardo, arcidiacono di Aosta che uno scritto tardivo (XV sec.) dirà nativo di Menthon in Savoia, fu il fondatore dell’ospizio che porta il suo nome sull’omonimo passo: entrambi furono legati da vincoli di parentela con il casato dei Savoia, che iniziò la sua ascesa con Umberto Biancamano.
Sempre nell’XI . mosse i primi passi ad Aosta un altro Anselmo (1033-1109), che divenne arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra.
Rinnovatore della filosofia e della teologia in Occidente, autore dell’argomento ontologico sull’esistenza di Dio, fu proclamato dottore della Chiesa nel 1720 da Clemente XI.
Nel corso del secolo si conoscono i nomi di altri quattro vescovi, tra cui Burcardo dal 1022, mentre era ancora in vita Anselmo, fino al 1032 quando diventò vescovo di Lione; era figlio di Umberto Biancamano, a riprova della commistione tra potere civile e religioso.
Oltre al vescovo, erano presenti e si spartivano il territorio i religiosi del monastero di Verrès, detti canonici di Sant’Egidio, e quelli del Gran San Bernardo, mentre fu solo temporanea la presenza di priorati benedettini.
Anche l’arcidiacono aveva una sua propria giurisdizione.
La riforma gregoriana si impiantò nella diocesi nel 1132, anno in cui i canonici di Sant’Orso si costituirono in comunità secondo la regola di sant’Agostino, mentre il capitolo della cattedrale, dopo una prima approvazione della riforma, entrò in conflitto con il monastero di Sant’Orso, per la separazione dei beni che fino ad allora venivano gestiti in comune.
Il vescovo, secondo l’uso stabilito, era eletto dai canonici della cattedrale e da quelli di Sant’Orso: i primi avevano diritto a due terzi dei voti e gli altri a un terzo.
Così dal XII al XIV . si ebbero vescovi dell’uno e dell’altro gruppo.
Tra questi si distinse Valberto, che nel 1191 firmò la «charte des franchises» che regolava i rapporti tra il conte di Savoia (all’epoca Tommaso I) con il vescovo e i cittadini di Aosta, e viene considerato il primo dei documenti fondanti l’attuale autonomia della Valle.
Poi si ricorda il vescovo Bonifacio, da Valperga in Piemonte (1220-1243), venerato dai suoi successori, anche se il culto verrà confermato solo nel 1880.
Agli inizi del XIV . un altro beato resse la diocesi: Emerico, della famiglia di Quart (†1313).
I vescovi erano per lo più provenienti dalle famiglie nobili della Valle ed erano espressione, pur con difficoltà, della libera scelta della cattedrale e di Sant’Orso.
Ma già nel 1243 Innocenzo IV intervenne per incoraggiare il riluttante Rodolfo Grossi, e soprattutto nel periodo di Avignone il papato cercò di ridurre il particolarismo valdostano nell’elezione del vescovo: Emerico II di Quart (1361-1375), e poi Giacomo Ferrandin (1375-1399), furono scelti dal clero aostano e approvati dal papa, che ricorda però che la nomina è di competenza papale.
Nello scisma d’Occidente del 1378 Aosta si schierò con il papa di Avignone.
Benedetto XIII nominò il successore di Ferrandin, Pietro di Sonnaz, savoiardo come il vescovo successivo, Oggero Moriset.
Poi l’antipapa Felice V, già conte di Savoia, con il nome di Amedeo VIII, nominò Antonio di Prez (1444-1464).
III - Dal XVI sec. al 1861
Il XVI . è segnato dalla Riforma protestante e dalle guerre tra Francesco I di Francia e Carlo V.Dal punto di vista politico la Valle d’Aosta si ritagliò un periodo di effettiva autonomia trattando la neutralità nel conflitto tra i due schieramenti e confermando la sua fedeltà ai Savoia; dal punto di vista religioso rifiutò l’adesione alla Riforma in atto nella vicina Svizzera e a Ginevra con Calvino: il 29 febbraio 1536 è la data di conferma alla dottrina cattolica romana.
La cattedra vescovile nel XVI . fu spesso vacante, i vescovi erano sovente assenti, anche se Gazino (1528-1557) non intervenne al concilio di Trento, adducendo il rischio di penetrazione protestante.
Erano tutti di origine piemontese e di cultura italiana, eccetto il vescovo Ginod (1586- 1592).
Piemontesi erano anche i vescovi del XVII sec.: Ferrero (1595-1607), Martini (1611-1621), Vercellino (1623-1651).
Con Milliet di Faverges (1656-1658) si inaugura la serie dei vescovi savoiardi, di lingua e cultura francese.
Già nel 1561 il duca Emanuele Filiberto, reintegrato a capo dei suoi Stati, aveva stabilito che il francese fosse lingua ufficiale del paese valdostano, sostituendolo al latino, ma fu il vescovo Bailly (1659-1691) a far sì che il francese diventasse la lingua della diocesi, utilizzandolo negli scritti e nella predicazione.
Fissò inoltre le ragioni del particolarismo valdostano: la diocesi di Aosta non appartiene né all’Italia né alla Francia (intese come province ecclesiastiche) ma è una realtà «infra montes».
Nel frattempo la Valle d’Aosta attraversava una grande crisi socio-economica che durò con alti e bassi fino al XX sec.: da luogo di passaggio della cultura europea, diventò una regione marginale; la peste del 1630 ridusse la popolazione di due terzi; tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 fu percorsa dagli eserciti.
Il Settecento vide anche nella diocesi l’introduzione delle riforme: furono fissati i confini delle parrocchie e fondate innumerevoli scuole che abbassarono l’analfabetismo a livelli minimi.
Figura fondamentale è Pierre-François de Sales, della famiglia di san Francesco di Sales: vescovo dal 1743 al 1786, fu anche fondatore del seminario, in quella che a lungo era stata la residenza del prevosto dei canonici del Gran San Bernardo, divenuti ormai una congregazione d’Oltralpe in seguito alla separazione decretata dal papa Benedetto XIV nel 1752.
La Rivoluzione francese prima e Napoleone poi sconvolsero la diocesi, rifugio degli ecclesiastici in fuga dalla rivoluzione e teatro del passaggio di Napoleone nel 1800.
Soppressa e unita a Ivrea nel 1802, fu ricostituita nel 1817 e assegnata alla provincia ecclesiastica di Chambéry.
Quando la Savoia divenne francese (1860), Aosta divenne suffraganea di Torino (1864).
IV - Dal 1861 ai giorni nostri
A partire dal 1861 la popolazione della Valle d’Aosta fu una minoranza francofona nel Regno d’Italia, almeno ufficialmente di lingua italiana.Lo Stato unitario, scaturito dal Risorgimento, con tutti i mezzi impose a poco a poco la lingua italiana, imposizione che raggiunse il suo culmine con il fascismo.
Nacque così, anche con l’immigrazione di popolazioni italiane al seguito dell’industrializzazione, la questione valdostana, e la Chiesa si trovò via via prima a contrastare e poi ad adattarsi alla nuova situazione.
André Jourdain fu l’ultimo vescovo savoiardo (1831-1861), poi vennnero due vescovi valdostani, Jans e Duc.
Vescovo dal 1872 al 1907, Duc, considerato padre della storiografia valdostana, fu il capofila di innumerevoli ecclesiastici dediti agli studi storici.
I vescovi successivi, Tasso e Calabrese, erano italiani, ma perfetti conoscitori del francese, mentre con il vescovo Imberti (1932-1945) la cultura della diocesi volse decisamente in favore della lingua italiana.
Dopo la fine della guerra mondiale, e l’ottenimento dello statuto speciale per la Regione Autonoma Valle d’Aosta, nonostante l’episcopato del vescovo Blanchet (1946-1968), un valdostano, la diocesi poteva essere ormai considerata integrata alla cultura italiana.
Il post-concilio introdusse l’adeguamento della realtà ecclesiastica alle nuove condizioni sociali ed economiche, con una popolazione etnicamente composita.
Le parrocchie sono 93, di esse oltre due terzi sono inferiori ai 1000 abitanti; la popolazione è concentrata per la metà nel capoluogo e negli immediati dintorni.
Il sinodo celebrato da Ovidio Lari (1968-1994), è stato caratterizzato dalla partecipazione attiva dei fedeli e da un notevole coinvolgimento dell’opinione pubblica.
Anche la visita pastorale di Giovanni Paolo II (1986) e i suoi ripetuti soggiorni estivi hanno contribuito ad allargare la visione della Chiesa oltre l’ambito diocesano.
Bibliografia
Savio I 69-108;J. A. Duc, Histoire de l’Église d’Aoste, Aosta-Châtel-Saint-Denis-Saint-Maurice 1901- 1914;
P. Thiebat, Une région alpine «intramontaine». La Vallée d’Aoste, Chambéry 1996;
A. P. Frutaz-L. Colliard, Le fonti per la storia della Valle d’Aosta, Aosta 1998;
R. Perinetti-P. Papone, Le Diocèse, in Les Institutions du Millenaire, Aosta-Quart 2001;
A. Celi, La Vallée d’Aoste-Biographie d’une région, Aosta 2004.
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.