La diocesi nacque nel 1175, quando Alessandro III, su istanza dell’arcivescovo di Milano, Galdino della Sala, dei consoli di Milano e dei rettori delle città di Lombardia, assegnò alla città di recente fondazione (circa 1168) lo ius episcopale, eleggendo vescovo Arduino, suddiacono della chiesa di Roma. La creazione della diocesi, avvenuta sottraendo porzioni di territorio alle più antiche circoscrizioni ecclesiastiche di Tortona, Acqui, Asti e Pavia, si colloca nel pieno del conflitto tra i comuni della lega lombarda e l’imperatore Federico I e negli anni delle lotte tra il papa Rolando Bandinelli e gli antipapi suscitati e appoggiati dalla fazione imperiale. Coeva alla fondazione urbana e all’erezione della diocesi è anche l’edificazione di una cattedrale con il titolo di San Pietro, ove dal 1178 si insediò un collegio capitolare costituito da tre canonici e sette dignità. La chiesa di San Pietro era una chiesa matrice, quindi plebana e battesimale, cui spettava il tributo parrocchiale su tutte le chiese della diocesi, compresa l’antica canonica di Santa Maria detta di Castello, centro religioso fin dal IX . del villaggio di Rovereto, antica «curtis regia » e una delle otto località che concorsero alla fondazione del nuovo centro urbano. La giovane diocesi crebbe in parallelo con l’espandersi dell’autonomia comunale del capoluogo, ma dopo il governo del vescovo Ottone, forse eletto dallo stesso clero alessandrino, nel 1206 il pontefice Innocenzo III, al culmine di una stagione di contrasti tra i vescovi alessandrini e acquesi, decretò l’unione delle due diocesi, nominando vescovo il novarese Ugo Tornielli e stabilendo Acqui come sede vescovile. Si aprì così un periodo di circa due secoli (fino al 1405) in cui la città restò di fatto privata della dignità vescovile, con il capitolo della cattedrale che esercitava importanti funzioni di supplenza nel governo del clero. L’archivio capitolare, conservatosi fino ai nostri giorni, reca testimonianza dell’importanza assunta da tale istituzione in età medievale. In questo periodo la città e la diocesi erano caratterizzate inoltre dalla presenza del movimento pauperistico degli umiliati (che arrivò ad avere cinque domus nell’area urbana e al quale il comune affidò compiti di natura pubblica, quali l’ufficio di clavarii, tesorieri della comunità). Gli umiliati introdussero il culto di san Baudolino, l’eremita ricordato nell’Historia Longobardorum di Paolo Diacono e vissuto nell’VIII sec.: a questo santo si attribuisce la prima evangelizzazione della zona e per questo venne scelto quale protettore della diocesi. In questi stessi anni inizia a registrarsi l’arrivo dei vari ordini religiosi: i Servi di Maria (a Borgoglio dal 1233), gli agostiniani (1264), i carmelitani (1290), i domenicani (1309) e i francescani.
II - Dal dominio visconteo al Settecento
Esauritasi l’esperienza del libero comune, la città passò sotto il dominio dei Visconti (fino al 1411) e degli Sforza, consolidando il proprio inserimento nello Stato di Milano, e anche la diocesi rafforzò il proprio legame con la sede metropolitana, da cui provengono vescovi importanti come Marco de’ Capitanei (1457- 1478). Si data a fine Quattrocento anche la nascita del culto popolare per l’effigie di Maria ai piedi della croce, detta la «Madonna della Salve» (una tradizione vuole che davanti a essa i canonici cantassero la «Salve Regina»), una devozione destinata a durare fino ai nostri giorni. Il Cinquecento vide l’inizio della dominazione spagnola (di fatto dal 1535), a cui corrispondeva sul piano religioso la stagione del concilio di Trento e dell’applicazione dei decreti conciliari. Fortemente influenzata dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, la diocesi espresse in questi anni la figura carismatica di fra Michele Ghislieri, domenicano e inquisitore, divenuto papa nel 1568 con il nome di Pio V e destinato a legare la propria fama alla battaglia di Lepanto (1571). Sotto la guida di vescovi come Gerolamo Gallarati (1565-1568), Guarnerio Trotti (1572-1584) e Ottavio Parravicini (1584-1596), Alessandria divenne uno dei punti avanzati per sperimentare gli indirizzi tridentini: nel 1566 venne fondato il seminario, si indissero i primi sinodi provinciali, si lavorò alla residenza dei vescovi e alla formazione del clero, mentre nuovi ordini, come i gesuiti, i somaschi e i barnabiti vi aprirono conventi e scuole. Si incominciò a compiere con regolarità la visita pastorale e si diffusero, attraverso una fitta rete di confraternite e compagnie laicali, nuove forme di devozione che sul modello lombardo privilegiavano i valori della solidarietà e dell’impegno sociale. La presenza spagnola, che continuò fino al 1706, è testimoniata da varie forme devozionali, come la processione del Venerdì Santo (Entierro) e il culto della Madonna del Monserrato.
III - Dal passaggio ai Savoia ai nostri
giorni
Il Settecento segnò l’ingresso di Alessandria nei domini sabaudi e comportò la necessità di confrontarsi con le politiche giurisdizionalistiche di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III. In una stagione di crescita economica e sociale, un ruolo di rilievo fu svolto dai vescovi di nomina regia, quali i due fratelli Francesco e Mercurio Arborio Gattinara, Carlo Vincenzo Ferrero, Alfonso Miroglio, ma soprattutto Giuseppe Tomaso De’ Rossi (1757-1786), che conferì un eccezionale impulso alla vita della diocesi e diede vita a un vasto piano di edificazione di chiese e conventi. Ottenendo dal sovrano la biblioteca del soppresso collegio dei gesuiti (1773), De Rossi fondò anche una biblioteca per il seminario, concepita come un istituto culturale aperto anche agli studiosi laici. Durante il suo episcopato il vicario Giuseppe Antonio Chenna diede alla luce la storia dei primi sei secoli di vita della diocesi. L’occupazione francese segnò un’età di grave crisi: la soppressione degli ordini religiosi (1802) e l’abbattimento della cattedrale voluto da Napoleone per motivi militari (1803) furono gli eventi più traumatici che preludono alle dimissioni del vescovo Vincenzo Mossi e al trasferimento della sede vescovile a Casale Monferrato (1805). Soltanto con Alessandro D’Angennes la diocesi fu ricostituita ed eretta come suffraganea di quella di Vercelli. D’Angennes (1817-1832) e Dionigi Andrea Pasio (1833- 1854) governarono la chiesa locale con mano sicura attraverso gli anni della Restaurazione, riordinando la rete di parrocchie e monasteri e operando riforme sul piano pastorale e liturgico. La stagione dell’unità nazionale registrò invece un lungo periodo di sede vacante, dal 1854 al 1867. L’episcopato di Pietro Giocondo Salvaj (1873-1897) vide la chiesa alessandrina confrontarsi con un clima di diffuso anticlericalismo, ma registrò anche nuove forme di impegno sul piano politico (l’Opera dei congressi) e sociale (come le figure della beata Teresa Grillo Michel e di Carolina Beltrami). Giuseppe Capecci (1897-1918), Giosuè Signori (1919-1921) e Nicolao Milone (1922-1945) sono i pastori della prima metà del Novecento, impegnati nel difficile confronto fra tradizione religiosa e modernità, e stimolati da figure laicali come quella di Carlo Torriani, seguace di Sturzo e segretario del Partito popolare cittadino, attiva presenza nella cultura del tempo anche attraverso il settimanale diocesano «La Libertà». Con le personalità episcopali di Giuseppe Gagnor (1946-1964), Giuseppe Almici (1965-1980), Ferdinando Maggioni (1980-1989), Fernando Charrier (1989-2007) e Giuseppe Versaldi si completa il quadro della storia diocesana fino ai giorni nostri.
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