Diocesi di Taranto
STORIA
I - Le origini
Un’antica e radicata tradizione vuole la Chiesa di Taranto fondata dallo stesso apostolo Pietro durante il suo viaggio da Antiochia verso Roma in compagnia di san Marco, nel secondo anno dell’impero di Claudio.Il principe degli apostoli sarebbe sbarcato sulle coste della città ionica predicando per tre giorni il vangelo ai tarantini e fondando una comunità cristiana con il primo vescovo Amasiano.
L’origine apostolica venne sempre sostenuta nel corso dei secoli da tutti gli studiosi locali che si interessarono delle vicende religiose di Taranto; essi si rifacevano soprattutto a due fonti medievali: la Historia Sancti Petri qualiter cum Sancto Marco Tarentum venerunt e la Historia inventionis et translationii Corpores B.
Cataldi.
La prima può farsi risalire a un periodo compreso tra la fine del IX e l’inizio del X sec., data alle stampe nel 1555 da Giovanni Battista de Algeritiis; la seconda, che si riferisce alla scoperta del corpo del santo patrono durante i lavori di rifacimento della cattedrale sotto il vescovo Drogone nel 1071, fu composta da un diacono tarantino, Berlingerio, nella seconda metà del XII . La tradizione «petrina» è stata collocata dagli studiosi della seconda metà del Novecento nell’alveo delle patrie leggende, interpretando le due fonti medievali in chiave antibizantina e filo-occidentale.
È comunque certo che una comunità cristiana ben organizzata esisteva a Taranto nel V sec., al tempo di papa Gelasio il quale, tra la fine del 494 e l’agosto del 495, scrisse una lettera ai cristiani di Taranto annunciando l’invio di un nuovo vescovo di nome Pietro e dando disposizioni sull’amministrazione del battesimo.
Si tratta di una fonte frammentaria ma importante perché sta ad indicare che prima del «nuovo » vescovo Pietro ne esisteva un altro, e tutto fa supporre che la comunità cristiana tarantina risalga a tempi più remoti.
II - Alto e basso Medioevo
La cronotassi dei vescovi nell’alto Medioevo, per mancanza di fonti seriali, è discontinua, così come molto difficile risulta individuare per quei secoli la struttura e l’organizzazione interna della Chiesa locale.Si conosce un vescovo di nome Andrea al quale papa Gregorio Magno mandò una lettera nel giugno del 593 a causa della sua condotta morale poco confacente alla dignità di un vescovo.
Lo stesso papa, nel 603, scrisse una lettera al vescovo Onorio, autorizzandolo a usare il nuovo battistero costruito nella cattedrale ed esprimendo perciò il suo compiacimento.
Al concilio Lateranense I, celebrato da papa Martino nel 649 per condannare l’eresia del monotelismo, partecipò anche il vescovo di Taranto Giovanni.
Nel 680, con la città già sottoposta al dominio longobardo, troviamo un altro vescovo di Taranto, Germano, tra i partecipanti al IV sinodo romano tenuto nel 680 da papa Agatone.
Nella stessa occasione sottoscrisse una lettera da inviare al VI concilio ecumenico di Costantinopoli che avrebbe proceduto alla condanna definitiva del monotelismo.
Probabilmente tra la fine del VII . e la prima metà del successivo si colloca l’episcopato di san Cataldo, patrono della città e della diocesi.
La figura del patrono ha trovato proprio in recenti studi la sua collocazione temporale più certa tra il VII e l’VIII sec., mentre precedentemente era stata inserita tra il II e il III . e addirittura indicato in un testo del XVI come protovescovo consacrato da san Pietro.
È stata messa in dubbio anche la sua origine irlandese a favore di una origine longobarda locale.
La Chiesa di Taranto venne naturalmente coinvolta nelle tormentate vicende politiche per il predominio dell’Italia meridionale.
La città passò così dalle mani dei bizantini a quelle dei longobardi, per poi cadere in quelle degli arabi che la tennero dall’840 all’880.
Ripresa dai bizantini, passò successivamente sotto il dominio dei normanni.
Verso la fine del IX . si ebbe un tentativo, da parte dei bizantini, di imporre alla città un vescovo greco, ma la pronta reazione di papa Stefano V non permise che la sede vescovile di Taranto cominciasse a dipendere dal patriarcato di Costantinopoli.
Taranto venne quasi del tutto distrutta da un secondo attacco dei saraceni nel 927-928 e ricostruita a opera dell’imperatore Niceforo Foca intorno al 967.
Si tratta di una nuova fase di bizantinizzazione delle strutture ecclesiastiche nel Mezzogiorno d’Italia.
In un documento del 978 del principe di Capua Pandolfo Capo di Ferro, il vescovo di Taranto appare per la prima volta con il titolo di arcivescovo, concesso dal patriarca di Costantinopoli probabilmente qualche anno prima.
Questo titolo non istituì nessun legame giuridico col patriarcato, né trasformò la diocesi in una metropolia; dobbiamo pensare a un semplice titolo d’onore.
Soltanto alla fine dell’XI sec., con la creazione delle diocesi suffraganee di Castellaneta e Mottola, gli arcivescovi di Taranto, con il riconoscimento di Roma, divennero metropoliti, ma non se ne conosce la data esatta.
Dopo la crisi dei rapporti tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente nel 1054, la Chiesa di Taranto rimase fedele al papato.
Era vescovo in quel periodo un normanno, Drogone, che nel 1071, durante i lavori di rifacimento della cattedrale, rinvenne, come più sopra accennato, il corpo del vescovo san Cataldo protettore della città e della diocesi.
La definitiva latinizzazione portata dai normanni decretò il distacco culturale della Chiesa di Taranto dal mondo bizantino.
L’ultima traccia di grecismo è caduta però nei primi decenni del XX sec.; fino ad allora nelle feste più solenni, l’Epistola e il Vangelo venivano cantati in cattedrale prima in latino e poi in greco.
Anche la Chiesa di Taranto partecipò al moto di riforma inaugurato da Leone IX alla metà dell’XI . e portato avanti soprattutto da Gregorio VII.
Nel basso Medioevo fu coinvolta nelle lotte di conquista del Regno di Napoli da parte dei vari pretendenti – normanni, svevi, angioini – e divenne nel XIV . la capitale di un vasto principato.
La città aveva in questo periodo importanti monasteri: da ricordare quello benedettino di San Pietro Imperiale, quello basiliano di San Vito del Pizzo e quello cisterciense di Santa Maria del Galeso.
Vi erano anche due monasteri femminili, mentre la diocesi non ha mai avuto un importante santuario catalizzatore di pellegrinaggi.
Nel XV . si insediarono i francescani (minori osservanti), i domenicani e gli agostiniani.
Nel secolo successivo avremo anche i minimi, i fatebenefratelli e i carmelitani calzati.
III - Età moderna
Con il concilio di Trento arrivò anche a Taranto il vento della Controriforma.Nel 1568 l’arcivescovo Marcantonio Colonna (1563-1568), che aveva partecipato alla fase finale dell’assise tridentina, fondò il seminario diocesano, uno dei primi eretti nel Mezzogiorno, e celebrò un concilio provinciale per dare subito pratica attuazione ai decreti conciliari di Trento.
Ma fu soprattutto l’arcivescovo Lelio Brancaccio (1574-1599) a portare avanti nel suo lungo episcopato le riforme volute dal concilio.
La sua non fu una impresa facile perché si scontrò con le radicate tradizioni, consuetudini e privilegi del clero locale e del popolo.
Si trattava di cambiare in modo vistoso costanti atteggiamenti secolari, man mano sovrappostisi nelle diverse realtà locali sia religiose che sociali e che mal si conciliavano con le scelte pastorali e disciplinari votate a Trento.
Questa prima stagione tridentina vide comunque impegnata la diocesi di Taranto in uno sforzo di riforma e di coinvolgimento nel grande disegno di rinnovamento della Chiesa.
Vari sinodi diocesani celebrati nel Seicento favorirono l’opera di riforma della vita spirituale e dei costumi del clero e del popolo.
A ciò contribuì anche la presenza dei gesuiti che fondarono a Taranto un collegio nel 1622.
Grandi figure di vescovi riformatori, oltre il Colonna e il Brancaccio, furono Ottavio Mirto Frangipane (1605-1612), il cardinale Bonifacio Caetani (1613-1618), il teatino Tommaso Caracciolo (1637-1663), morto in concetto di santità, Francesco Pignatelli (1683-1703), poi cardinale arcivescovo di Napoli.
Nel collegio gesuitico di Taranto ebbe la sua prima formazione culturale, oltre che religiosa, san Francesco De Geronimo, che sarebbe diventato negli ultimi decenni del XVII . il più famoso predicatore del Regno di Napoli.
Nel secolo successivo la Chiesa di Taranto annoverò un altro santo tra i suoi figli, sant’Egidio Maria da Taranto, alcantarino, che nel convento napoletano di San Pasquale a Chiaia consumò gran parte della sua vita nella più stretta umiltà al servizio dei confratelli e dei poveri.
Il secolo dell’Illuminismo e del giurisdizionalismo vedrà alla guida della diocesi illustri prelati che lasceranno incisive tracce nella sua storia religiosa e sociale.
Ricordiamo Giovanni Battista Stella (1713-1725), Fabrizio di Capua (1727-1730), Celestino Galiani (1731-1732) che divenne poi cappellano maggiore del regno, Giovanni Rossi (1738- 1750) amico di Alfonso de Liguori, Antonino Sersale (1750-1754), successivamente cardinale arcivescovo di Napoli.
Ma il più famoso resta Giuseppe Capecelatro che resse la diocesi dal 1778 al 1816, passando attraverso le strettoie della repubblica partenopea, del dominio francese e della restaurazione.
Questo eminente arcivescovo, che per le sue doti culturali vantava conoscenze in tutte le corti europee, compresa quella di San Pietroburgo, oltre che un fine intellettuale e politico, fu anche un attento pastore della diocesi, come attestano le sue visite pastorali e i numerosissimi editti emanati in circa quaranta anni di episcopato: disciplina e cultura del clero, un’aggiornata ratio studiorum per il seminario, la catechesi al popolo in lingua italiana, l’assistenza ai moribondi, l’attenzione al complesso mondo confraternale, la lotta alla superstizione per vivere una fede più autentica sono alcuni degli elementi portanti e costanti di tutta la sua feconda e incisiva azione pastorale.
IV - Età contemporanea
Nel XIX sec., le vicende legate al risorgimento coinvolsero anche diversi rappresentanti del clero, ma non l’arcivescovo Giuseppe Rotondo (1855-1885), che preferì il temporaneo esilio a Napoli e poi a Roma all’immediata accettazione del nuovo stato di cose venutosi a creare con l’unità d’Italia.Alla fine del secolo la diocesi venne governata da un’altra grande figura di pastore: Pietro Alfonso Jorio (1885-1908), che gettò le basi del moderno movimento cattolico locale con la costituzione di numerosi circoli, cercando di svecchiare le istituzioni esistenti e dare nuovo slancio al clero e ai cattolici per rispondere efficacemente, con i mezzi più adatti alle sfide della «modernità ».
Per due anni consecutivi Taranto fu al centro del movimento cattolico locale e nazionale: nel 1900 fu celebrato il I congresso cattolico regionale pugliese e l’anno seguente il XVIII congresso nazionale, ambedue tenutisi nella monumentale chiesa di San Domenico.
La costruzione del regio arsenale alla fine dell’Ottocento aveva fatto registrare a Taranto, oltre a un miglioramento delle condizioni economiche generali, anche uno strisciante processo di scristianizzazione soprattutto tra il ceto borghese.
Massoneria e socialismo furono i due nemici che monsignor Jorio combatté nelle sue dotte lettere pastorali che fecero testo ben oltre i confini della diocesi.
Il suo successore, il domenicano Carlo Giuseppe Cecchini (1908-1916), soffrì molto per lo scoppio della prima guerra mondiale e non riuscì a sopravvivere a essa morendo il 17 dicembre 1916.
Il suo breve episcopato coincise con il secondo periodo di industrializzazione della città, che vide la creazione dei cantieri navali «Franco Tosi» di Legnano.
Si formarono quindi, oltre a quelle dell’arsenale militare, altre maestranze specializzate e di conseguenza aumentò l’influenza del ceto operaio.
Il successore, Orazio Mazzella (1917- 1934), si trovò davanti il difficile compito di guidare la diocesi nel delicato momento del primo dopoguerra.
Sulla cattedra di san Cataldo arrivava un dottissimo presule, nipote dell’arcivescovo di Bari Ernesto Mazzella e del cardinale Camillo Mazzella, prefetto della Sacra Congregazione dei riti.
Alcune sue opere teologiche conobbero fama e diffusione internazionale.
Negli anni del fascismo tra le sue preoccupazioni principali vi fu quella di salvaguardare l’Azione cattolica soprattutto giovanile che, grazie al suo particolare interessamento, aveva avuto in quegli anni un fiorente sviluppo.
Si trovò così a gestire il difficile momento del maggio 1931, che vide lo scioglimento temporaneo dei circoli della Giac.
Egli protestò attraverso il bollettino ufficiale della diocesi e fece annullare, per solidarietà con i giovani cattolici, una grande manifestazione di chiusura del mese mariano prevista per il 31 maggio, oltre naturalmente alla processione del Corpus Domini proibita dalla stessa Santa Sede.
Monsignor Mazzella e il suo successore, Ferdinando Bernardi (1935-1961), difesero sempre strenuamente le organizzazioni di Azione cattolica.
Non meno fermo fu infatti l’atteggiamento di monsignor Bernardi nel 1938, durante la così detta guerra dei distintivi.
Egli si trovò a reggere la diocesi anche nel delicato momento della guerra e della ricostruzione materiale e morale seguita all’immane conflitto mondiale.
Nel 1945, quando dai Balcani, dalla Grecia e dall’Algeria cominciarono a sbarcare a Taranto i reduci e i prigionieri italiani, egli costituì una commissione diocesana per la loro assistenza, così come fece funzionare ininterrottamente dal 1942 al 1945 un efficiente ufficio informazioni per i soldati, prigionieri e dispersi.
Nel 1946 le spoglie mortali di san Francesco de Geronimo da Napoli fecero definitivamente ritorno a Taranto, girando per tutti i paesi della diocesi, accolte ovunque da una moltitudine di fedeli.
Altri importanti avvenimenti religiosi dell’immediato dopoguerra furono una grande missione della Pro Civitate nel 1945 come ringraziamento per la fine della guerra, la Peregrinatio Mariae nel 1948 e il II congresso eucaristico nel 1955.
Il 7 ottobre 1952 il vicario generale della diocesi, Guglielmo Motolese, veniva consacrato vescovo e nominato ausiliare di monsignor Bernardi, che una irreversibile malattia stava lentamente rendendo inabile.
Nel 1957 monsignor Motolese subentrò nel governo della diocesi come amministratore apostolico sede plena e poco dopo la morte di monsignor Bernardi (novembre 1961) venne eletto arcivescovo di Taranto.
Monsignor Motolese ha vissuto intensamente la stagione del Vaticano II, partecipando a tutte le sessioni e gestendo nella diocesi, con equilibrio e determinazione, le riforme volute dal concilio.
Durante il suo episcopato è stato costruito a Taranto il IV Centro siderurgico, uno dei più grandi d’Europa.
La Chiesa locale, sollecitata dal suo vescovo, si è fatta attenta e sensibile ai nuovi complessi problemi del mondo del lavoro, organizzando nel 1964 un importante convegno sul tema «Evangelizzazione e pastorale».
E al mondo tarantino del lavoro rivolgerà la sua attenzione papa Paolo VI, che celebrerà la messa della notte di Natale del 1968 tra gli operai del Centro siderurgico.
L’attuazione dei decreti conciliari è avvenuta nella diocesi senza fratture, senza accelerazioni, senza atteggiamenti scomposti, grazie alla capacità di governo e di ascolto di monsignor Motolese.
Sono stati anni in cui si sono costruite molte nuove parrocchie perché la città capodiocesi stava conoscendo un grande sviluppo urbanistico che si riverberava anche nei paesi limitrofi e in tutta la provincia civile.
Nel 1966 venne anche costruito un nuovo seminario e nel 1970 inaugurata una concattedrale sul più importante asse di sviluppo della città, infine una struttura sanitaria di accoglienza per i malati più poveri, la Cittadella della Carità.
Monsignor Motolese ha lasciato la guida della diocesi nel 1987.
Il suo successore è stato l’arcivescovo di Foggia, Salvatore De Giorgi (1987-1990).
Durante il suo breve episcopato a Taranto si devono registrare la celebrazione della Settimana liturgica nazionale nell’agosto 1989, la riapertura del processo di canonizzazione del beato Egidio, la visita di Giovanni Paolo II nell’ottobre 1989.
Chiamato ad altri incarichi, gli è subentrato l’attuale arcivescovo monsignor Benigno Luigi Papa (1990) che ha guidato la Chiesa locale verso il Giubileo del 2000 attraverso progetti pastorali, missioni al popolo e la celebrazione del quarto congresso eucaristico diocesano.
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Diocesi di Taranto
Chiesa di San Cataldo
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La facciata della cattedrale di San Cataldo a Taranto -
Veduta dell’aula dall’ingresso -
Il pavimento a mosaico del 1160 -
La cappella di San Cataldo -
La cappella del Santissimo Sacramento
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.