Diocesi di Chioggia
STORIA
Con la traslazione della sede episcopale da Malamocco a Chioggia fu implicitamente riconosciuta la posizione di rilievo conseguita da quest’ultima nell’ambito della provincia veneziana.La fiorente produzione di sale, le rendite fondiarie di cui beneficiavano comunità monastiche e potenti famiglie veneziane contribuivano a rendere la realtà clugiense una componente di discreto rilievo nel panorama socio-economico del dogado.
Il generale declino dell’attività salinara accusato sin dai primi anni del Trecento non risparmiò lo stato economico del clero, come fu attestato dal tentativo di autoriduzione da parte del capitolo canonicale fieramente osteggiato dalle autorità comunali.
Parimenti l’asse patrimoniale della mensa vescovile si ridusse a esigui appezzamenti, che, oltre a essere insidiati da estenuanti controversie confinarie, non garantirono alla sede episcopale la necessaria indipendenza economica.
Anche le relazioni con le istituzioni civili delle diverse podesterie diocesane furono a volte incrinate dalle rivendicazioni delle istituzioni laiche sulle contese competenze giurisdizionali.
Dopo le lacerazioni inferte al corpo sociale dalla pestilenza del 1348, sul territorio diocesano si abbatté la quarta guerra veneto-genovese, che nel periodo 1379-1380 trovò il suo epicentro proprio in Chioggia.
Gli scontri provocarono la totale distruzione delle località di Malamocco, Poveglia, Pellestrina, Chioggia Minore nonché dei conventi periferici di San Giorgio di Fossone, Santa Caterina del Deserto e Oltre Canale, San Biagio, San Francesco fuori Mura, Santissima Trinità e San Michele di Brondolo.
Quest’ultimo, originariamente benedettino e dal 1229 cisterciense, era stato beneficiato con elargizioni di beni immobili da parte di alcune famiglie estranee alla società clodiense, che si mostrò invece più incline agli ordini mendicanti, ubicati alle estremità dell’abitato.
Il lento recupero postbellico fu ostacolato sia dalla crisi di mercato che afflisse gli impianti saliniferi fino all’estinzione consumatasi agli albori del Cinquecento sia dalle frequenti epidemie.
Il clero regolare scomparve dal distretto (annessione della superstite comunità di Brondolo alla congregazione veneziana del Santo Spirito, trasformazione dell’abbazia di San Giorgio di Fossone in rettoria), mentre in ambito urbano, oltre a una più razionale distribuzione della cura d’anime, furono erette due piccole chiese, una intitolata dai profughi della distrutta Chioggia Minore ai santi Martino, Matteo e Antonio, l’altra ai santi Pietro e Paolo.
L’apparizione miracolosa della Madonna nel 1508 sul lido clugiense segnò in profondità la vita della Chiesa diocesana, che però dopo qualche anno fu investita dall’interdetto fulminato alla città da papa Leone X come misura di ritorsione per l’indebita sottrazione del carico di un naviglio pontificio perpetrata da alcuni marinai chioggiotti; fino alla revoca del provvedimento decretata nel 1517 non si spense il fervore religioso, sostenuto anche dall’unanime cooperazione del clero.
Nel solco della temperie riformista s’inserì il rinnovamento del panorama confraternale e monastico: benedettine in Santa Croce, cisterciensi in San Francesco Vecchio, agostiniane di Santa Maria dell’Orazione in Malamocco, celestini in Santa Maria del Pilastro, tre confraternite in città.
L’età del riformismo tridentino fu inaugurata dal vescovo Iacopo Nacchianti, il quale, proteso alla restaurazione dei costumi del clero, si prodigò per la decantazione della pietà popolare, per taluni aspetti deviata da pratiche magico-liturgiche di ascendenza pagana.
A siffatto orientamento pastorale aderirono anche i successori, tra i quali si pose in luce Lorenzo Prezzato, autentico campione della temperie controriformista, ma sensibile alle precarie condizioni cui era costretta la maggioranza dei fedeli.
Dopo il coinvolgimento nella grave crisi giurisdizionale che contrappose la Repubblica veneta alla Santa Sede nel 1606, due tragici eventi funestarono la vita diocesana: l’incendio dell’antica cattedrale nel 1623 e la pestilenza del 1630-1631, che falcidiò un terzo della popolazione chioggiotta, senza risparmiare le comunità periferiche.
I decenni successivi, dominati da tre presuli appartenenti alla famiglia Grassi, furono quindi dedicati alla ricostruzione del tessuto sociale nonché della nuova cattedrale ideata dal genio di Baldassarre Longhena.
Il XVIII . si aprì con l’apparizione mariana a Pellestrina nel frangente più critico della guerra contro l’impero turco: l’avvenimento fu concordemente interpretato dalla gerarchia ecclesiastica e dal mondo politico come espressione della volontà divina di salvare l’antica Repubblica, che in segno di ringraziamento eresse su quell’isola un tempio votivo.
Dal tardo Cinquecento e soprattutto dopo la diversione fluviale di Portoviro, il territorio diocesano fu interessato da una progressiva dilatazione verso oriente dovuta agli apporti alluvionali del delta padano.
Sull’onda del processo di bonifica e colonizzazione di vaste plaghe incolte sostenuto da intraprendenti famiglie del patriziato propense a trasferire i loro capitali dal commercio marittimo alla rendita fondiaria, l’area meridionale della diocesi conobbe una radicale trasformazione sotto il profilo ambientale e socioeconomico.
Minuscole borgate rurali, la cui vita religiosa gravitava attorno a piccoli oratori disseminati sul contado, divennero paesi dotati di una discreta entità demografica, che giustificò la loro promozione a parrocchie autonome: all’esiguo nucleo pievanale d’origine medievale se ne aggiunse una ventina sino al volgere del dominio veneziano e qualche altra unità nel XIX . Tale arricchimento del tessuto parrocchiale e dello spazio geografico non andò immune da controversie con diocesi contermini sull’onda delle vertenze confinarie veneto-pontificie nel basso Polesine.
Al volgere del Settecento la diocesi risultava composta da venticinque parrocchie raccolte in cinque foranie arcipretali: Chioggia (Canal di Valle, Ca Bianca) Malamocco, Pellestrina (San Pietro in Volta, Portosecco), Cavarzere (Rottanova, Pettorazza Papafava, Pettorazza Grimani, Foresto, Fasana), Loreo (Contarina, Mazzorno, Ca Cappello, Ca Venier, Villaregia, Donzella, Rosolina, Donada, Bagliona, Bocca di Tolle).
Parallelamente allo sviluppo demografico andarono dilatandosi in città le quattro comunità religiose femminili, mentre per i regolari, nonostante l’ingresso dei cappuccini nel 1585 e la fondazione della congregazione dell’Oratorio filippino nel 1750, si accentuò la lunga stagnazione degli ordini tradizionali, sui quali nel secondo Settecento si abbatterono le riforme promosse dal governo veneto, cui dal 1754 fu riconosciuto dalla Sede apostolica il diritto di designazione degli ordinari clodiensi.
All’indomani della soppressione delle comunità degli eremitani e dei domenicani, la curia vescovile si prodigò per l’acquisizione del convento di San Domenico da destinare a seminario diocesano sfruttando i fondi del lascito del vescovo Antonio Grassi svincolati dopo una lunga lite con gli eredi.
Nel contempo i presuli impressero nuovo impulso alla catechesi mediante iniziative volte a disciplinare l’insegnamento domenicale della dottrina cristiana per una popolazione intristita nell’ignoranza e avvezza a pratiche diseducative e svaghi immorali.
L’evoluzione socio-economica, infatti, spostando l’asse portante dalle attività a carattere rurale a quelle marinare, influì anche sulla vita religiosa, nella quale andò plasmandosi una posizione antropologica pervasa da cupo senso della precarietà, che favorì la devozione alla Madonna nell’immagine di madre trafitta dal dolore come pure al Cristo morente.
Tra le forme di pietà correlate alle disgrazie in mare fiorì una suggestiva espressione artistica ispirata dai risvolti miracolosi intravisti in situazioni di estremo pericolo.
La pietà popolare subì una svolta radicale a opera dei governi stranieri, che avviarono una generale riforma delle strutture ecclesiastiche e sancirono la scomparsa delle tradizionali forme di associazionismo laicale.
Durante il regime napoleonico furono secolarizzati tutti i monasteri, tra i quali fu risparmiato solo il convento di Santa Caterina, trasformato in convitto e casa di educazione femminile.
Anche dal territorio diocesano scomparvero comunità monastiche e antiche confraternite, la topografia parrocchiale fu razionalizzata e la cura d’anime in Chioggia fu ripartita fra tre rioni, sottraendola al capitolo.
La politica d’integrazione delle strutture ecclesiastiche all’ordinamento civile fu proseguita dal governo asburgico, che si aderse a paladino dei valori religiosi ricercando l’alleanza con la gerarchia ecclesiastica per instillare il consenso tra la popolazione.
Al fine di risollevare le precarie condizioni materiali in cui versava quest’ultima, i vescovi dell’età della Restaurazione, oltre ad arginare gli influssi di un latente secolarismo, promossero opere assistenziali e iniziative imprenditoriali volte soprattutto ad alleviare la dilagante disoccupazione femminile ingenerata dalla crisi irreversibile delle manifatture domestiche dei rinomati merletti.
Dopo l’annessione al Regno d’Italia la frazione del clero più sensibile alle problematiche sociali perseverò nelle iniziative a sostegno delle classi indigenti, che in città come in campagna videro acuirsi le loro condizioni in coincidenza della crisi agraria del tardo Ottocento.
L’impegno sociale del clero si accompagnò a un’accentuazione della pastorale in vista della restaurazione dei costumi e della difesa contro l’opera corrosiva del dilagante laicismo.
In età giolittiana, mentre avanzava il fronte sindacale d’ispirazione cattolica, non venne meno la resistenza della gerarchia locale al modernismo, che, pur facendo eco all’anticlericalismo ottocentesco, non attecchì tra il clero diocesano, solerte nel curare l’educazione delle giovani generazioni e impegnato nel sostenere i fedeli nei cupi anni del primo conflitto mondiale.
Il dopoguerra, apertosi con l’annessione della parrocchia di Malamocco al patriarcato veneziano nel 1919, fu agitato da aspre tensioni sociali, verso le quali il clero mantenne un prudente atteggiamento neutrale, pur favorendo il radicarsi dell’Azione cattolica anche nel periodo più critico dei rapporti con il regime fascista.
Alla fine degli anni Trenta la diocesi comprendeva una trentina di parrocchie, nelle quali operavano 84 sacerdoti, 20 religiosi e 230 suore ospitate in 27 istituti.
Le immani rovine lasciate dalla guerra aggravarono il già depresso quadro socioeconomico, nel quale poterono facilmente attecchire idee anticlericali.
La sofferta ricostruzione postbellica fu drasticamente frenata dall’alluvione del 1951, che devastò i distretti rurali della diocesi fomentando un nutrito flusso migratorio verso le regioni industrializzate.
La ripresa coincise con il primo decennio del vescovato di Giovanni Battista Piasentini, il quale, opponendosi fieramente all’ipotesi di soppressione della diocesi, riuscì nel 1961 ad aumentare il numero delle parrocchie fino a sessanta e successivamente a settantuno, massimo storico che nell’ultimo ventennio del Novecento, a fronte di un costante calo demografico, è stato appena ritoccato, al pari dell’entità del clero secolare, mentre ha subito un sensibile ridimensionamento la consistenza delle comunità religiose.
Sono visualizzati solo edifici per i quali si dispone di una georeferenziazione esatta×
Caricamento mappa in corso...
Caricamento dati georeferenziati in corso...
Mappa
Diocesi di Chioggia
Chiesa di Santa Maria Assunta
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.