Monopoli o «città unica» sorse quando gli abitanti di Egnazia, per sfuggire alle invasioni barbariche del VI sec., dall’entroterra si riversarono sul litorale adriatico stanziandosi nelle grotte naturali con i pescatori e gli agricoltori locali. Si formò così un nuovo nucleo urbano con la fusione delle due civiltà, più evoluta la egnatina, più rozza la seconda, per divenire gradualmente importante emporio commerciale. Al di là della problematica circa la continuità storica tra la sede di Egnazia, il cui vescovo Rufenzio partecipò ai concili di papa Simmaco nel 501 e 502, e quella di Monopoli, la prima data sull’esistenza di quest’ultima risale al 1033, anno in cui risulta soggetta alla sede di Brindisi e perciò l’arcivescovo Giovanni ne confermò l’elezione di Leone a vescovo; ma nel 1091 essa conseguì la sua definitiva e piena autonomia con bolla di Urbano II. Fondamentale nella storia della città è la figura del vescovo Romualdo (1077-1118), peraltro accreditata dal popolo di santità; fu lui a ottenere l’autonomia della sede episcopale, a farsi committente dell’originaria cattedrale romanica, e a divenire il mentore del culto mariano: si sviluppò infatti, avvolto da suggestivi contorni letterari, il culto della Madonna della Madia la cui icona viene fatta approdare sulle coste il 16 dicembre 1117, evento di cui ancor oggi si celebra la festa. Del romanico della cattedrale, consacrata il 1° ottobre 1442 dal vescovo Antonio del Pede (1437-1456), restano solo pochi frammenti scultorei, essendo stata ricostruita in stile barocco tra gli anni Quaranta e Settanta del 1700. E sempre sotto Romualdo si saldò lo stretto rapporto tra potere vescovile e normanno: quando tra il 1085-1088 il conte di Conversano Goffredo fondò il monastero benedettino extraurbano di Santo Stefano e lo dotò di privilegi e concessioni, alla sua richiesta Romualdo non esitò a concedere al monastero la giurisdizione spirituale su Fasano, terra a lui soggetta. Tale giurisdizione, passata nel 1317 all’ordine ospedaliero dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, denominato poi di Malta e continuamente rivendicata dai vescovi, ritornò a Monopoli solo nel 1811. Lo scisma d’Occidente (1378-1417) vede contrapposti in questa stessa sede da una parte Giovanni Pietramala, già canonico suddiacono della città, vescovo di obbedienza avignonese fino al 1399, e dall’altra cinque vescovi di obbedienza romana, tra cui Francesco Carboni nominato cardinale nel 1384, che si avvicendarono fino al 1413, quando prevalse l’obbedienza pisana con Giosué Mormile che, legittimato da Martino V, nel 1430 fu trasferito a Sant’Agata de’ Goti (Benevento). Il reclutamento episcopale durante l’età moderna è caratterizzato dall’applicazione di due privilegi: quello carolino del 1529, in base al quale Carlo V si riservava il diritto di presentazione episcopale nelle città regie, qual era Monopoli, e quello dell’alternativa (1550), non sempre applicato, che prevedeva l’alternanza tra presuli spagnoli, e quelli territoriali ed extraterritoriali. Con la conseguenza che in tal modo i vescovi finivano per diventare funzionari della corona spagnola e che gli avvicendamenti dettati da equilibri politici minavano la stabilità pastorale. Di rilievo in quest’epoca sono le figure del vescovo Fabio Pignatelli (1561- 1568), padre conciliare di Trento e riformatore del clero locale, Giacomo Macedonio (1608-1627), già cappellano del re di Spagna, che tentò il recupero della giurisdizione su Fasano, proseguito senza esito da Francesco Surgente (1640-1651), già arcivescovo di Brindisi, cui si deve la riforma del clero e la pacificazione civile cittadina. Nel XX . emerse il vescovo Nicola Monterisi (1914-1920), amico di Romolo Murri e Luigi Sturzo, che riorganizzò la cura delle anime con l’istituzione di numerose parrocchie. Tra i recenti promotori di un profondo rinnovamento pastorale si distingue Carlo Ferrari (1952- 1967), trasferito alla sede di Mantova, che fu padre conciliare del Vaticano II. Di grande interesse storico, artistico e religioso è la presenza nei dintorni della città di numerose chiese rupestri con i loro suggestivi affreschi agiografici. Si tratta di grotte, alcune ben conservate, altre abbandonate o adibite a depositi agricoli, che i monaci basiliani, trasferitisi in Occidente per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste, trasformarono in luoghi di culto. Il catino absidale generalmente raffigura con gusto bizantino il Cristo Pantocratore tra la Vergine e san Giovanni Battista, accompagnato da iscrizioni e altri particolari pittorici che datano però nel tardo Medioevo.