Diócesis de San Marino - Montefeltro
HISTORIA
I - Dalle origini all’anno Mille
Secondo la leggenda l’evangelizzazione della zona è attribuita ai santi scalpellini Leone e Marino, i quali alla metà del III . dopo Cristo sarebbero approdati a Rimini dalla Dalmazia.Per la loro santità di vita sarebbero stati consacrati l’uno sacerdote e l’altro diacono da Gaudenzio vescovo e da lui inviati nel retroterra, l’uno sul monte Feretro, che poi prese il nome di San Leo, e l’altro sul monte Titano che poi prese il nome di San Marino.
Come molte leggende agiografiche anche questa potrebbe velare un fondo di verità storica, magari posteriore nel tempo.
In effetti il nome di san Leone (o san Leo) emerge da una iscrizione sepolcrale databile alla fine del V sec., e che conferma la sua venerazione in loco da quel tempo.
Il castello di Mons Fereter (noto anche durante le guerre greco-gote), già nel 511 è citato da Eugippio Monaco nella Vita di san Severino.
Negli stessi anni Eugippio ricorda anche un monaco Basilio che aveva soggiornato in un «monastero» del monte Titano, «super Ariminum».
Quindi l’evangelizzazione può essere attribuita attorno a quel periodo.
La diocesi primitiva, con ogni verosimiglianza, fu fondata in epoca barbarica e risulta comunque esistente fra VII e VIII . Essa ha accorpato i territori di due piccoli municipi romani, cioè Sestinum, Pitinum Pisaurense e di un terzo ignoto nella media valle del Marecchia.
È comprensibile quindi come la sede vescovile, o civitas, sia stata incardinata in un castrum centrale, arroccato su un rupe inaccessibile, già luogo sacrale per la venerazione di un confessore della fede, cioè Mons Fereter, detto poi San Leo.
Dal nome della sede diocesana derivò quello della diocesi.
Per tutte queste cause, il territorio montefeltrano era, ed è tuttora, assestato sulle alte valli di ben cinque corsi d’acqua del versante adriatico [Savio (displuvio destro), Uso, Marecchia, Conca, e Foglia (displuvio sinistro)], tagliando a metà le singole vallate.
Il confine orografico naturale in origine arrivava al crinale dell’Appennino.
Salvo individuabili erosioni marginali, il suo nucleo essenziale è rimasto inalterato fino ai tempi moderni.
La storia religiosa altomedievale del Montefeltro è scritta sulla pietra.
Dopo quella sepolcrale, un’altra iscrizione su un ciborio frammentario ricorda «De donis dei et Sancti Leonis sacerdotis et confessoris ».
A lui (allora come oggi) era infatti dedicata la chiesa cattedrale d’epoca carolingia dove questo reperto è venuto recentemente alla luce e sulla quale fu ricostruita quella romanica del XII . che tuttora permane.
A fianco di essa, a poche decine di metri, resta la «Plebs civitatis» dedicata a Santa Maria Assunta, segno che una «ecclesia baptismalis» preesisteva alla nascita della diocesi.
La sua antichità è confermata dal proprio ciborio ancora esistente, fatto fare per devozione dal duca Orso nell’anno 882, come testimonia una iscrizione in esso scolpita.
Mons fereter è citato come civitas in varie testimonianze documentarie del VII e VIII . (680 ca, 752, 756, 764, 774, 816...).
Dall’anno 826 ha inizio la serie documentata dei vescovi feretrani, con Agatone che partecipò al concilio Romano di papa Eugenio II.
In quei secoli si riacutizzò la contrapposizione fra il papato di Roma e il metropolita di Ravenna, per le note questioni della rivendicazione di autonomia da parte dell’arcivescovo ravennate.
La diocesi feretrana, al pari di quella di Rimini, dipendeva direttamente dalla Chiesa di Roma.
La tendenza della Chiesa di Ravenna era invece quella di assoggettare anche questa circoscrizione vicina.
La contingenza favorevole si verificò poco prima dell’anno Mille.
Nel 997 papa Gregorio V trasferì all’arcivescovo di Ravenna la supremazia ecclesiastica sulla diocesi di Montefeltro, con diritto di nomina dei suoi vescovi.
In quest’epoca la vecchia denominazione della sede residenziale del vescovo, cioè Mons fereter, assunse gradatamente il nuovo nome di San Leo: ma il titolo della diocesi rimase sempre quello di Montefeltro o «Feretrana».
II - Dal Medioevo al concilio di Trento
In piena lotta per le investiture, a causa della dipendenza suffraganea si verificò la comprensibile adesione della Chiesa feretrana alla tendenza del metropolita di Ravenna che era legato alla politica ecclesiastica degli imperatori germanici.Così si spiega una lettera di papa Gregorio VII del 1075 diretta al clero e al popolo di Montefeltro, con la quale li invitava a eleggere un nuovo vescovo perché quello precedente «non sat vigilantem vobis pastorem praefuisse cognoscimus».
Per la difesa del proprio primato il papato di Roma promosse anche in questa zona tutta una serie di cellule religiose esenti dall’ordinario diocesano.
Così sorsero tante abbazie benedettine diffuse su tutto il territorio.
In questa situazione di conflittualità, anche religiosa, la diocesi di Città di Castello, prima di fatto e poi anche di diritto, estese la propria giurisdizione episcopale oltre Appennino e incorporò tutta l’area delle sorgenti del Marecchia, ove poi sorse il badiale di Badia Tedalda.
In questo modo si ebbe una prima erosione dei confini naturali della diocesi feretrana.
A seguito del concordato di Worms (1122) anche nel Montefeltro la situazione ecclesiastica ebbe un assestamento definitivo.
Con bolla di papa Onorio II a Pietro vescovo feretrano (1125) venivano codificate le 18 pievi diocesane e tutti i beni mensali, compresi quelli di dominato politico, fra i quali il castello di San Marino, che rimase al vescovo fino a metà del Trecento.
Anche in seguito il vescovo sarà dominus delle quattro più importanti piazzeforti, cioè San Marino, San Leo, Maiolo e Talamello.
Alcune memorie tramandano che per tali giurisdizioni, fino al XIII . i vescovi feretrani furono vescovi-conti.
Certo è, invece, che i presuli del XII . ebbero il grande merito di aver promosso, direttamente o indirettamente, la ricostruzione della nuova cattedrale (1172) e delle varie pievi, come testimoniano quelle residue di Carpegna (1182), di Sestino e di Pennabilli (fine XII sec.), secondo lo stile della seconda ondata dell’arte romanica.
Ma questa fu anche l’epoca del sorgere di tante piccole nobiltà e aristocrazie rurali in lotta permanente fra di loro, come per tutta la Romagna.
È in questo contesto di ostilità che nel 1213 Francesco d’Assisi si fermò nel castello di Montefeltro a predicare la pace e lì dal conte Orlando di Chiusi ebbe in dono il monte della Verna.
Nella stessa epoca fiorirono i primitivi eremi degli agostiniani del Montefeltro, che poi furono assegnati alla provincia conventuale di Bologna.
Nel quadro delle lotte politiche, e di riflesso anche religiose, dell’epoca di Federico II e dei suoi epigoni, (si pensi al ghibellino conte Guido da Montefeltro di dantesca memoria, Inferno XXVII), si realizzò l’antica aspirazione della diocesi di Sarsina di annettere il plebato di Romagnano che si trovava sulla opposta sponda del fiume Savio.
E questa fu la seconda erosione marginale della antica diocesi di Montefeltro.
Quella analoga del contiguo plebato di Monteriolo avvenne in un altro periodo di crisi del XVI . Nello stesso periodo papa Leone X (Medici), non potendo completamente soddisfare i debiti contratti, nel 1525 cedette alla Repubblica fiorentina tutto il plebato di Sestino, il cui arciprete da decenni manifestava segnali di autonomia religiosa nei confronti del vescovo feretrano.
Ma le cause remote di queste spinte centrifughe risalivano al Medioevo.
Nel XIII . sul seggio vescovile e negli uffici della curia episcopale troviamo spesso personaggi della casata dei conti di Montefeltro.
Fra XIV e XV . prevalgono soggetti legati alle fortune dei Malatesta di Rimini che in quell’epoca avevano importanti domini nel territorio feretrano.
Con la vittoria finale sui Malatesta da parte di Federico signore di Urbino (1462-1464) tutta la zona feltresca in pratica passò nell’orbita urbinate e questo fatto ebbe ripercussioni anche sulle nomine episcopali.
Come fatto importante del completo legame con Urbino alla metà del XVI . si ebbe il trasferimento della diocesi dalla provincia metropolitica ravennate a quella urbinate che era inquadrata nella provincia picena.
Sul piano pastorale, fra Medioevo e Rinascimento, questa terra montagnosa ebbe comunque una grande vitalità e dette alla gerarchia vescovi insigni.
Ma dette anche qualche sparso eremitaggio di «fraticelli ».
Un filone sotterraneo di questi aneliti francescani per un ritorno all’autentico dettato evangelico riemerse ai primi del Cinquecento con il feretrano fra Matteo da Bascio, l’ispiratore della fondazione del nuovo ordine dei frati cappuccini.
La metà del Trecento è l’epoca in cui San Marino si svincolò dal predominio del vescovo e iniziò quella graduale conquista di una libertà che con il tempo farà germogliare una istituzione politica sovrana, pur rimanendo, sul piano religioso, sempre inclusa nella diocesi di Montefeltro.
È anche l’epoca in cui il vescovo lasciò di fatto la propria sede cattedratica di San Leo, perché la struttura e la funzione militare di questo forte erano incompatibili con lo svolgimento del ministero pastorale, e quindi si trasferì nel sottostante castello marecchiese di Talamello.
Fu questa la prima traslazione della sede vescovile: in seguito, alla metà del Quattrocento si trasferì nella abbazia di Valle Sant’Anastasio, ai confini di San Marino e poi, dal 1572, a Pennabilli, dove tuttora permane.
Tutte queste migrazioni derivarono dal fatto che nel Montefeltro mancò sempre un centro cittadino predominante: San Leo fu città di nome, ma non di fatto.
III - Dal concilio di Trento al 1815
Dopo il concilio di Trento, il vero riformatore in sede locale fu il vescovo Giovan Francesco Sormani (1566-1601).Egli proveniva dalla già sensibilizzata curia milanese, ove era familiare e vicario di Carlo Borromeo, con il quale rimase in corrispondenza.
Nel Montefeltro trovò una situazione politica e religiosa difficile.
Nel suo ambito vi era l’intreccio di una decina di piccole giurisdizioni civili: ducali d’Urbino, medicee, feudali, nobiliari, oltre alla autonoma Repubblica di San Marino.
Il territorio era montagnoso, frazionato, periferico, isolato esternamente e internamente.
Vi erano sparse oltre 350 istituzioni ecclesiastiche.
Non di rado il clero era ignorante, gaudente, dedito agli affari.
La popolazione era più credula che credente.
Questi furono molti degli aspetti che trovò ancora nel 1574 il visitatore apostolico Girolamo Ragazzoni.
Il vescovo Sormani adottò gli strumenti di riforma suggeriti dal concilio: le periodiche visite pastorali a tappeto, l’istituzione di un seminario per la formazione di nuovi sacerdoti, i sinodi diocesani per l’aggiornamento del clero precostituito, il riordino delle comunità religiose e delle confraternite, le congregazioni di vita cristiana contro costumi e pratiche di superstizione.
Ma alle generali difficoltà intrinseche ed endemiche si aggiunsero quelle particolari, provocate dalla decisione di Pio V di trasferire de jure la sede cattedratica da San Leo a Pennabilli, e da una risoluzione del concilio provinciale urbinate di far sorgere il seminario diocesano nella nuova sede.
Questi eventi dettero origine a conflittualità mai sopite, che periodicamente riemersero con i suoi successori, fra decisioni pontificie difformi nel tempo, interventi prelatizi romani, interferenze politiche anche internazionali, vertenze curiali, diatribe storiografiche.
Molte figure dei successori furono coinvolte, spesso loro malgrado, in questi rapporti ormai inestricabili, con riflessi sulla loro salute, sulla loro solitudine morale e materiale.
Nonostante tali complicazioni i vescovi dei secoli successivi sul piano dello zelo religioso seguirono la strada aperta dal Sormani, sia con le frequenti visite diocesane, di cui ci rimane la documentazione, sia con i sinodi diocesani.
E con il tempo si ebbe quanto meno la rinascita di una fede sentita e praticata sia nel clero che nelle popolazioni locali.
La riprova si ebbe già al tempo del vescovo Duranti.
Nel 1621 si costituì nel Montefeltro la «Congregazione dei Cento parroci», una innovativa fondazione che perdura tuttora, ispirata a impegni di mutua carità fra i sacerdoti viventi e di preghiera a suffragio delle anime di quelli defunti.
Nel 1797 la bufera della Repubblica cisalpina travolse anche la impoverita contrada del Montefeltro e in varie piazze venne innalzato l’albero della libertà.
Contemporaneamente furono soppressi gli ordini regolari, i conventi furono spogliati delle opere d’arte e i beni incamerati.
A nulla valsero le opposizioni in sede generale come in sede locale.
In questo periodo burrascoso, nel 1804 venne nominato vescovo un prelato originario del Montefeltro, Antonio dei conti Begni.
Nel 1808, con nobile fierezza e per somma devozione al papato, rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà a Napoleone.
Per tale ricusazione fu deportato e tenuto in prigione e in esilio per sei anni in varie città della Lombardia.
Nel 1814, alla caduta dell’impero francese, tornò nella propria sede e pose mano alla ricostruzione strutturale della diocesi e alla ripresa della cura pastorale del clero e delle popolazioni.
IV - Dalla Restaurazione al 1977
Il vescovo Begni ripristinò il seminario, promosse l’istituzione di case missionarie e, pur conservatore, denotò una più larga apertura politica con disposizioni per assolvere i rivoluzionari pentiti dei moti del 1831.Questa procedura fu seguita anche per i seguaci dei garibaldini del 1849.
Molti episcopati furono purtroppo di breve durata (solo due-sei anni), fatto dovuto per lo più a trasferimenti in sedi più ambite, per cui non fu possibile l’impostazione e la realizzazione di programmi a lungo termine.
Nonostante questo non mancarono fatti positivi.
Il vescovo Antonucci già nel 1842 prescriveva al clero di recitare – durante ogni messa festiva – non più in latino, ma «in lingua vernacolare » tutte le orazioni, i precetti e i simboli della fede, che il popolo (per lo più analfabeta) doveva ripetere ad alta voce per una piena comprensione e memorizzazione.
Il vescovo Mariotti favorì il ritorno in grembo alla Chiesa di don Luigi Vicini, che doveva diventare il più famoso predicatore d’Italia con il nome di padre Agostino da Montefeltro.
Nel mondo cattolico la spinta innovativa del modernismo, propagandata dal marchigiano Romolo Murri con il famoso Discorso di San Marino su Cristianesimo e Libertà (24 agosto 1902), fece vari proseliti anche nella diocesi, fra il clero e fra gli uomini di cultura.
I primi furono influenzati dalla figura di monsignor Dario Mattei Gentili, costretto a dimettersi da arcivescovo di Perugia con ritorno a Pennabilli, dove morì nel 1912.
Fra i secondi emerse la figura del nipote Paolo Mattei Gentili (1874-1935), pubblicista a livello nazionale e pugnace assertore dei patti Lateranensi.
Ma nonostante queste emergenze di spicco e una ristretta cerchia di loro aderenti, nel Montefeltro il mondo cattolico – clericale e laico – rimase sostanzialmente di spirito conservatore, con più o meno latenti antagonismi.
Il ventennio fascista – al di là di singoli episodi – proseguì in fondo su questo solco.
La cura religiosa delle popolazioni da parte dei vescovi e dei sacerdoti era considerata preminente su ogni altro aspetto, specie quello politico, in stretta interpretazione del dettato evangelico «Date a Cesare...».
Nel 1986 la diocesi fu affidata a un amministratore apostolico nella persona del vescovo di Rimini e in questa situazione rimase per oltre dieci anni.
Il 20 febbraio 1977 venne emanato un decreto con cui la diocesi fu conservata.
Essa assunse la nuova denominazione di Sammarinese- Feretrana, venne staccata dalla regione pastorale picena e dalla metropolia di Urbino e aggregata alla regione pastorale Emilia-Flaminia e quindi alla metropolia di Ravenna e si disposero aggiustamenti territoriali marginali per far coincidere il territorio diocesano con quello statuale di San Marino e con quello dei comuni feretrani della provincia di Pesaro-Urbino.
Bibliografía
A. Bartolini, I Vescovi del Montefeltro, Sogliano al R. 1976;Feretranae de dioecesis recognitione decretum, «Studi Montefeltrani», 5, 1977, 5-18;
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Società religiosa e civile nel feretrano all’alba del ‘900, a c. di L. Bedeschi, San Leo 2001;
Giovan Francesco Sormani vescovo di Montefeltro (1566-1601), a c. di A. Turchini, San Leo 2004.
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FUENTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.