Smembrata da Vercelli, fu eretta da Clemente XIV con bolla del 1° giugno 1772. Primo vescovo: Giulio Cesare Viancini, traslato da Sassari. Tentativi di separazione da Vercelli si erano ripetuti nel Seicento, motivati da ragioni giurisdizionaliste di stampo gallicano, cui era sensibile la corte sabauda, e da ragioni pastorali, con venature gianseniste, di cui si fece portavoce nel 1770 il capitolo dei canonici di Santo Stefano di Biella, sostenuto dal cardinale Carlo Vittorio delle Lanze. Del resto, già nel XIII . i vescovi di Vercelli (ad esempio Aimone di Challant) avevano un vicario episcopale con la sua curia in Biella e un castello dove tennero la residenza fino al 1379, come vescovi-conti. Il potere temporale ebbe termine nel 1379 con la dedizione ad Amedeo VI, conte di Savoia. La creazione della provincia di Biella nel 1622 anticipa con i suoi confini, con poche eccezioni, quelli della diocesi nel 1772, con 90 parrocchie e circa 90.000 abitanti. Già i vescovi di Vercelli nelle visite ad limina del XVI-XVIII . avevano descritto con attenzione le valli montane della diocesi, che erano appunto il Biellese. Al momento delle separazione, a Biella c’era il capitolo di Santo Stefano, con venti canonici, già fiorente nell’XI . Disseminati in ogni valle erano i santuari mariani, fra cui imponenti quelli di Andorno, di Graglia e di Oropa, che la tradizione collega al protovescovo vercellese sant’Eusebio (IV sec.) come evangelizzatore di un luogo di culto celtico. Oropa era governata dai canonici e amministrata «nel temporale » da canonici e laici del comune di Biella, secondo peculiari «Stabilimenti regi », come ancora oggi. Il seminario, fondato nel 1524 come collegio degli Innocenti o dei Chiantri, si era sviluppato come «seminario della collegiata », autonomo da Vercelli, e sarebbe diventato diocesano. Per il vescovato Viancini acquistò, con l’aiuto del re, il palazzo dei Sapellani, attiguo alla cattedrale. Il successore, Giovanni B. Canaveri, si trovò in piena bufera giacobina e napoleonica. Soppressa la diocesi nel 1803 e riunita a Vercelli, dove è traslato Canaveri, il duomo di Santo Stefano divenne «église collégiale de Bielle». Augusto Hus, spia al servizio di Napoleone, tenne particolarmente d’occhio Canaveri, che divenne infatti elemosiniere di Madama Letizia, madre dell’imperatore, con obbligo di lunghi soggiorni alla corte di Parigi. Ristabilita la diocesi nel 1817, toccò al vescovo Bernardino Bollati ripristinare ciò che la dominazione napoleonica aveva compromesso. A lui si devono lo sviluppo del seminario minore e il primo sinodo diocesano nel 1825.
II - Dalla rivoluzione industriale al
Vaticano II
Le relazioni ad limina informano che l’incredulità e l’ostilità alla rivelazione cristiana, che nel Settecento erano limitate a circoli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, passano nel ceto medio; dalla borghesia l’indifferenza si estende agli operai dell’industria laniera. Tuttavia è dato di ravvisare un tempo in cui clero e società operaie non sono in antagonismo: chi difese gli operai minacciati dal ministro Nicotera di domicilio coatto per gli scioperi del 1873 e del 1877 fu don Giovanni B. Rivetti. Se nel Biellese la cristianità tramonta, non scompare la Chiesa. Le condizioni socioeconomiche, caratterizzate da un’antica industrializzazione (fabbriche tessili), hanno influito duramente sulla pratica religiosa. Luigi Einaudi, studiando lo sciopero in Valsessera nel 1897, annota: «Il socialismo ha gittato più profonde radici, trascinando uomini e donne, vecchi e fanciulli a guisa di una nuova religione; le donne leggono in chiesa l’Avanti». Alla fine dell’Ottocento si contavano oltre centoquaranta fabbriche, favorite dall’abbondanza dei salti di acqua usati come forza motrice. Don Alessandro Cantono, in uno studio del 1899, scriveva: «In generale i padroni non furono coscienti dei gravi doveri morali che la posizione sociale loro imponeva e in gran parte seguirono le correnti del capitalismo moderno nella sua opera di sfruttamento del lavoro: il che ha anche preparato il terreno alla rapida diffusione del socialismo tra noi». Ancora: «Ripetiamolo, la salute può venire solo dalla organizzazione pronta del ceto operaio, ora abbandonato a se stesso e sul quale la religione e il clero non hanno oggi alcun ascendente». A sua volta, nella relazione alla Santa Sede del 1903, il vescovo Gamba scrive che 73.000 biellesi sono operai nelle fabbriche, dove domina l’ideologia capitalista e marxista. Quanto ai religiosi, già prima dell’epoca francese erano scomparsi i canonici lateranensi, gli antoniani, i benedettini dell’abbazia della Bessa (. XI) e i gerolamini. Da Napoleone furono soppressi agostiniani, francescani minori, cappuccini, domenicani, trappisti, monache cisterciensi e preti dell’oratorio; solo questi ultimi e i minori tornarono nel Biellese dopo la Restaurazione. In compenso fiorirono le congregazioni femminili di vita attiva: nel 1835 le suore rosminiane diedero inizio nel 1835 all’asilo di Biella-Piano e poi a decine di asili nelle vallate. Nel 1879 le congregazioni femminili erano sette: con le rosminiane, le immacolatine di Ivrea, le albertine di Lanzo, le suore di San Giuseppe, le Dame inglesi, le Figlie di Maria Ausiliatrice e le suore del Cottolengo. Nella seconda metà dell’Ottocento sorsero gruppi protestanti a Graglia, Zumaglia e Piedicavallo. Il radicalismo risvegliava la memoria storica sugli eretici medievali come Dolcino, catturato sulle montagne biellesi e condannato a morte nel 1307 (Inferno, XXVIII, 55-60). Se il Biellese minacciava di diventare terra di missione, la Chiesa reagiva con spirito missionario e con numerose iniziative di carattere sociale. Particolarmente attivo fu il vescovo Pietro Losana (1833- 1873), fondatore e sostenitore di ogni iniziativa sociale, tanto che nel 1876 Quintino Sella scriveva: «A Biella tutte o quasi le opere pie sono presiedute dal vescovo e il clero vi ha l’alta mano». Infatti gran parte degli asili infantili sorti nell’Ottocento avevano un prete come fondatore. Se il Losana (antinfallibilista al Vaticano I) si ispirava al cattolicesimo liberale e conciliatorista, il successore Basilio Leto, che nel 1882 celebrò un sinodo, fu intransigente e ultramontano: fondò il comitato diocesano dell’Opera dei congressi nel 1878 e nel 1882 «Il Biellese», giornale ancora attivo oggi. Dopo Leto, che rinuncia alla diocesi nel 1886, nel cattolicesimo biellese si fece strada l’idea che la democrazia non ripugna al Vangelo e che occorreva una Democrazia cristiana. La Casa del popolo, sorta nei primi decenni del Novecento, sul modello di quella di Bergamo, fu l’espressione del cattolicesimo sociale: vi facevano capo l’Azione cattolica, «Il Biellese », la Federazione agraria, l’Ufficio emigranti, l’Ufficio di collocamento, le Leghe bianche, il Comitato elettorale, il Partito popolare e il Credito biellese; in questa temperie visse il venerabile don Oreste Fontanella (1883-1935). Ciononostante, il «Corriere d’Italia» di Torino, nel 1929, menzionati Oropa «insigne monumento di fede» (oggi: 800.000 presenze annue) e «il battagliero movimento cattolico», constatava: «il Biellese fu sottoposto a una scristianizzazione sistematica e furibonda delle sue classi operaie, mentre, per conto suo, il liberalismo irriducibilmente anticlericale lavorava in seno alla borghesia e al nuovo capitalismo industriale in formazione […]. Ogni cattolico combatté per dieci, ma la devastazione fu immensa. Forse nessuna regione ebbe le sue chiese deserte di uomini come ebbe il Biellese». L’episcopato di Carlo Rossi (1890-1980) e il lavoro pastorale di don Antonio Ferraris (1906-1985) hanno punti salienti nella Resistenza, nella Peregrinatio Mariae (1949), nel terzo sinodo diocesano (1951) e nella liturgia, di cui Rossi fu cultore; per questo fu eletto nel Vaticano II membro della commissione liturgica.
Bibliografía
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Se muestra sólo edificios en relación a los cuales se dispone de una georeferenciación exacta×