Diócesis de Udine
HISTORIA
L’arcidiocesi di Udine nasce dalla soppressione del millenario patriarcato di Aquileia avvenuta il 6 luglio 1751.Essa fu istituita dal papa Benedetto XIV il 16 gennaio 1753 quale erede di tutta la parte veneta del patriarcato, mentre Gorizia comprese la parte austriaca dell’antica istituzione.
Il patriarca e cardinale Daniele Delfino mantenne tuttavia il suo titolo patriarcale fino alla morte avvenuta nel 1762.
L’arcidiocesi di Udine comprese allora tutta la parte occidentale della diocesi patriarcale e il potere metropolitano sui vescovati veneti, esclusa Venezia e i suoi suffraganei.
Il cardinale Daniele manifestò in diverse occasioni il suo disappunto per la fine umiliante del glorioso patriarcato, sacrificato al potere politico.
Gli successe il vescovo coadiutore Bartolomeo Gradenigo confermato nella carica con diritto di successione dopo la soppressione del patriarcato.
Morì tre anni dopo Daniele Delfino, nel 1765.
Il successore fu il fratello del defunto arcivescovo, Gian Girolamo Gradenigo (1766-1786) che ebbe un lungo episcopato.
Uomo di cultura e di carità, ampliò il seminario, arricchì la biblioteca patriarcale ed eresse nell’ex convento dei conventuali l’ospedale di Santa Maria della Misericordia a fianco della trecentesca chiesa di San Francesco.
Suo vicario generale fu una figura di prima grandezza tra il clero udinese, Francesco Florio.
Al suo tempo Venezia emanò alcune leggi in materia ecclesiastica che provocarono la soppressione di numerose case religiose.
Ai primi di luglio del 1788 fece il suo ingresso in diocesi Nicolò Sagredo (1786- 1792).
Fattosi sacerdote in età adulta, nel 1792 rinunciò all’arcivescovato di Udine per passare a Torcello, dove fu l’ultimo vescovo.
Morì nel 1804.
Gli successe Pier Antonio Zorzi (1792- 1803) trasferito da Ceneda.
Legato al movimento giansenista, influì poco sul clero, diocesano, attenuando le sue convinzioni.
Nel 1803 Pio VII lo elevò al cardinalato, ma morì poco dopo all’età di cinquantaquattro anni.
Durante il suo episcopato ci fu l’occupazione francese con la confisca di oggetti preziosi dalle chiese.
Soppressa la Repubblica veneta, con il trattato di Campoformido (1797) il Friuli passò sotto la casa d’Austria.
Il senato veneto aveva soppresso le abbazie di Moggio, di Rosazzo, di Sesto al Reghena e numerosi conventi.
Durante l’occupazione francese vennero incamerati i beni di molte chiese e venne modificato il sistema di amministrazione dei beni ecclesiastici.
Nel 1797 il seminario patriarcale venne confiscato.
Gli atteggiamenti anticlericali dei francesi e l’introduzione della coscrizione obbligatoria alienarono il pensiero dei friulani e fecero accogliere con sollievo la restaurazione postnapoleonica.
Per oltre quattro anni l’arcidiocesi fu governata dal vicario capitolare Mattia Cappellari, canonico penitenziere della metropolitana.
Al termine del 1805 ci fu la seconda occupazione francese e in base al trattato di Presburgo il Veneto, compreso il Friuli, fu annesso al regno italico, soggetto a Napoleone.
All’inizio del 1807, dopo Filippo Vittorio Melano, vescovo di Novara che rinunciò per volere di Napoleone, successe Baldassare Rasponi (1807-1814), che ricopriva la carica di elemosiniere alla corte del viceré Eugenio Beauharnais.
La morte lo colse a soli cinquantasei anni d’età.
Durante il suo governo furono soppresse le confraternite e le altre case religiose in forza delle leggi eversive napoleoniche.
Alla sua morte il capitolo rimise al governo dell’arcidiocesi monsignor Cappellari, che resistette alle ingerenze dell’impero giurisdizionalista.
Il Montegnacco e i suoi pochi seguaci rimasero isolati nell’arcidiocesi e le loro idee furono largamente contrastate dal clero.
Anche il pensiero illuminista rimase limitato a pochissimi casi.
Il 1° maggio 1818, Pio VII con la bolla De salute dominici gregis soppresse l’arcidiocesi di Udine, la quale venne sottoposta come semplice sede vescovile al patriarcato di Venezia, che fu creata sede metropolitana di tutto il Veneto.
Con la stessa bolla vennero modificati i confini della diocesi.
Ben sessantaquattro parrocchie passarono alle diocesi di Concordia, di Vittorio Veneto, di Treviso e di Gorizia, mentre diciotto parrocchie della Bassa friulana vennero invece aggregate a Udine.
Emanuele Lodi (1819-1845), unico semplice vescovo nella storia di Udine, fu attivissimo ed energico, ma poco amato dai friulani.
Il suo episcopato registra la costruzione del nuovo seminario di San Bernardino nell’ex convento delle francescane.
Durante la vacanza della sede vescovile Gregorio XVI stacca dal Friuli il Cadore e lo unisce alla diocesi di Belluno.
Quasi a compenso di tante diminuzioni del territorio diocesano Pio IX con bolla Ex catholicae unitatis centro del 14 marzo 1847 restituì alla sede udinese il titolo arcivescovile metropolitano senza suffraganei e la rese immediatamente soggetta alla Santa Sede.
Nuovo arcivescovo di Udine fu Zaccaria Bricito (1846-1851) che fece il suo ingresso il 10 luglio 1847.
Ma il suo episcopato fu breve perché, afflitto dal male, si spense il 6 febbraio 1851.
La sua figura però fu circondata da grande affetto, perché apparve come angelo di carità durante la rivoluzione del 1848 e la liberazione dal dominio austriaco.
Il Bricito fu infatti mediatore nelle trattative con l’Austria per la resa di Udine.
Dopo un secondo vicariato capitolare di monsignor Darù, successe l’arcivescovo Giuseppe Luigi Trevisanato (1852-1862) già professore nel seminario di Venezia.
Egli seppe mantenere una posizione equilibrata nel periodo risorgimentale, nello Stato unitario d’Italia e nella questione romana.
Nel 1862 egli venne trasferito a Venezia quale patriarca.
A succedergli fu chiamato il vescovo di Concordia Andrea Casasola (1863-1884) di Buja nel Friuli.
Vent’anni di episcopato udinese che s’intrecciano con gli avvenimenti politici e sociali del 1866 e del 1870.
La piena fedeltà dell’arcivescovo alla Santa Sede fu seguita dalla stragrande maggioranza del clero udinese.
Si ebbero alcuni sacerdoti aperti al nuovo stato di cose e qualche rarissimo caso di defezione.
Dopo l’unità d’Italia esplose nelle classi dirigenti un acceso anticlericalismo e un forte legame con la massoneria.
Il 15 marzo 1867 un gruppo di fanatici invase e mise a soqquadro il palazzo arcivescovile.
L’arcivescovo fu costretto a nascondersi e poi rimase nel palazzo prigioniero volontario in segno di protesta.
Ne uscì solo nel 1868 per recarsi a Torino al matrimonio del principe ereditario.
Il Casasola fu grande apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù e nel 1871 gli consacrò il Friuli.
Nello stesso anno si costituì a Udine l’Associazione cattolica friulana allo scopo di promuovere il sentimento cattolico nella popolazione.
Tale attività incontrò l’opposizione delle autorità.
Basti pensare al divieto del pellegrinaggio a Castelmonte nel 1873.
Nel 1877 sorse l’Opera dei congressi, il cui animatore e presidente fu l’avvocato Vincenzo Casasola nipote dell’arcivescovo.
Nel 1878 i cattolici fondarono un proprio giornale, «Il Cittadino Italiano» con il sottotitolo «Giornale religioso, politico, scientifico, commerciale».
Il Casasola morì a Rosazzo il 12 agosto 1884.
Gli successe Giovanni Maria Berengo (1884-1896), già vescovo di Adria e poi di Mantova.
Apostolo della stampa e dell’Azione cattolica fin da sacerdote, egli fece sperare in un forte seguito anche a Udine.
Ma dopo alcuni anni gli vennero meno le forze e languì a lungo.
Fortunatamente gli fu a fianco monsignor Pietro Antivari, rettore del seminario e vescovo ausiliare che gli assicurò la venerazione e l’affetto dei fedeli e del clero.
Il 25 marzo 1897 prese possesso dell’arcidiocesi Pietro Zamburlini (1897-1909) già vescovo di Concordia e compagno di scuola e amico carissimo dell’allora patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto (futuro papa Pio X) che ebbe per l’arcidiocesi udinese un’ammirevole predilezione.
Il movimento cattolico segnò una vivacissima ripresa, che fu poi compromessa dalle vicende generali verificatesi all’inizio del secolo dall’Opera dei congressi e dalle correnti che ne derivarono.
Il popolo però rimase fortemente attaccato alla Chiesa.
Solo più tardi aderì alle organizzazioni socialiste, specie in Carnia e nel Friuli centrale.
Un’opera di notevole impegno fu il seminario minore di Rubignacco aperto nel 1905 e inaugurato solennemente nel 1906.
Il successore fu Antonio Anastasio Rossi (1910-1927) che governò l’arcidiocesi sino a quando fu trasferito, con il titolo di patriarca di Costantinopoli, a ricoprire la carica di prelato di Pompei.
La guerra europea, alla quale l’Italia partecipò dal 1915, l’invasione austriaca nel 1917-1918, durante la quale monsignor Rossi fu profugo, il convulso dopoguerra e l’avvento del fascismo nel 1922 agitarono il tormentato periodo.
Nel 1921 si tenne a Udine il congresso della gioventù cattolica; nel 1925 si svolse il congresso eucaristico assai ben riuscito e nello stesso anno fu aperto il nuovo seminario minore di Castellerio in sostituzione di quello di Cividale ceduto all’Opera nazionale orfani di guerra.
Nel 1923 venne staccata dall’arcidiocesi la pieve di Meduna e il 16 aprile quella di Sacile che fu unita alla diocesi di Ceneda.
Nel 1928, dopo la visita apostolica di Andrea Longhin, vescovo di Treviso, fece il suo ingresso nell’arcidiocesi Giuseppe Nogara (1928-1955).
A oltre un decennio di vita attiva e relativamente tranquilla contrassegnata dal forte impulso dato all’Azione cattolica, dal II congresso eucaristico del 1937 e da altre opere, seguì il tragico periodo della seconda guerra mondiale.
Durante l’occupazione nazista del 1943-1945 il vescovo si mostrò pastore secondo il Vangelo, pronto a dare la vita per il suo gregge.
Dopo la guerra promosse la ricostruzione del seminario maggiore distrutto dai bombardamenti, istituì gli oblati diocesani e indisse altre iniziative religiose, quali il congresso mariano del 1948 e la crociata della Madonna missionaria.
Con discrezione seguì ogni forma di movimento cattolico che vide i friulani assumere le maggiori responsabilità nel campo sociale e politico.
Gli successe Giuseppe Zaffonato (1956- 1972) già vescovo di Vittorio Veneto.
L’attività e le iniziative del suo primo decennio di episcopato lo fecero grande continuatore e innovatore delle opere diocesane.
A conclusione della intensa attività pastorale nel 1972 si tenne a Udine il congresso eucaristico nazionale.
Una sfortunata impresa economica obbligò infine l’arcivescovo alle dimissioni.
Il successore fu Alfredo Battisti (1972- 2000) di Masi.
Il terremoto del Friuli nel 1976 diede l’ispirazione a tutta l’opera di questo episcopato.
Egli venne chiamato per l’opera instancabile di partecipazione e di stimolo il «vescovo del restauro del Friuli».
In realtà i quasi trent’anni della sua presenza nell’arcidiocesi furono caratterizzati dall’opera di restauro materiale e morale della popolazione friulana.
Le cinquanta chiese da ricostruire e le oltre cento da riparare furono da lui seguite, ma mettendo sempre al primo posto l’annuncio della Parola di Dio.
Le iniziative promosse sono la testimonianza più evidente.
Al suo impulso si devono la Scuola di teologia per laici nel 1977, l’Istituto superiore di scienze religiose nel 1986, la Scuola di formazione politica nel 1989.
Ma il segno più grande della rinascita spirituale promossa dall’arcivescovo fu il quinto sinodo diocesano udinese, inaugurato nel 1982 per dare alla Chiesa «un volto conciliare».
Nel 1996 poté inaugurare nel palazzo patriarcale, dopo aver fatto fronte ai danni subiti a causa del terremoto, il «Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo».
Partecipò alle iniziative più importanti della società civile, fra cui resta memorabile l’azione per l’università di Udine.
Anche a livello nazionale prestò la sua opera, come «Presidente della Commissione per i problemi sociali e del mondo del lavoro» della Conferenza episcopale italiana fra il 1979 e il 1982.
Nel 2000 si ritirò presso il castello della Madonna missionaria di Tricesimo, dove continua la sua opera apostolica.
Nell’anno 2000 successe sulla cattedra dei santi Ermacora e Fortunato un secondo vescovo friulano, Pietro Brollo da Tolmezzo.
Ha iniziato il suo ministero pastorale con pieno impegno, pur tra le difficoltà del momento, in primo luogo la scarsità di vocazioni sacerdotali.
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FUENTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.