Diócesis de Verona
HISTORIA
I - Dalle origini al Mille
Verona, sorta intorno al V-IV . a.C.ed entrata nel I . della stessa era a far parte del mondo romano, fu centro di importanza militare e commerciale.
L’accoglienza del messaggio evangelico portò sulla fine del III . al costituirsi di una Chiesa attorno al suo vescovo.
I primi otto pastori, attestati dal Velo di Classe, tessuto prezioso (VIII sec.) recante le immagini dei trentacinque primi vescovi veronesi, e dal Versus de Verona (796-805), furono: Euprepio, Dimidriano, Simplicio, Procolo, Saturnino, Lucillo, firmatario nel 343 al concilio di Serdica, Cricino, Zeno.
L’ottavo vescovo e principale patrono, san Zeno, guidò e organizzò la Chiesa in epoca ambrosiana tra il 362 e il 380 circa.
A destra dell’Adige, riadattò una precedente chiesa e la consacrò, ma il suo ricordo migliore restano i novantaquattro sermoni o Tractatus, i primi di un padre latino, che danno un quadro vivo della comunità cristiana e delle sue articolazioni, ma ricordano anche la presenza di cristiani tiepidi e di pagani, la cui conversione avrebbe richiesto ancora qualche secolo.
Tra i successori di san Zeno, Siagrio (circa 385-395) ebbe un richiamo da sant’Ambrogio per aver creduto alle accuse mosse alla vergine Indicia, mentre a san Petronio (circa 425-450) si deve un sermone su san Zeno e la costruzione della chiesa cimiteriale di Santo Stefano e della cattedrale postzenoniana.
Intorno alla metà del V . la Chiesa veronese, sottoposta precedentemente alla metropoli milanese, divenne suffraganea di Aquileia, sede metropolitana attestata come tale nel 442.
La fine di Aquileia dieci anni dopo provocò l’accrescimento dell’importanza strategica di Verona, che fu una delle città preferite dal re Teodorico (489/493-526) e da lui dotata di nuovi edifici.
Sul finire però del regno si acuì il contrasto con Teodorico, che nel 521 fece abbattere parte della chiesa di Santo Stefano per la costruzione delle mura.
Nell’attività di conversione dei goti, ariani o semiariani, la tradizione sottolinea l’azione del vescovo san Teodoro (502-522).
Con la fine del regno e la guerra greco-gotica (535-553), Verona passò sotto i bizantini, che la occuparono fino all’avvento dei longobardi.
Il pur breve dominio bizantino in Italia non fu estraneo al radicarsi dello scisma dei Tre Capitoli, cui aderirono i vescovi Solazio, attestato nel 579, e Iuniore, documentato nel 589 e 591.
Segno di fedeltà alla memoria e autorità di Calcedonia fu a Verona il sorgere delle chiese dedicate alle sante bizantine Anastasia e Eufemia.
Alle chiese citate, va aggiunta quella dei Santi Apostoli, con l’attiguo oratorio di Santa Teuteria.
Queste, con le chiese di San Procolo, San Fermo Maggiore e Santi Nazaro e Celso, dettero forma alla Verona sacra fino a oggi.
In gran parte d’Italia ai bizantini subentrarono i longobardi, che occuparono Verona il 25 luglio 569.
Anche dopo il passaggio della capitale a Pavia, Verona restò un significativo centro del regno longobardo.
Ai citati Solazio e Iuniore, seguirono fino all’inizio dell’VIII . sette pastori, ricordati dal Velo di Classe ed entrati a far parte dei trentasei santi presuli veronesi, una lista di quasi tutti i vescovi fino all’VIII . La conversione dei dominatori e il superamento dello scisma con l’unificazione religiosa siglata dal sinodo di Pavia del 689, favorirono anche a Verona un operoso risveglio.
Sant’Annone (circa 750-780) promosse una generale riorganizzazione religiosa della città, con costruzione della nuova cattedrale di Santa Maria Matricolare, e curò la traslazione dei santi martiri Fermo e Rustico, ai quali fece da drappo il Velo di Classe citato.
In epoca carolingia furono vescovi Egino (780-799) e Ratoldo (799-840), mentre nella schola canonicale si affermò l’arcidiacono Pacifico (776-844).
Al tempo di Ratoldo, il 21 maggio 807, le reliquie di san Zeno furono traslate nella chiesa del rifondato monastero benedettino a lui intitolato fuori della città.
Seguirono quindi i vescovi da Notingo (840-844) ad Audone (866).
Altri monasteri si andarono intanto affermando: tra i principali, Santa Maria in Organo e il monastero femminile di San Michele in Campagna.
Con Berengario I (888-924) Verona trovò rinnovata importanza: il vescovo Adelardo I (875-911) fu, almeno per un primo tempo, anche cancelliere regio e il conte Valfredo (876- 896) fu anche marchese della marca friulana, cui la città dell’Adige risultò strettamente unita.
Morto Berengario, lo spostamento della residenza del re a Pavia permise l’accrescersi progressivo del ruolo del conte e poi marchese Milone (930 ca-955).
Negli ultimi anni del regno italico autonomo Verona fu costituita in marca nel 952 e nel 962 affidata al duca di Baviera.
Per gli imperatori tedeschi, più volte ospiti a San Zeno, Verona divenne la «porta d’Italia».
L’ampiezza assunta dalla rete edilizia religiosa nel periodo carolingio e fino al 915-922, come testimonia l’Iconografia Rateriana, fu accresciuta tra il 915 e il 961 dalle chiese di San Siro, San Sebastiano, San Pietro in Carnario e San Remigio.
Altrettanto complessa e articolata si faceva la rete istituzionale della diocesi col sorgere o la prima attestazione di nuove pievi, dopo le prime sedi attestate nel V-VI . Rilevante nel X sec., dopo i vescovi Notkero e Ilduino, fu soprattutto il tre volte esule Raterio (931-968), che con l’azione riformatrice e i suoi scritti accompagnò gli inizi della renovatio imperii.
Dopo i vescovi Milone e Ilderico, la Chiesa veronese varcò le soglie del millennio guidata dal vescovo Otberto (992-1008).
Tra i successori si distinsero Giovanni (1016- 1037) e Walter (1037-1055).
II - Nel pieno Medioevo
Al tempo della riforma generale della Chiesa o gregoriana, Verona si trovò come stretta tra impero e papato in lotta, rispettivamente per la difesa e per il superamento del sistema politico-religioso tradizionale.Ancora per decenni la città fu un punto forza di Enrico IV in Italia.
Ciò comportò per la sede veronese una serie di vescovi tedeschi filoimperiali, per cui la riforma non s’impose facilmente.
Essa penetrò a Verona mediante l’influsso del dominio matildico e la presenza dei vallombrosani della Santissima Trinità (1114) e dei camaldolesi di Santa Maria del Camaldolino di Avesa (1117) e di San Salvatore in Corte Regia (1123 o 1085), che costituì l’ultimo ospizio di san Gualfardo sellaio (†1127), espressione dell’accresciuto ruolo della cavalleria al tempo delle crociate.
La riforma s’impose con i vescovi Bernardo (1119-1135) e Tebaldo II (1135-1157) e si accompagnò con la ricostruzione di numerose chiese in città e nel territorio, cancellate o gravemente lesionate dal terremoto del 1117.
Fu l’epoca d’oro del romanico, che costituì una nuova ondata di fervore edilizio arrivato fino agli anni Novanta del secolo.
Intanto con la bolla Piae postulatio voluntatis del 17 maggio 1145 Tebaldo II si assicurò una maggiore autonomia in campo giurisdizionale, ottenendo la tutela pontificia.
Il privilegio, che attesta l’ordinamento della diocesi alla metà del XII sec., si riferisce alle chiese del distretto, numerando cinquantacinque pievi e altri enti.
Nato all’ombra dell’episcopio di Tebaldo II e documentato la prima volta nel 1136, il comune veronese trovò nel vescovo Ognibene (1157-1185) un valido mediatore nelle difficoltà sorte al tempo del Barbarossa.
Dopo la pace di Costanza (1183) Verona poté ospitare per oltre tre anni (22 luglio 1184-22 settembre 1187) i papi Lucio III, morto e sepolto nella cattedrale nel 1185, e Urbano III, che dedicò la nuova cattedrale il 13 settembre 1187.
Al vescovo Riprando (1185-1188) seguì il cardinale e vescovo Adelardo II (1188- 1214) che fu legato alla terza crociata (1181-1191).
L’interesse alla Terrasanta e la partecipazione alle spedizioni oltremarine portarono a rammentare i luoghi santi, applicandone i nomi a varie località della città e qualificando Verona come minor Jerusalem.
Fu merito ancora di Adelardo, seguito in ciò da Norandino (1214- 1224), l’aver iniziato una prima articolazione della città in parrocchie, ma anche la sistemazione con il Comune del rapporto temporale dell’episcopio con vaste zone del territorio veronese (1206-1207, 1217).
L’affermarsi delle fazioni finì col nuocere anche alla causa della religione, frenando e paralizzando l’azione vescovile.
Tanto più difficile fu la situazione al tempo di Ezzelino III (1226-1259), sebbene nel 1233 fosse fiorita la breve stagione dell’Alleluia.
Anche a Verona il movimento di vita evangelica e apostolica non tardò a imporsi.
Nella sua ala eterodossa subì una duplice stroncatura, nel 1233, quando furono bruciati 66 eretici, e poi nel febbraio 1278, con l’eliminazione da parte di Alberto I della Scala di 166 eretici imprigionati due anni prima, con il concorso del vescovo Temidio (1275-1277).
Il filone ortodosso invece, largamente preponderante, si espresse nelle iniziative dei nuovi ordini e nell’azione di carità, a esempio, nei confronti dei lebbrosi raccolti dal 1223 in San Giacomo alla Tomba.
A un primo insediamento delle religiones novae fuori città negli anni Venti-Trenta del Duecento, seguì una fase d’ingresso e insediamento cittadino nella seconda metà del secolo, divenendo punto di riferimento per gruppi di umiliati, disciplinati e terziari.
Né mancarono santi e beati veronesi, tra i quali Pietro Martire (†1252), Rodobaldo II Cipolla (†1254) e Facio (1200-1272).
L’ascesa degli Scaligeri raggiunse il pieno sviluppo con Cangrande I (1304-1329), che fece di Verona la capitale d’un notevole stato regionale.
In seguito la signoria decadde rapidamente, finché il 19 ottobre 1387 fu privata di ogni dominio.
Il successivo periodo di dominazione viscontea e carrarese determinarono Verona a trattare nel 1405 la propria dedizione alla Repubblica veneta.
I vescovi veronesi del periodo furono in genere eccessivamente legati alla politica scaligera.
Dopo Bonincontro (1295-1298), fu vescovo Tebaldo III (1298-1331), autore di costituzioni per il clero, che fu sempre in ottime relazioni con i Della Scala.
Seguì il vescovo Nicolò (1332-1336), che nel 1336 divise la città in cinquantadue parrocchie.
Gravi traversie iniziarono nel 1338 con l’assassinio di Bartolomeo II della Scala (1336-1338), pugnalato per sospetti politici dal cugino Mastino II.
Tra le conseguenze del misfatto fu la riserva dell’elezione episcopale in mano al papa.
A una vacanza vescovile di cinque anni e a successivi brevi episcopati, seguì nel 1350 un ultimo vescovo scaligero, Pietro II (1350-1387), che fu trasferito ad altra sede quando caddero gli Scaligeri.
Lo stesso accadde al vescovo Giacomo Rossi (1388-1406), quando Verona si consegnò a Venezia (23 giugno 1405).
La costruzione e il completamento delle grandi chiese dei mendicanti (minori, domenicani, agostiniani) e di altre chiese, le numerose e fiorenti confraternite di devozione e ospedaliere, i pellegrinaggi, la fioritura di opere d’arte e le vicende di santa Toscana di Zevio (1290 ca-1343) e del beato Enrico (†1350), attestano che restava alto il tono della vita cristiana nel Trecento.
III - Dal Quattrocento a fine Settecento
Dopo la consegna di Verona, Venezia cercò d’avere in mano anche la direzione religiosa, favorendo la nomina di ecclesiastici veneziani alla sede vescovile.I primi tre, che coprirono la prima metà del Quattrocento, furono Angelo Barbarigo (1406- 1408), Guido Memo (1409-1438) e Francesco Condulmer (1438-1453), promotori di una riforma della vita regolare in un periodo in cui si affermava l’Osservanza.
Tentativi di riforma simili si ebbero anche tra il clero, come prova l’istituzione delle scuole Accolitali promossa dal Condulmer e dai suoi collaboratori nel 1440-1442.
Anche la civiltà rinascimentale e umanistica mostrò a Verona vivacità e varietà di interessi e gusto di artisti e committenti nel passaggio dalle forme gotiche a quelle classiche.
Vescovo umanista fu Ermolao Barbaro il Vecchio (1453-1471) che visitò la diocesi (1454-1460), promosse la cultura, combattendone certe tendenze paganeggianti, ma si inimicò i rappresentanti della città con il suo programma edilizio.
Dopo di lui furono vescovi Giovanni Michiel (1471-1503) e Marco Corner (1503-1524), quasi sempre fuori sede e sostituiti da vicari e suffraganei.
Primo grande pastore dei tempi nuovi fu Gian Matteo Giberti (1524-1543), orientato all’evangelismo e alla riforma cattolica.
Attivo nei campi della pastorale e del sociale, raccolse le sue disposizioni in un corpo organico di Costituzioni pubblicate nel 1542, determinando l’andamento della vicenda episcopale ed ecclesiale veronese per un lungo periodo.
Al concilio di Trento, dove i padri ricercavano e utilizzavano le Costituzioni gibertine, parteciparono e contribuirono alcuni veronesi, tra i quali i vescovi Luigi Lippomano (1548-1558), Girolamo Trevisani (1561-1562), Bernardo Navagero (1562-1565) e altri ecclesiastici e laici.
Dopo la prima ricezione del Tridentino a Verona il 26 giugno 1564, alla sua applicazione si dedicarono il cardinale Agostino Valier (1565-1606) e il nipote di questi Alberto (1606-1630).
Soprattutto Agostino incarnò la figura del nuovo vescovo, mentre per un clero rinnovato fondò nel 1567 il seminario vescovile.
Alla morte del cardinale, l’inizio dell’episcopato di Alberto fu funestato dall’interdetto, che interessò la signoria veneta e provocò l’espulsione di gesuiti, teatini e cappuccini, come informa la Relatio del 1607.
Sotto la guida dei Valier la Chiesa continuò sulle linee tracciate dal Giberti, aggiornate sulle norme conciliari e sostenute dall’assidua celebrazione di sinodi diocesani, visite pastorali e ispezioni vicariali.
Al tempo stesso la diocesi poteva contare sull’apporto dei nuovi ordini sorti nel Cinquecento e accolti in città e sul territorio.
Dopo la peste del 1630 e fino agli inizi del Settecento furono vescovi Marco Giustiniani (1631-1649), Sebastiano Pisani I (1653-1668) e II (1668-1690), Pietro Leoni (1691-1697) e Francesco Barbarigo (1698- 1714), che continuarono secondo gli orientamenti ormai tradizionali, in un sistema di compenetrazione di aspetti religiosi e sociali insieme.
Anche nel Settecento l’episcopato veronese si mosse secondo una linea tradizionale, comune ai vescovi veneti del tempo, con qualche elemento proprio, consistente in un rapporto permanentemente dialettico con il capitolo, cui mise fine la vittoria finale del vescovo dopo la metà del Settecento.
Più vivace si rivelò il mondo spirituale e culturale, animato da Scipione Maffei (1675-1755) e altri eruditi ecclesiastici e laici.
Dopo il già citato Barbarigo e i vescovi Marco Gradenigo (1714-1725) e Francesco Trevisani (1725-1732), durante gli episcopati di Giovanni Bragadino (1733-1758) e di Nicolò Antonio Giustiniani (1759-1772) l’autorità del vescovo fu finalmente estesa sul capitolo e sugli altri enti ecclesiastici precedentemente autonomi e soggetti dalla fine del X o dall’XI . al patriarcato di Aquileia, che venne soppresso il 6 luglio 1751.
La complessa operazione richiese più di un decennio, fino al 13 aprile 1762.
Nel 1787 Verona rinunciò alla giurisdizione su alcune parrocchie del Trentino e del Mantovano, a favore delle diocesi di Trento e Mantova.
Frattanto, passato il Giustiniani a Venezia, gli ultimi decenni del Settecento veronese furono coperti dai vescovi Giovanni Morosini (1772-1789), di indirizzo riformista, e dall’ex gesuita Giovanni Andrea Avogadro (1790-1805), il cui impegno fu segnato da preoccupazione più direttamente religiosa.
IV - Dall’Ottocento a oggi
Nel difficile periodo napoleonico (1796-1814), con le sue turbolente vicende, cogliendo l’occasione unica che veniva offerta per riedificare, il vicario generale Gualfardo Ridolfi (1745-1818) e quindi il vescovo Innocenzo Maria Liruti (1807-1827) adeguarono la loro iniziativa alla nuova situazione.Fu soprattutto il Ridolfi a gestire l’operazione di concentrazione e soppressione di numerose parrocchie cittadine, che furono ridotte da quarantasei a quattordici, degli ordini, con la soppressione complessiva di cinquantasette tra monasteri e conventi maschili e femminili, e la soppressione delle 536 confraternite, esclusa quella del Santissimo Sacramento.
Un duro e salutare colpo era stato inferto alle antiche strutture ecclesiastiche e già altre venivano delineandosi: nuovi istituti cominciarono a sorgere per iniziativa di don Pietro Leonardi e di Maddalena di Canossa e si impiantarono soprattutto in periodo austriaco.
Dei due protagonisti, di altri ancora (san Gaspare Bertoni, Leopoldina Naudet, Teodora Campostrini, Nicola Mazza, beato Carlo Steeb, Camillo Cesare Bresciani, ai quali va aggiunto don Antonio Provolo), come delle loro fondazioni, tratteggiò un profilo nella sua opera apologetica e promozionale, intitolata La Filantropia della fede e pubblicata nel 1839 in tedesco, il sacerdote austriaco Alois Schlör (1805-1852), ammiratore del vescovo Giuseppe Grasser (1828-1839).
Seguirono gli episcopati di Pietro Aurelio Mutti (1840-1852) e Benedetto Riccabona (1854-1861) durante il periodo più fervido del Risorgimento.
Passata Verona all’Italia nel 1866, vi si fece sentire il clima politico generale deteriorato dalla questione romana e dall’anticlericalismo, mentre l’estensione anche a Verona della legge Rattazzi comportò l’incameramento di molti beni ecclesiastici e la soppressione di ventuno case religiose.
In tale clima si inserì l’attentato compiuto in occasione della processione del Corpus Domini il 20 giugno 1867.
L’intero periodo fu coperto dai lunghi episcopati dei veronesi Luigi di Canossa (1861-1900), che avviò il Movimento cattolico, e di Bartolomeo Bacilieri (1900-1923), che guidò con mano salda la Chiesa veronese nella crisi modernista, durante la grande guerra e nel primo difficile periodo postbellico.
Una seconda fase di nuove fondazioni religiose si aprì nel 1860 e arrivò fino agli anni Venti del Novecento; tra i fondatori furono il beato Zefirino Agostini, san Daniele Comboni, il beato Giuseppe Nascimbeni, con la beata Domenica Mantovani, il beato Giuseppe Baldo, san Giovanni Calabria, il venerabile Filippo Bardellini e la serva di Dio Elena Da Persico.
Essi fondarono congregazioni dedite alle necessità parrocchiali, alle missioni e a settori specifici della pastorale e della carità.
Successore del Bacilieri fu Girolamo Angelo Cardinale (1923-1954), seguito dall’arcivescovo Giovanni Urbani (1955-1958), e quindi dal servo di Dio Giuseppe Carraro (1958-1978), il cui episcopato fu segnato dal concilio Vaticano II e dalla sua ricezione.
Il periodo fu ricco di altre nuove istituzioni religiose, di don Giovanni Ciresola, don Giuseppe Girelli, don Igino Silvestrelli e altri.
Nell’ultimo ventennio venne proposta una nuova evangelizzazione.
I cattolici veronesi vissero tale periodo guidati dai vescovi Giuseppe Amari (1978- 1992), Attilio Nicora (1992-1997), Flavio Roberto Carraro (1998-2007) e il veronese Giuseppe Zenti, eletto l’8 maggio 2007.
Dopo la cessione di poche cure a Mantova nel 1978, si procedette a un riordino delle parrocchie e a una riduzione del loro numero fuori città nel 1986 e nel 1987, per cui raggiunsero le 381 unità, concentrate e riorganizzate nel 1994 in diciotto vicariati.
L’anno mariano e l’ottavo centenario della dedicazione della cattedrale furono solennizzati dalla presenza del papa Giovanni Paolo II, che visitò Verona il 16- 17 aprile 1988.
Passato il millennio con il grande giubileo del 2000, monsignor Carraro indisse nella Pentecoste 2002 un sinodo diocesano, concluso solennemente nella Pentecoste 2005.
A Verona infine si svolse dal 16 al 20 ottobre 2006 il IV convegno ecclesiale nazionale sul tema Testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo, cui intervenne il giorno 19 papa Benedetto XVI, lasciando un vivo ricordo della sua parola e della sua presenza.
Bibliografía
G. B. Pighi, Cenni storici sulla Chiesa veronese, 2 voll., Verona 1980-1988;D. Cervato, Diocesi di Verona, Padova 1999;
G. Ederle-D. Cervato, I Vescovi di Verona. Dizionario storico e cenni sulla Chiesa Veronese, Verona 2002.
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Diócesis de Verona
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FUENTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.