Percorso
Sulle orme del silenzio: il Vaso Sacro
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In questo contesto, scrivere del Silenzio e dell’Eremo può diventare una metafora concreta per tanti di noi che nel deserto del presente, vorrebbero vivere un monachesimo interiore pervaso dal desiderio di Dio. Per altri, di certo meno numerosi, questo percorso potrà essere una guida per trovare la strada dell’eremo in senso letterale: “O beata solitudo, o sola beatitudo!”.
Quante volte abbiamo letto questa celebre massima, stampata sui libri o sugli architravi degli eremi. Ma non ogni solitudine è beata se non prendiamo come metro di misura il Vangelo. Non è beata la solitudine del recluso in carcere, perché non frutto di libera scelta; non è beata la solitudine del misantropo, che si isola dal consorzio umano perché non riesce a capire la ricchezza delle relazioni umane. Qual è, allora, la solitudine che rende beato chi la pratica? Che cos'è che dà valore alla solitudine del monaco alla luce del Vangelo di Cristo? Non può essere altro che l'amore. L’amore sta all'origine e alla fine della vocazione monastica e, ancor di più, eremitica. Dio che, spinto dall' amore, cerca l'uomo per portarlo alla comunione con sé: ecco l'origine, la sorgente da cui tutto ha inizio.
L'uomo che, spinto dall'amore cerca Dio per ricambiare il suo amore: ecco il fine, lo scopo ultimo della solitudine monastica ancor di più eremitica.
Al centro della vocazione c'è una Presenza, non una Assenza; c'è una Pienezza non un Vuoto; c'è una Comunione, non una Solitudine. La prima e più visibile esigenza per un eremita che voglia crescere nell'amore di Dio è quella di coltivare una reale separazione dal comune vivere nella società umana.
Come per il missionario la prima esigenza è annunziare il Vangelo, o per l'operatore di misericordia è prendersi cura dei bisognosi, così per l'eremita è essere "separato" dal mondo.
Ascoltiamo le Costituzioni dei Reclusi composta dal beato Paolo Giustiniani nel 1518: “Chi accoglie il dono della chiamata alla vita solitaria ritiene di non poter condurre una vita pienamente fedele alle esigenze del Vangelo, né arrivare ad arrivare ad una familiarità con Dio finché vive immerso nel fluire della vita mondana. Perciò, affinché riesca a tenersi unito al Signore senza distrazioni, egli non solo rinunzia al bene del matrimonio, ma, per quanto possibile, non ricerca neppure il consorzio degli uomini.” (art. 2).
Perché la sua missione nella Chiesa è manifestare a tutti non con la parola, ma con la vita, che "Dio solo basta”, "Dio solo è tutto," Dio solo è il Signore". Il religioso, con una consacrazione nuova e distinta anche se radicata in quella battesimale e da essa germogliata, diviene a titolo tutto speciale un "Vaso Sacro", separato dall'uso profano per servire solo al culto divino. Un laico, come noi, potrebbe rivolgersi con le parole che Simone di Taibuteh monaco siriano del VII sec. rivolge ad un suo confratello che sta per iniziare la vita da recluso in cella: “Anche tu, fratello mio, che ti separi oggi da noi e ti consacri e ti offri a Dio, grazie alle preghiere, alle lodi, agli inni dello Spirito, anche tu sei una cosa santa, un vaso sacro separato per servire solo a Dio”.