Regione ecclesiastica Umbria
l’arcidiocesi immediate su - biecta di Spoleto-Norcia e le diocesi immediate subiectae di Orvieto-Todi e Terni-Narni- Amelia. Geograficamente corrisponde più o meno all’omonima regione civile dell’Italia centrale. Soltanto la diocesi di Terni comprende quattro parrocchie, a Configni, Torri in Sabina e Vacone, situate in provincia di Rieti (Lazio);
la diocesi di Orvieto ha due parrocchie a Bolsena, in provincia di Viterbo (anch’esse nel Lazio) e quella di Gubbio sconfina, con tre parrocchie situate in comune di Cantiano, nella provincia di Pesaro (Marche). Nel corso del tempo però i confini dell’Umbria hanno subito molteplici variazioni, tanto che la stessa identità regionale andò perduta per molti secoli. Anticamente territorio degli umbri, fu conquistata nella parte occidentale dagli etruschi e successivamente dai romani (IV-III sec. a.C.) che, con l’apertura della via Flaminia, ne fecero un nodo viario di collegamento tra Roma e l’Adriatico. Nel periodo imperiale la parte a oriente del fiume Tevere apparteneva alla VI Regio (Umbria), comprendente anche, al di là degli Appennini, parte delle attuali Marche, mentre i territori di Perugia e Orvieto, a occidente del Tevere, erano inseriti nella VII Regio (Etruria o Tuscia), e Norcia, a oriente del fiume Nera, era aggregata alla IV Regio (Samnium). Con Diocleziano l’Umbria cisappenninica e la Tuscia formarono un’unica provincia, Tuscia et Umbria. La regione costituiva un asse viario strategico e non a caso di qui passarono tutte le popolazioni barbariche che invasero Roma e qui fu combattuta in gran parte la lunga e sanguinosa guerra greco-gotica (535-553), con la quale i bizantini strapparono ai goti l’Italia centrosettentrionale. Dopo l’invasione longobarda, la parte orientale costituì il Ducato di Spoleto e la parte occidentale (Orvieto, Città di Castello) entrò nella Tuscia sempre sotto dominazione longobarda. Il corridoio centrale che percorreva la regione per intero da nord a sud (Gubbio, Perugia, Todi, Amelia) rimase per lungo tempo sotto il controllo dei bizantini che si assicuravano così le vie di comunicazione tra Roma e Ravenna. Fu in questo periodo che assunse un’importanza fondamentale la via Amerina che, staccandosi dalla Cassia poco a nord di Roma, raggiungeva Amelia, Todi, Bettona, Perugia, Gubbio. Perse invece rilievo la Flaminia nel suo tracciato originario per Narni, Carsulae, Bevagna, Forum Flaminii, essendo troppo vicina al confine, e prese consistenza una variante della stessa via consolare, interna al ducato di Spoleto, che da Narni deviava per Terni, Spoleto, Trevi, Foligno, per ricongiungersi al tracciato antico a Forum Flaminii, proseguire per Nocera e Gualdo e arrivare poi, passato il Furlo, a Fano e Rimini. Con i franchi, a metà dell’VIII sec. la parte bizantina, con Orvieto e Città di Castello, entrò, almeno nominalmente, nel Patrimonio di San Pietro, ma in effetti subì l’influenza del vicino Marchesato di Toscana e fu divisa tra diversi feudatari. Durante il pontificato di Innocenzo III anche il Ducato di Spoleto passò sotto sovranità papale, ma l’autorità pontificia rimase ugualmente nominale e tale continuò a essere nel periodo di fioritura dei liberi comuni. Anche nel declino dell’età comunale il potere del papa non riuscì a imporsi stabilmente sui signori locali, no - no stante lo sforzo di ricomposizione dello Stato della Chiesa compiuto dal cardinale Albornoz a metà Trecento. Solo a metà Cinquecento, vinte le resistenze autonomistiche locali e sottomessi i vari signorotti che si erano creati signorie più o meno effimere nelle città della regione, l’Umbria entrò stabilmente sotto il diretto controllo pontificio, con l’eccezione del territorio di Gubbio, che seguì le vicende del Ducato di Urbino e con esso fu annesso allo Stato della Chiesa nel 1631. È in questo periodo che ricompare la denominazione geografica Umbria nei documenti cartografici, ma i suoi confini e le suddivisioni interne rimasero molto fluttuanti per tutta l’età moderna. A inizio Settecento Orvieto apparteneva al Patrimonio di San Pietro e Gubbio alla Marca, nel 1742 Amelia e Narni dipendevano dal distretto di Roma, le altre città facevano parte dell’Umbria propriamente detta che comprendeva il ducato di Spoleto, il territorio di Perugia e Città di Castello. Dopo le parentesi napoleoniche (1798-1799 e 1809-1814), con la riforma amministrativa del 1816 Perugia, Città della Pieve, Foligno, Assisi, Nocera, Todi e Città di Castello furono sottoposte alla delegazione di Perugia, mentre Spoleto, Terni, Narni, Amelia, Norcia dipendevano da quella di Spoleto;
Gubbio restava alla delegazione di Pesaro-Urbino e Orvieto a quella di Viterbo, finché divenne delegazione autonoma sotto Gregorio XVI. Con l’unità d’Italia si formò la provincia dell’Umbria con capoluogo Perugia, comprendente le due delegazioni di Perugia e Spoleto, con l’aggregazione di Gubbio, di Orvieto e della Sabina. Nel 1923 la Sabina venne scorporata dall’Umbria e aggregata al Lazio al momento della nascita della provincia di Rieti, e nel 1927 la regione fu divisa in due province, con l’elevazione di Terni a capoluogo.
STORIA
I - Le origini del cristianesimo in Umbria
Le modalità e i tempi di diffusione del cristianesimo nella regione sono oscuri, anche se presumibilmente l’evangelizzazione dovette avvenire per irraggiamento da Roma, attraverso le citate vie consolari. Le tradizioni agiografiche, che fanno risalire fino al I sec. l’evangelizzazione della regione, sono infatti considerate inattendibili, essendo le Passiones databili tra V e VI sec. e non essendoci leggendari anteriori al IX sec. Alcuni studiosi attribuiscono un nucleo originario di storicità alla Passio sancti Feliciani, che attribuirebbe al martire, considerato vescovo di Forum Flaminii nella prima metà del III sec., l’evangelizzazione dell’intera regione, ma anch’essa non è anteriore al VI sec. e comunque andrebbe sempre ridimensionata l’estensione dell’azione evangelizzatrice di Feliciano. È probabile tuttavia che qualche comunità sia sorta già nel III sec.; le testimonianze più antiche però non sono anteriori al IV sec. Si tratta di sarcofagi e iscrizioni sepolcrali, presenti a Perugia e Spoleto, delle aree cimiteriali di Terni e Bolsena, delle catacombe di Villa San Faustino, in diocesi di Todi, e di resti di basiliche paleocristiane, come quelle di Orvieto, Otricoli e Bolsena. Documentano la presenza cristiana in Umbria anche alcune fonti letterarie dove sono menzionate diverse chiese spoletine, come la basilica dei Santi Apostoli e quella di San Pietro, riferibili al IV-V sec. Al V-VI sec. risalgono invece le più antiche chiese tuttora esistenti: Sant’Angelo di Perugia, San Salvatore di Spoleto e il tempietto del Clitunno, anch’esso in diocesi di Spoleto. La tradizione inoltre ha conservato il ricordo dei luoghi di sepoltura di antichi vescovi, come Feliciano di Forum Flaminii, Vittore di Otricoli, Giovenale di Narni, divenuti luogo di attrazione e di pellegrinaggio, tanto da spostare l’asse abitativo, come avvenne a Foligno, dove la città medievale sorse proprio sul luogo della tomba di Feliciano. È difficile invece non solo datare, ma sostenere la storicità dei martiri citati nelle fonti agiografiche e venerati come autoctoni; in gran parte – secondo gli studi più recenti – essi sono leggendari o non attribuibili all’Umbria, dove sarebbero stati importati soltanto i loro culti in età tardoantica o addirittura medievale. Secondo gli studiosi, solo per un piccolo numero di martiri, menzionati in fonti letterarie e archeologiche, si può ipotizzare un’origine legata all’Umbria, come Vittore di Otricoli, Vitale di Spoleto e Cristina di Bolsena, mentre per altri citati nel Martirologio geronimiano del V-VI sec. (tra cui Marciano, Vitaliano, Giuliano per Spoleto; Valentino, Vincenzo, Agapito per Terni; Felicissima e Terenziano per Todi; Costanzo per Perugia) è attestato il culto, ma non è documentata l’origine umbra. Molto fantasiosa e frutto della cultura del tempo appare l’attribuzione all’Umbria di 20.000 corpi santi sostenuta dall’erudito folignate Ludovico Jacobilli (XVII sec.). Per mancanza di documentazione è difficile anche datare l’origine delle diocesi. Probabilmente una stabile organizzazione gerarchica delle comunità cristiane è da ritenersi successiva alla pace costantiniana, ma non si può escludere del tutto che ci potesse essere qualche diocesi già costituita nel III sec. Secondo Lanzoni, il primo vescovo dell’Umbria fu il già ricordato Feliciano di Forum Flaminii, morto nella persecuzione di Decio, protagonista dell’omonima Passio, ma la fonte non gode della stessa credibilità da parte di studiosi più recenti. I primi documenti che citano un vescovo umbro sono nel IV sec. e riguardano Spoleto dove nel 353 è attestato Caecilianus e a fine secolo Spes. Discussa invece è l’attribuzione a Tadino del Facundinus, che approvò il sinodo di Sardica (342- 344), e non ci sono fonti sicure per considerare protovescovi delle rispettive diocesi: Giovenale di Narni, Terenziano di Todi, Valentino di Terni e Costanzo di Perugia, come invece afferma il Lanzoni. Probabilmente comunque l’origine di queste diocesi, come di quella di Gubbio, si può far risalire allo stesso IV sec., perché esse risultano tutte ben organizzate nel secolo successivo. È però nel V sec. che le testimonianze documentarie diventano meno rare e più attendibili. Ai numerosi sinodi romani della seconda metà del secolo, dal 465 al 502, si ha una nutrita partecipazione di vescovi attribuibili a diocesi umbre: sono attestate così sedi episcopali a Otricoli (Ocriculum), Narni (Narnia), Terni (Interamna Nahars), Spoleto (Spoletium), Bevagna (Mevania), Foligno (Fulginiae), San Giovanni Profiamma (Forum Flaminii), Tadino (Tadinum), tutte situate lungo la via Flaminia; ad Amelia (Ameria), Todi (Tuder), Perugia (Perusium), Gubbio (Iguvium) sulla via Amerina; a Bolsena (Vulsinii) sulla via Cassia; a Spello (Hispellum), Arna, Plestia, Città di Castello (Tifernum Tiberinum) e Norcia (Nursia) sulle vie secondarie. Discussa è la reale esistenza di Bettona (Vettona), data l’incerta lettura della sede episcopale del vescovo Gaudenzio presente al sinodo del 465, e di Trevi (Trebiae), spesso confusa con l’omonima diocesi del Lazio. Più tardi, nel 547, è attestata la diocesi di Assisi (Asisium). Si tratta di un fitto reticolo di diocesi in un territorio abbastanza ristretto, come nei dintorni di Roma. Si ha l’impressione infatti che Roma fosse il punto di riferimento istituzionale dei vescovi umbri, che parteciparono solo a sinodi romani, muovendosi sempre in stretta sintonia con il pontefice e condividendone le scelte nelle frequenti dispute teologiche nel periodo dell’Impero bizantino. Per tutte queste diocesi non si conosce l’ubicazione di nessuna cattedrale antica, sono state però fatte delle ipotesi per Narni (tomba di Giovenale), Spoleto, Terni e Perugia. Un periodo di vivacità religiosa, ma anche di grandi problemi, fu il VI sec., documentato dalle fonti gregoriane, che ricordano una serie di vescovi distintisi durante la guerra greco-gotica e nel primo periodo dell’invasione longobarda per il loro impegno a favore delle popolazioni e per la difesa della fede, come Fulgenzio di Otricoli, Fortunato di Todi, Cassio di Narni, Ercolano di Perugia, Florido di Città di Castello. Di essi si diffonde anche il culto, accanto a quello dei martiri protagonisti delle Passiones, che cominciano ad apparire in questo periodo.II - Il Medioevo
L’invasione longobarda, che rivoluzionò l’assetto politico dell’Umbria, causò anche un vero terremoto nell’organizzazione ecclesiastica. In conseguenza delle distruzioni molte diocesi rimasero vacanti a lungo, affidate alla cura dei vescovi di diocesi vicine, e spesso il prolungamento della vacanza o lo spopolamento della città vescovile determinarono la loro definitiva soppressione e incorporazione ad altre diocesi. In territorio longobardo Bettona fu incorporata definitivamente ad Assisi, e così probabilmente avvenne per Arna, che poi passò nel territorio della diocesi di Perugia; Tadino, occupata e distrutta dai longobardi, fu affidata al vescovo di Gubbio; Trevi fu assorbita da Spoleto, Terni fu divisa tra Spoleto e Narni; Plestia fu divisa tra Foligno e Spoleto. Nel VII sec. si ristabilirono temporaneamente San Giovanni Profiamma, unita poi a Foligno, Norcia e Bevagna, assorbite in seguito da Spoleto. Nella Tuscia longobarda rimase Città di Castello, mentre la sede vescovile di Bolsena, distrutta tra il 573 e il 575, fu ereditata da Orvieto. Sotto il dominio bizantino l’organizzazione ecclesiastica risulta più stabile: rimasero Gubbio, Perugia, Todi, Amelia; soltanto Otricoli scomparve assorbita da Narni. Tra IX e X sec. compare nei documenti la diocesi di Nocera, che venne a coprire il territorio della scomparsa diocesi di Tadino, mentre dopo il 1080 scomparve definitivamente Spello, assorbita da Spoleto. La drastica riduzione di diocesi significò un rafforzamento di quelle rimaste, soprattutto di Spoleto e Narni, che estendevano la loro giurisdizione su un amplissimo territorio, mentre i vescovi, in quel periodo di confusione politica e sociale, si trovavano a svolgere anche compiti civili, che già la legge romana riconosceva loro. Paradossalmente i poteri civili dei vescovi (giustizia, notariato) furono più consistenti nel territorio longobardo, che in quello bizantino, dove i contrasti con le autorità militari causarono una riduzione del loro raggio d’azione in campo civile e una loro concentrazione nell’attività religiosa. In ogni caso, anche sotto il Sacro romano impero, pur avendo funzioni giudiziarie e fungendo da rappresentanti delle città, essi non esercitarono mai un’autorità civile vera e propria tranne che sui loro feudi. Aumentò invece in maniera consistente all’inizio del nuovo millennio il patrimonio episcopale, costituito per lo più da beni fondiari in città e nel contado, e si moltiplicarono i privilegi di papi e imperatori a favore delle chiese vescovili. Il campo in cui l’Umbria ha dato sicuramente il contributo più significativo nella storia della spiritualità e delle istituzioni ecclesiastiche è quello della vita religiosa. Benedetto e Scolastica da Norcia, Francesco e Chiara da Assisi, Paoluccio Trinci da Foligno sono all’origine dei più importanti e diffusi movimenti religiosi di epoca medievale: il monachesimo benedettino, il movimento mendicante francescano e l’osservanza francescana. L’origine del monachesimo in Umbria è testimoniata già da Gregorio Magno, che dà notizia di monaci divenuti vescovi e di eremiti di origine greca insediatisi sul monte Luco presso Spoleto, tra i quali Isacco Siro (VI sec.), fondatore del monastero di San Giuliano, le cui vicende rappresentano forse il nucleo storico originario della tarda e fantasiosa leggenda dei Dodici Siri. Contemporaneamente, sempre secondo i Dialogi di Gregorio Magno, il monachesimo fioriva anche in val Castoriana, per opera di Eutizio e Fiorenzo; veniva fondato il monastero di San Marco a Spoleto e dello stesso periodo sono anche le prime testimonianze della vita religiosa femminile. Pur essendo nato in Umbria, non appare invece che Benedetto da Norcia (480-547) abbia fondato monasteri nella sua patria, anche se tutti i monasteri citati assumeranno poi la regola benedettina. I monasteri più importanti nell’alto Medioevo furono Sant’Eutizio in val Castoriana, San Pietro in valle di Ferentillo, San Felice di Narco, in diocesi di Spoleto; Santi Severo e Martirio a Orvieto; Santi Fidenzio e Terenzio a Todi; poi San Pietro e Santa Maria di Valdiponte, in diocesi di Perugia (X sec.); Santa Croce di Sassovivo, in diocesi di Foligno; Fonte Avellana, in diocesi di Gubbio; San Pietro di Assisi (XI sec.), mentre molto forte era anche l’influenza farfense. Lo Jacobilli enumera più di duecento monasteri tra maschili e femminili, divisi tra cassinesi, cluniacensi, camaldolesi, cisterciensi, vallombrosani e silvestrini o costituiti in congregazioni autonome, come Sassovivo. Alcuni di questi monasteri giocarono un ruolo notevole nella rinascita delle città e dei comuni (San Pietro a Perugia, San Pietro ad Assisi) anche per l’appartenenza ai ceti dirigenti locali di molti abati. Minore influenza ebbero invece le abbazie rurali. Come i poteri vescovili, però, anche l’influenza dei grandi monasteri decadde con lo sviluppo delle magistrature comunali e a causa delle lotte per il potere tra feudatari e nobiltà cittadina e poi tra nobili e popolo. La civiltà comunale umbra, che vide una grande fioritura tra il XII e il XIII sec., si sviluppò con una forte connotazione religiosa, rappresentata dall’identificazione della popolazione con il culto dei santi patroni, testimoniata dalla solennità data, in questo periodo, alla inventio e alla translatio delle loro reliquie, ad esempio a Perugia per sant’Ercolano e ad Assisi per san Rufino, e con la chiesa cattedrale, restaurata o riedificata praticamente dovunque tra XIII e XIV sec., come segno tangibile della prosperità del comune. Contemporaneamente in campagna si sviluppava una fitta rete di pievi, ma scarsa è la documentazione sulla loro origine e sulla loro datazione. A testimonianza della loro storia rimangono numerosi toponimi che includono il termine pieve seguito a volte dal nome del santo titolare. Notizie più precise si hanno per il XIII sec.: le Rationes decimarum Italiae testimoniano la struttura istituzionale territoriale divisa in plebatus e la presenza massiccia di chiese in città e campagna, parrocchie e chiese filiali. Nella prospera Umbria comunale si affermavano intanto nuove forme di istituzioni ecclesiastiche e di insediamenti religiosi. Nasceva, con Francesco d’Assisi (1182-1226), il movimento francescano, destinato ad avere in brevissimo tempo una massiccia diffusione. A metà del XIII sec. nella sola Umbria sono attestati più di sessantacinque insediamenti. Contemporaneamente con Chiara d’Assisi (1193/4- 1253) nasceva il parallelo movimento religioso femminile. I francescani ebbero un grandissimo influsso sulle città comunali, perché si insediarono direttamente in città e rispondevano alle esigenze della nuova società, contribuendo alla pacificazione delle fazioni cittadine. Spesso anche i vescovi verranno scelti tra i frati minori. Nella stessa linea operavano gli agostiniani e i domenicani, insediatatisi intorno alla metà del secolo nelle città umbre. Minore influsso ebbero invece i Servi di Maria, anche se Filippo Benizi morì a Todi (1285). Sia i francescani che i domenicani aprirono ben presto studia e contribuirono a diffondere la teologia scolastica. Tra XIII e XIV sec. nacquero anche le confraternite laicali, che videro una notevole diffusione e vivacità di iniziative assistenziali con la fondazione di ospedali e ospizi per poveri e pellegrini, per impulso anche degli ordini mendicanti. A metà secolo partiva da Perugia il movimento penitenziale laicale dei disciplinati o flagellanti, fondato da Raniero Fasani (1260), che ebbe una massiccia diffusione in Italia, e anche fuori, e diede origine, nel secolo successivo, a numerose confraternite e iniziative assistenziali. Gli ordines poenitentium, come i fraticelli, diffusi soprattutto a Perugia e Assisi, non ebbero vita facile, perché come laici erano meno controllabili dall’autorità ecclesiastica e tendevano a estraniarsi dalla vita civile. La diffidenza veniva soprattutto dal sospetto di agganci con i gruppi di eretici catari, che apparvero in Umbria tra la fine del XII e il XIII sec., soprattutto a Orvieto, dove l’Inquisizione, retta prima dai francescani e dal 1260 dai domenicani, fece fatica a debellarli, anche perché spesso erano legati al partito ghibellino che in vari periodi prevalse in alcune città dell’Umbria (Todi, Orvieto). All’inizio del XIV sec. in diocesi di Spoleto è testimoniata anche la presenza di gruppi aderenti alla setta eretica del Libero Spirito. Sempre nel XIV sec. partì dall’Umbria, per opera del folignate Paoluccio Trinci (†1391), anche il movimento dell’osservanza francescana, a cui è da ricondurre la fondazione dei monti di pietà che non a caso nacquero anch’essi in Umbria: il primo venne fondato a Perugia nel 1462 da Fortunato Coppoli, e in pochi anni ne furono dotate quasi tutte le città umbre. Nel tardo Medioevo e nella prima età moderna l’Umbria vide anche la presenza di diverse figure femminili legate agli ordini mendicanti, tra le quali si ricordano le terziarie francescane Angela da Foligno (1248-1309) e Angelina dei conti di Marsciano (1377-1435), le terziarie agostiniane Chiara da Montefalco (1268-1308) e Rita da Cascia (1381-1457), le terziarie domenicane Margherita da Città di Castello (1287-1320), Colomba da Rieti (1467- 1501), vissuta a Perugia, e Lucia Brocadelli da Narni (1476-1544), esempi di «sante vive» divenute voci profetiche molto ascoltate da autorità e popolo. Nella vivace vita religiosa umbra durante il Medioevo non ci furono molti cambiamenti riguardo alle strutture diocesane, tranne il ripristino della diocesi di Terni (1218), avvenuto scorporando una piccola porzione di territorio dalle diocesi di Spoleto e Narni.III - L’età moderna
Qualche cambiamento nelle circoscrizioni diocesane si ebbe anche in età moderna: nel 1515 Borgo San Sepolcro fu staccata da Città di Castello ed eretta a diocesi; nel 1600 divenne diocesi anche Castrum Plebis, che con l’occasione fu elevata a città (Città della Pieve) con un territorio scorporato essenzialmente dalla diocesi di Chiusi; nel 1649 fu eretta la diocesi di Acquapendente staccata da Orvieto, ma con gran parte del territorio formato dall’ex diocesi di Castro. Così Borgo San Sepolcro e Acquapendente uscivano dal territorio umbro, mentre vi entrava una zona che non ne aveva mai fatto parte, come Città della Pieve. Dopo questi cambiamenti le diocesi della regione, secondo i confini attuali, erano tredici: Perugia, Spoleto, Orvieto, Città della Pieve, Città di Castello, Nocera, Assisi, Foligno, Todi, Terni, Narni, Amelia, tutte immediate subiectae, e Gubbio, suffraganea di Urbino dal 1725 al 1818. Il concilio di Trento portò una ventata di novità anche in Umbria, anche se alla prima fase partecipò un solo vescovo, l’amministratore apostolico di Narni, Pietro Donato Cesi, e alla fase finale parteciparono solo i vescovi di Amelia, Bartolomeo Ferratini (1562-1571); di Assisi, Galeazzo Rosci (1554-1563); di Città di Castello, Costantino Bonelli (1560-1572); di Gubbio, Mariano Sabelli (1556-1599); di Orvieto, Sebastiano Vanti (1562-1570) e di Terni, Giovanni Giacomo Barba (1553-1565). In genere comunque i vescovi umbri procedettero abbastanza rapidamente all’attuazione delle riforme tridentine, stimolati anche dalle visite apostoliche effettuate tra il 1571 e il 1574 a tutte le diocesi, che avevano evidenziato lacune e arretratezze nella gestione diocesana e carenze di formazione e di disciplina nel personale ecclesiastico. Numerosi risultano i sinodi diocesani riu - niti negli anni immediatamente successivi al concilio, anche e soprattutto in diocesi non rappresentate a Trento, come Perugia (1564, 1567, 1575, 1582), Spoleto (1564, 1583), Città di Castello (1564, 1568), Todi (1568, 1576) e Foligno (1571). Pure nella fondazione dei seminari i vescovi appaiono solleciti, anche se poi non sempre tali istituti risultarono effettivamente funzionanti: tre seminari furono fondati tra il 1564 e il 1574 (Perugia, Nocera, Assisi) e forse anche quelli di Città di Castello e Orvieto, che però non furono probabilmente mai aperti. Sette furono inaugurati tra il 1601 e il 1660 (Gubbio, Spoleto, Città della Pieve, Todi, Foligno, Terni e Narni, oltre a quello di Città di Castello), ma si sa che alcuni ebbero vita breve o molto precaria, soprattutto per ragioni economiche. Nel Settecento comunque erano aperti i seminari di undici diocesi, a cui si aggiunsero a fine secolo quelli di Orvieto (1778) e di Amelia (1788). A migliorare la formazione del clero, ma anche l’istruzione dei laici, contribuì notevolmente l’apertura di scuole e collegi, retti dai gesuiti (Perugia, Città di Castello, Orvieto, Spoleto, Terni e Todi), ma anche da scolopi (Norcia, Narni, Foligno), dottrinari (Orvieto, Bevagna e Spoleto), lazzaristi (Perugia), mentre altri istituti religiosi si dedicavano a rivitalizzare strutture assistenziali medievali o a fondarne di nuove (Fatebenefratelli a Perugia), affiancandosi alla tradizionale attività caritativa e assistenziale delle numerosissime confraternite. Intanto si ebbero degli aggiustamenti ai confini dei territori diocesani, per cui nel 1586 Plebs Taurina e alcune chiese sull’Appennino passarono dalla diocesi di Spoleto a quella di Camerino, nel 1636 i territori tifernati nella valle del Metauro passarono alle diocesi di Urbania e Sant’Angelo in Vado e nel 1772 Spello passò da Spoleto alla diocesi di Foligno. L’età moderna è anche il periodo della diffusione del culto mariano, presente in numerosi santuari umbri (Todi, Perugia, Bevagna, Amelia, Narni, Assisi), che si affiancava al culto dei santi locali i cui luoghi di vita erano diventati meta di pellegrinaggio (Assisi per san Francesco e santa Chiara, Norcia per san Benedetto e santa Scolastica, Gubbio per sant’Ubaldo Baldassini, Cascia per la beata Rita, Montefalco per santa Chiara, Perugia per la beata Colomba e dal Settecento Città di Castello per Veronica Giuliani) e al culto eucaristico a Orvieto e Bolsena, sede rispettivamente delle reliquie e del luogo del celebre miracolo. L’Umbria moderna è stata considerata in genere relativamente povera sotto il profilo culturale. In effetti, nonostante la presenza dell’università di Perugia e di numerose accademie, non sono documentati vivaci dibattiti, in particolare sui temi teologici e spirituali che investirono la Chiesa nel tardo Seicento e nel Settecento. Ma non mancarono figure riconducibili alla spiritualità quietista, come l’oratoriano Giovanni Paolo Rocchi, che però visse e fu arrestato a Roma, e al dibattito giansenista, come Giuseppe Bernardini e Spiridione Berioli. Significativamente erano tutti di Città di Castello, quindi esponenti di una cultura influenzata da quella toscana o romana, dove vari di loro operarono, mentre in Umbria come rappresentanti del movimento giansenista furono considerati alcuni monaci benedettini, del resto non umbri (Giuseppe Maria Lauri, Giuseppe Giustino Di Costanzo, Ascanio Dolci). Nel XVIII sec. incise sulla vita ecclesiale umbra il concilio Romano del 1725, cui parteciparono i vescovi Giovanni Battista Renzoli di Amelia, Fausto Guidotti di Città della Pieve, Fabio Manciforte di Gubbio, Nicolò Terzaghi di Narni, Giovanni Battista Chiappè, della congregazione del beato Pietro da Pisa, di Nocera, Onofrio Elisei di Orvieto, il domenicano Carlo Giacinto Lascaris di Spoleto e Teodoro Pongelli di Terni, e i procuratori dei vescovi di Assisi, Città di Castello, Foligno, Perugia e Todi. Tale partecipazione diede nuovo impulso ai sinodi diocesani, celebrati tra il 1725 e il 1729 in sette diocesi (Amelia, Città di Castello, Gubbio, Orvieto, Perugia, Spoleto, Todi).IV - L’età contemporanea
Le variazioni più notevoli si avranno nell’Ottocento. Durante il periodo napoleonico numerosi vescovi, membri del clero e religiosi rifiutarono di prestare il giuramento costituzionale e furono deportati in Francia, in Corsica o nell’Italia settentrionale. Le rispettive diocesi furono soppresse e il territorio accorpato a quello delle diocesi rette da vescovi che avevano giurato. Furono deportati i vescovi Fortunato Pinchetti di Amelia, Francesco M. Giampè di Assisi, Marco Antonio Moscardini di Foligno, Francesco Luigi Piervissani di Nocera, Giovanni Battista Lambruschini di Orvieto, Carlo Benigni di Terni, Francesco Gazzoli di Todi; rimasero in piedi le diocesi di Perugia, che unì Amelia e Todi, sotto il vescovo Camillo Campanelli; Città della Pieve che unì Orvieto, sotto il vescovo Filippo Becchetti; Spoleto con Assisi, Nocera, Foligno e Terni, sotto il vescovo Francesco Maria Locatelli; Narni, con il vescovo Antonio David. Rimanevano attive le diocesi di Città di Castello e Gubbio, in quel periodo vacanti. Con la restaurazione del governo pontificio i vescovi tornarono e le diocesi furono ripristinate. Furono riaperti anche quasi tutti gli istituti religiosi e i collegi soppressi, ma con strutture e beni fortemente ridimensionati. I gesuiti riaprirono i collegi di Orvieto, Spoleto, Terni e Città di Castello, ma non l’antico collegio di Perugia, fondato nel 1552, e sparirono per sempre antichi monasteri come quello degli olivetani di Montemorcino sempre a Perugia. In questo contesto di riorganizzazione istituzionale fu decisa l’erezione a diocesi (1820) di Norcia, scorporando da Spoleto il territorio a oriente del Nera che comprendeva anche la zona di Visso sulle montagne al confine con le Marche, e contestualmente (1821) l’erezione di Spoleto ad arcidiocesi, la prima della regione, pur restando immediate subiecta e senza suffraganee. In concomitanza con la diffusione di idee e fermenti liberali, la collaborazione tra i diversi vescovi, schierati su posizioni sostanzialmente intransigenti, si faceva più stretta, in particolare dopo la rivoluzione del 1848-1849: ne è una prova il conventus di Spoleto del 1849, a cui presenziarono tutti i quattordici vescovi dell’attuale Umbria, compreso l’Ordinario della nuova diocesi di Norcia, oltre ai vescovi di Rieti, Poggio Mirteto-Mandela, Bagnoregio e Acquapendente. Fu in quella occasione che i vescovi pubblicarono le prime lettere pastorali collettive rivolte rispettivamente al clero e al popolo (1850). Ben poche però delle decisioni allora prese dai presuli erano state effettivamente messe in pratica, quando nel 1860 l’esercito piemontese sottrasse il territorio dell’intera regione al governo pontificio e quando nel 1861 l’Umbria, con l’aggiunta di Gubbio e della Sabina, divenne una provincia del nuovo Regno d’Italia. Davanti ai provvedimenti del commissario straordinario del governo piemontese prima e del governo liberale italiano poi, i vescovi dimostrarono ancora una volta una sostanziale unità nel protestare collegialmente a più riprese contro leggi che cambiavano radicalmente la posizione delle istituzioni ecclesiastiche nei confronti del potere civile. La figura più rappresentativa tra i presuli della regione era allora il cardinale vescovo di Perugia Gioacchino Pecci (1846- 1878), poi papa Leone XIII, che – pur con tatto diplomatico – guidò i vescovi umbri nelle rimostranze contro il governo. Molto più battagliero di lui fu però Giovanni Battista Arnaldi, arcivescovo di Spoleto, che nelle sue lettere pastorali si scagliò con veemenza contro il governo italiano finendo addirittura in carcere (1863-1864). Anche al concilio Vaticano I i vescovi partecipanti fecero gruppo sotto la guida del cardinale Pecci. Dopo la sua elezione al soglio pontificio, lo stesso Leone XIII elevò nel 1882 Perugia ad arcidiocesi e nel 1889 istituì le conferenze episcopali regionali, che diedero impulso a una nuova stagione di conventus vescovili. I presuli umbri si riunirono a Spoleto (1892) e a Perugia (1894) e nello stesso anno emanarono la prima lettera pastorale collettiva come conferenza episcopale. Molto poco successo ebbero invece nella regione le forme aggregative laicali del movimento cattolico. L’Opera dei congressi si diffuse tardi e solo per intervento dall’alto, testimoniando la sostanziale estraneità dei cattolici umbri alla militanza intransigente. Più sensibili furono invece alla diffusione di nuove devozioni, soprattutto mariane: a metà Ottocento sorsero infatti i santuari di Canoscio (Città di Castello) e della Madonna Auxilium Christianorum, detta della Stella (Spoleto). All’inizio del Novecento anche l’Umbria partecipò al movimento di rinnovamento della cultura ecclesiastica con illustri studiosi, come i biblisti Francesco Mari di Nocera e Umberto Fracassini di Perugia, il musicista Raffaele Casimiri, don Brizio Casciola di Montefalco, amico di Paul Sabatier, il calvinista francese studioso di san Francesco e fondatore, ad Assisi, della Società internazionale di studi francescani (1902). Contemporaneamente numerosi sacerdoti, tra cui Luigi Rughi di Gubbio ed Enrico Giovagnoli di Città di Castello, erano impegnati nel cercare di alleviare e risolvere i gravi problemi sociali della popolazione prevalentemente contadina della regione, che cominciava anche a emigrare in massa. Sotto il pontificato di Pio X, essi subirono le conseguenze della repressione antimodernista. I seminari furono sottoposti a visita apostolica e qualcuno fu chiuso, rettori e professori di seminario furono costretti alle dimissioni, anche alcuni vescovi furono visti con sospetto e anzi l’arcivescovo di Perugia, Dario Mattei Gentili, dovette lasciare la diocesi. In Umbria furono mandati vescovi provenienti dall’Italia settentrionale considerati più vicini alla linea del papa, come il veneto Carlo Liviero, a Città di Castello, il lombardo Giorgio Gusmini a Foligno e il benedettino genovese Giovanni Beda Cardinale a Perugia (1910). In questo clima Pio X procedette alla riforma dei seminari, necessaria per diocesi piccole e povere, come quelle umbre. In Umbria nel 1912 fu aperto un seminario maggiore regionale ad Assisi, per accogliere i seminaristi maggiori di tutte le diocesi della regione, sopperendo così alle carenze economiche e culturali dei vecchi seminari. Sempre sotto Pio X fu anche decisa l’unione della diocesi di Narni a quella di Terni (1907), città che si stava sviluppando, avviandosi a diventare il polo industriale della regione. Le vicende della Chiesa umbra nel Novecento sono scandite dai due eventi drammatici delle due guerre, che videro la partecipazione attiva dei cattolici alla vita della nazione. Dalle lettere pastorali dei vescovi si coglie la loro posizione davanti alla prima guerra mondiale, vista come castigo divino e soprattutto la loro sollecitudine per alleviare le sofferenze da essa causate alla popolazione. Se poi alcuni vescovi simpatizzarono con i progetti fascisti di riordinamento della società, nel corso della seconda guerra mondiale non appaiono forme di connivenza con il regime. In genere i presuli si posero come mediatori tra le forze in lotta e difensori della popolazione, mentre parte del clero e dei cattolici militanti partecipava attivamente alla resistenza. Anche nell’Umbria contemporanea, pur con minore intensità del passato, si diffondono nuovi istituti religiosi, e anzi alcuni vi trovano origine, come i Missionari del Preziosissimo Sangue, fondati a Giano dell’Umbria dal romano Gaspare Del Bufalo nel 1815, le suore Figlie della Misericordia (1841) e le Piccole Ancelle del Sacro Cuore (1916) fondate a Città di Castello, i Missionari della Sacra Famiglia (1877) e le suore della Sacra Famiglia (1887) fondati a Spoleto da Pietro Bonilli. Nel dopoguerra l’Umbria acquistò sempre più le caratteristiche di luogo di elaborazione di nuove forme di spiritualità e di incontro tra culture diverse, nel nome di san Francesco e della pace. Si pensi al fiorire della vita eremitica sul monte Su - basio e in altri luoghi solitari delle colline umbre; all’insediamento a Spello dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, dove visse e morì Carlo Carretto (1988); al santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza, voluto negli anni Cinquanta da madre Speranza di Gesù fondatrice della omonima congregazione, che qui morì (1986); alla marcia Perugia-Assisi, voluta dal laico Aldo Capitini, ma sostenuta anche dai cattolici, fino alla scelta di Assisi come luogo di incontro di preghiera per la pace aperto a tutte le religioni, voluto da Giovanni Paolo II nel 1986. Nel frattempo nel 1972 Perugia fu eretta sede metropolitana con suffraganee Assisi, Città della Pieve, Città di Castello, Foligno, Gubbio, Nocera Umbra-Gualdo Tadino, rimanevano immediate subiectae l’arcidiocesi di Spoleto e le diocesi di Amelia, Norcia, Orvieto, Terni-Narni e Todi, finché nel 1986 si definì la situazione attuale.Bibliografia
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FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.